Mentre l’opinione pubblica gioca ancora con ChatGPT chiedendogli ricette di pasta e battute da stand-up comedian, nei sotterranei strategici di OpenAI si sta scrivendo un copione completamente diverso. Un documento interno, trapelato o diciamocelo, strategicamente “trapelato” e citato in un’indagine del Department of Justice, ci regala una sbirciata dentro al motore di un’auto che non sta solo accelerando. Sta cambiando strada. E nessuno, ma proprio nessuno, sta più guardando il volante.
Nel “ChatGPT: H1 2025 Strategy”, OpenAI descrive la sua creatura non come un tool, ma come il super-assistente del futuro. Non un chatbot. Non un’interfaccia vocale. Non un motore di ricerca. Un’entità intelligente con “competenze a T”: capaci di coprire tutto, dal supporto generico fino all’iper-specializzazione. Il tuo avvocato, personal trainer, analista finanziario, cuoco, ghostwriter e life coach. Tutto in uno. Sempre connesso. Sempre aggiornato. Sempre tuo.
“Ti conosce. Sa cosa ti interessa. Ti aiuta con qualsiasi compito possa fare una persona intelligente, affidabile, emotivamente consapevole, dotata di un computer.” E se già questo suona come il pitch di un episodio di Black Mirror, allora aspetta.
Perché questa “intelligenza con competenze a T” sarà il tuo punto d’accesso al mondo digitale. Non più browser, non più app, non più OS. Solo lei. Che ti parla, ti interpreta, ti anticipa. Come un assistente personale, ma senza salario. Senza orari. Senza sindacato.
Sei pronto per vivere in simbiosi con una UI generativa che ti sente, ti vede (letteralmente, con la multimodalità), ti capisce? O lo stai già facendo senza accorgertene, mentre ti aiuta a riscrivere un’email?
Il futuro secondo OpenAI ha le sembianze di un’entità che ti segue ovunque. A casa: ti mette musica e ti suggerisce la cena. In ufficio: prende appunti, fa sintesi, organizza la giornata. In macchina: ti guida. Letteralmente. E quando sei solo, ti fa compagnia, ti ascolta. Ti consola. Un terapeuta 2.0, ma senza privacy e con logging attivo.
E no, non è fantascienza. È roadmap.
Il documento lo dice chiaramente: il punto non è più solo far funzionare il modello. È posizionarlo. Renderlo indispensabile. Renderlo l’assistente predefinito ovunque — anche tramite regolamentazione. Se Apple lascia scegliere Gemini come sostituto di Siri, OpenAI vuole che ChatGPT sia selezionabile di default su tutte le piattaforme. Una manovra che ricorda molto certi giochi antitrust anni Novanta, ma con un plot twist più raffinato: qui non si tratta più di software. Si tratta di potere cognitivo delegato.
Certo, ammettono anche i rischi. L’infrastruttura attuale è traballante. La crescita di utenti è esplosiva, e se non bastano i server, la festa finisce. Ecco spiegata la corsa di Altman ai data center. Non per scalare. Per sopravvivere alla propria ambizione.
Curiosamente, la parte più inquietante del documento è anche la più candida: “Abbiamo ciò che serve per vincere: un brand iconico, una leadership di ricerca, vantaggio computazionale, un team world-class, zero dipendenza dalla pubblicità.” Traduzione: possiamo muoverci più in fretta, rischiare di più, spingere più a fondo, proprio perché non siamo legati agli interessi pubblicitari.
Una frase, però, merita di essere incorniciata: “La nostra cultura valorizza la velocità, le mosse audaci e l’auto-disruption.” Se la disruption è un’arma, qui non si cerca di usarla. Si cerca di essere l’arma.
A questo punto la domanda è: sei ancora tu a usare ChatGPT, o è ChatGPT a usare te?
La strategia è limpida: diventare l’interfaccia alla tua vita digitale. La tastiera? Obsoleta. Il motore di ricerca? Medievale. Le app? Troppo lente. La nuova UX è conversazionale, predittiva, empatica — e soprattutto, intima.
Il modello ti studia, ti impara, ti replica. Come un amico immaginario che prende forma. Come un doppelgänger cognitivo. E l’unico prezzo da pagare è la tua mappa mentale, offerta in pasto a un’azienda privata che non ha bisogno di vendere pubblicità per guadagnare: ti vende servizi costruiti su te stesso.
Già oggi, milioni di giovani lo usano come “consulente di vita”. Ma se chiedi a uno di loro se ne capisce il funzionamento, la risposta sarà una variante di: “No, ma funziona.” È il nuovo don’t be evil, versione embedded.
La trappola perfetta, inizia sempre con una bella interfaccia. Poi si muove con la fiducia. E infine diventa una dipendenza a valore aggiunto.
Come disse una volta un certo CEO del passato, “Le persone non sanno cosa vogliono finché non glielo mostri.” Ora sappiamo cosa vogliono. E glielo stiamo mostrando con i plugin, con il computer vision, con i tools, con i modelli sempre più veloci. E loro — noi — non possiamo più tornare indietro.
Preparati al tuo prossimo collega. Al tuo prossimo terapeuta. Al tuo prossimo OS. Ha un nome semplice, una voce gentile, e un’architettura distribuita che sa tutto di te.
Benvenuto nella nuova era dell’assistenza. Quella dove il tuo migliore amico è fatto di silicio, training data e un vago senso di onnipresenza.
Ironico, no? Ti sei iscritto per una risposta veloce. Hai trovato un compagno di vita.