“Ciò che ci rende umani è la nostra capacità di trascenderci.” Lo dice Ray Kurzweil, e non è un filosofo new age o un poeta esistenzialista, ma un ingegnere, inventore, multimilionario e profeta della Singolarità. La stessa Singolarità che, secondo lui, arriverà verso il 2045, con l’eleganza chirurgica di un algoritmo che impara a riscrivere il proprio codice. Un futuro che profuma di silicone e immortalità.
Sì, perché Kurzweil non è uno che si accontenta di fare previsioni. Lui disegna l’orizzonte come fosse un progetto ingegneristico: dettagliato, scalabile, inevitabile. E mentre l’umanità si dibatte tra crisi ecologiche, guerre culturali e i resti tossici di un capitalismo post-industriale, lui risponde con una serenità inquietante: l’Intelligenza Artificiale ci libererà. Sarà il mezzo per realizzare il nostro pieno potenziale umano.
La provocazione è questa: la tecnologia – parola chiave scolpita a fuoco nell’intero discorso – non ci disumanizzerà. Al contrario, ci umanizzerà completamente. Con l’aiuto di medicina rigenerativa, intelligenze artificiali sempre più simili a noi, e un corpo biologico che diventa opzione, non necessità.
Curioso come la narrativa si ribalti. L’uomo, spaventato per secoli dall’idea di essere superato dalle proprie creazioni, ora viene rassicurato dal suo stesso demiurgo: l’AI non sarà la fine dell’uomo, ma il suo completamento. Kurzweil la vede come l’estensione naturale dell’intelligenza umana, un’evoluzione logica del nostro cervello, così tragicamente limitato da barriere biologiche obsolete.
Non è solo un sogno da transumanista. Dietro le sue parole c’è un’ideologia che mescola biotecnologie, machine learning, e ottimismo sistemico. Una religione laica, se vogliamo, con i suoi dogmi (l’informazione cresce esponenzialmente), le sue promesse (vivremo per sempre), e i suoi sacerdoti (Kurzweil in testa). È un manifesto futurista 2.0, aggiornato all’era della sorveglianza, ma ancora intriso di quella fede illuministica nella razionalità come chiave di liberazione.
Ovviamente, il cinismo viene spontaneo.
Davvero pensiamo che la libertà verrà da un chip nel cervello? Che la nostra “umanità” si realizzerà pienamente solo quando potremo caricare la coscienza su una nuvola quantistica? Kurzweil risponde con la logica del sistema operativo: sì, perché la nostra sofferenza, la nostra ignoranza, la nostra morte… sono bug da correggere.
Ma in tutto questo c’è un’ambiguità inquietante. L’idea che la libertà – seconda keyword semantica fondamentale – sia un prodotto tecnologico, un output calcolabile, ci trasforma da soggetti a oggetti. La medicina del futuro, dice lui, sarà in grado di riscrivere il nostro DNA come fosse codice software. Potremo eliminare il cancro, l’invecchiamento, forse anche la noia. Una vita senza limiti. Ma chi decide il codice sorgente? Chi scrive l’algoritmo di ciò che consideriamo “umano”?
“Diventeremo più empatici, più creativi, più liberi”, dice Kurzweil con la sicurezza di chi ha già fatto i conti. Ma qui si apre il cortocircuito: l’empatia non è una funzione, è un’anomalia. La creatività nasce spesso dall’imperfezione, non dall’ottimizzazione. L’umanità non è un upgrade, è un paradosso.
Eppure, ci lasciamo sedurre. Perché Kurzweil non promette solo il futuro, promette il controllo del futuro. Un’idea irresistibile per un’umanità sempre più traumatizzata dal caos. Se possiamo codificare la felicità, prevedere il cancro, evitare la morte… perché non farlo?
Ecco dove entra la terza keyword che pulsa tra le righe: immortalità. L’idea che la morte sia un ostacolo tecnico, non ontologico. Da sempre l’uomo ha cercato di aggirare il proprio limite biologico: piramidi, religioni, memorie digitali. Ma ora, dice Kurzweil, ci siamo quasi. E se credi nella legge di Moore, nel deep learning e nei grafeni, non puoi che dargli ragione.
La narrazione è perfetta per l’era SGE: sintetica, assertiva, apparentemente basata sui dati. Kurzweil è il perfetto messia per il motore di ricerca generativo: parla il linguaggio degli ingegneri e quello dei poeti. È un ottimo prodotto per il mercato dell’attenzione.
Ma attenzione: non è neutrale. Ogni promessa di liberazione ha un prezzo. Ogni algoritmo ha un bias. Ogni sogno ha un padrone. E quando ci affideremo a sistemi che apprendono più velocemente di noi, chi deciderà cosa significa “realizzare l’umanità”? Saremo ancora noi? O diventeremo i fantasmi delle nostre ambizioni tecnologiche?
Kurzweil, con la sua eleganza da ingegnere-filosofo, ci dice che la tecnologia ci porterà oltre. Ma forse il punto non è andare oltre. Forse dovremmo chiederci dove stiamo andando e con chi stiamo lasciando le chiavi della nostra coscienza.
Del resto, anche Frankenstein era nato con le migliori intenzioni.
