Benvenuti nell’era del consenso implicito dove l’Opt-OUT è la nuova religione e l’Opt-IN è un fossile giuridico. Mentre dormivamo (forse), Google ha deciso che le sue AI, vestite da assistenti gentili e disinteressate, inizieranno *Now in US( a riassumere automaticamente le nostre email su Gmail Workspace. Sottolineo: automaticamente. Nessuna richiesta esplicita. Nessuna spunta. Nessuna notifica in stile “accetti?”.
La notizia è passata sotto il radar con la delicatezza di una zanzara in una fabbrica di turbine: Gemini, il nuovo volto carino e pseudoumano dell’intelligenza artificiale made in Mountain View, inizierà a produrre sommari automatici dei thread più lunghi direttamente sopra i messaggi nella versione mobile di Gmail. Niente di scandaloso, diranno i più. Solo un’altra feature “utile” pensata per “farci risparmiare tempo”. Ma qui il tempo che si risparmia è quello necessario a Google per chiederti il permesso.
Chiariamolo subito: non esiste una vera funzione Opt-IN per questi riassunti automatici. Esiste solo un generico, comodo, ambiguo Opt-OUT, incastonato nelle impostazioni sotto la voce “Smart Features” (funzionalità intelligenti). Una leva che, una volta disattivata, spegne tutte le funzioni AI, non solo i riassunti. Un bel pacchetto “tutto o niente”. Vuoi la posta che ti suggerisce risposte rapide? Ti tieni anche il Gemini che fruga e riscrive i tuoi thread. Troppa trasparenza sarebbe poco… intelligente.
L’illusione dell’Opt-IN è una delle grandi narrazioni tossiche del tech contemporaneo. È come il consenso nei cookie banner: se il pulsante “rifiuta” è grigio, minuscolo e ti fa perdere tempo, tecnicamente c’è. Praticamente, no. Così funziona anche qui. Google non ti obbliga a vedere il riassunto, certo. Ma non ti chiede se vuoi vederlo, e soprattutto non ti avvisa del momento esatto in cui comincia a generarlo. Il dato viene elaborato comunque. La data action è già avvenuta prima che tu possa dire “privacy”.
Chi ha Gmail in versione Workspace (quindi a pagamento) e usa l’app mobile in inglese, vedrà questa feature abilitarsi automaticamente “entro due settimane”. Un rollout silenzioso, selettivo, ma sufficientemente lento da evitare troppe ondate di protesta simultanee. Perché si sa: se aggiorni tutto assieme, qualcuno se ne accorge. Se lo fai a rate, sembra una coincidenza.
La cosa più affascinante? Questi riassunti saranno dinamici. Cioè si aggiornano mano a mano che arrivano nuove risposte nella conversazione. Un flusso in tempo reale, generato e rigenerato da un modello linguistico che legge, interpreta, astrae e sintetizza. Che piaccia o no, è un altro strato di elaborazione semantica che si frappone tra te e la tua posta. La tua relazione diretta con il contenuto si filtra attraverso l’occhio di Gemini.
Ora, domanda semplice: il Garante dove sta?
Mentre in Italia ci si preoccupa (giustamente) di chatbot e riconoscimenti facciali, le tecnologie soft, quelle con la faccia sorridente e la UX accattivante, fanno incursioni sempre più profonde nella sfera privata. Eppure l’analisi automatica del contenuto email, anche se apparentemente innocua, è un terreno scivoloso. Non si tratta solo di “vedere il riassunto” ma di accettare il fatto che qualcuno (qualcosa) legga, interpreti e sintetizzi per te, senza esplicito consenso preventivo.
In termini di privacy by design e GDPR, questa è un’operazione borderline. Se l’utente non è chiaramente informato e non fornisce consenso esplicito per l’uso di sistemi di AI che accedono a contenuti personali, non stiamo più parlando di “funzione comoda”. Parliamo di profilazione. Di trattamento automatizzato. E di responsabilità legale.
Naturalmente, Google gioca sul fatto che chi utilizza Workspace ha già accettato, in qualche oscuro passaggio contrattuale, che “funzionalità avanzate” possano elaborare contenuti per migliorare l’esperienza. Ma è proprio lì che sta il punto: la giungla semantica dei TOS (Terms of Service) è diventata la nuova cortina fumogena del consenso. Non ti dicono “Gemini leggerà le tue email”. Ti dicono “miglioreremo il tuo flusso di lavoro con soluzioni AI-driven”.
Questa è la vera guerra semantica dell’era moderna. Non si combatte più a colpi di codice, ma a colpi di dizionario giuridico, di interfacce “intelligenti” e di notifiche opzionali che, in realtà, sono default mascherati.
Come sempre, il grande pubblico non si accorgerà di nulla. Scorrerà l’email, vedrà il riassunto in alto, penserà: “Ah, che comodo”. E quel pensiero, quella frazione di sollievo, è il vero prodotto che Google vende: la tua attenzione addestrata ad accettare l’interpretazione altrui dei tuoi contenuti. L’intelligenza artificiale, qui, non è tanto uno strumento quanto un filtro culturale. Decide cosa è importante per te. Decide come dovresti leggere.
Perciò no, la funzione Opt-IN non esiste. Esiste solo il “non ci hai detto di no”, che è molto più redditizio. Perché in un mondo dove ogni millisecondo d’attenzione vale soldi, chiederti il permesso costa troppo. E aspettare che tu legga i termini d’uso… beh, quello è il vero deep learning: sanno che non lo farai mai.
P.S> se vuoi attivare Deattivare vai QUI
https://support.google.com/mail/answer/15605870?co=GENIE.Platform%3DAndroid&oco=1
Se ti piace invece vai QUI