Windsurf Statement on Anthropic Model Availability
È stato l’equivalente digitale di un’esecuzione in pieno giorno. Nessuna lettera di sfratto, nessuna trattativa da corridoio. Solo un’interruzione secca, chirurgica, quasi burocratica. Windsurf, la celebre app per “vibe coding”, si è ritrovata fuori dalla porta del tempio di Claude. Anthropic, il laboratorio fondato dai fuoriusciti di OpenAI, ha deciso di tagliare la capacità concessa ai modelli Claude 3.x. Non per ragioni tecniche. Non per mancanza di fondi. Ma per geopolitica dell’AI.
Varun Mohan, CEO di Windsurf, l’ha scritto su X con la disperazione elegante di chi sa di essere pedina in un gioco molto più grande: “Volevamo pagare per tutta la capacità. Ce l’hanno tolta lo stesso.” Dietro questa frase anodina, si cela l’odore stantio di una guerra fredda tra laboratori che – da fornitori di infrastrutture – stanno sempre più diventando cannibali delle app che un tempo nutrivano.

E l’ironia è crudele: Windsurf potrebbe essere acquisita da OpenAI. Cifra in ballo: 3 miliardi. Ancora nulla di ufficiale, ma il solo sospetto ha fatto scattare le difese immunitarie di Anthropic. Che ha reagito tagliando i ponti. “Sarebbe strano vendere Claude a OpenAI,” ha detto senza giri di parole Jared Kaplan, co-fondatore di Anthropic. Tradotto: se ti stai vendendo al nemico, non aspettarti che ti serviamo il tè.
Nel frattempo, OpenAI ha dato la sua carezza letale a Granola. Il colosso di Altman ha annunciato una modalità “record” per ChatGPT Enterprise: chiamate trascritte, note generate automaticamente. Sì, proprio il core business di Granola. Una startup che solo poche settimane fa aveva raccolto altri 43 milioni e lanciato una nuova app mobile. Fino a ieri, era la promessa brillante dell’ecosistema AI. Oggi si ritrova con ChatGPT che gioca a fare il suo clone, solo con un accesso privilegiato a centinaia di milioni di utenti.
Lo schema è sempre lo stesso. Prima ti danno l’API, poi ti osservano, poi ti copiano. Non è un errore. È un modello di business.
L’illusione dell’API economy era semplice: costruisci su modelli generalisti, aggiungi una UX brillante, qualche verticalizzazione intelligente e voilà, hai una startup AI. Ma ora emerge la realtà che ogni CTO sognatore preferiva non vedere: quando il tuo fornitore di modelli diventa anche tuo concorrente, il tuo vantaggio competitivo evapora. Inizia con “siamo partner” e finisce con “adesso ci pensiamo noi”.
Mike Krieger, CPO di Anthropic (e co-fondatore di Instagram), ha tentato la via zen: “È una questione delicata… cerchiamo di navigare con attenzione queste adiacenze sempre più vicine.” Ma la verità è che l’ambiguità è strutturale. Chi produce modelli ha il potere e la tentazione di salire la catena del valore. E lo sta facendo. Senza pietà.
La posta in gioco? La piattaforma.
Zak Kukoff, investitore AI, lo ha detto chiaramente: i laboratori devono decidere se vogliono essere piattaforme stabili o predatori verticali. Ma la risposta, ormai, è sotto gli occhi di tutti. Vogliono entrambe le cose. Come Amazon Web Services che fornisce cloud ai concorrenti mentre lancia cloni aggressivi dei loro prodotti. Come Apple che apre l’App Store e poi costruisce le stesse feature in iOS.
Questa settimana è stata il punto di svolta. L’epifania amara per centinaia di startup che stavano costruendo “sull’AI”. Il tappeto rosso si sta arrotolando all’indietro. Se hai successo, verrai copiato. Se sei troppo piccolo, vieni ignorato. Se cresci abbastanza, diventi una minaccia. È il capitalismo da piattaforma in versione LLM.
Il paradosso è che queste dinamiche rischiano di riportare gli sviluppatori dai “piccoli” laboratori alle grandi piattaforme consolidate. Lo ha scritto anche Michael Mignano, board member di Granola: “Se i developer non possono fidarsi dei lab, forse è meglio fidarsi dei big, come si faceva per il cloud.” Insomma: meglio l’impero di Amazon che la roulette russa dell’open model economy.
C’è un senso grottesco, quasi mitologico, in tutto questo. Le startup AI sono Icaro. Si alzano in volo su ali di API, ma si avvicinano troppo al sole delle foundation model company. E come ogni Icaro, cadono. Il twist, però, è moderno: è il sole stesso che ti costruisce le ali. E poi le fonde.
La vera domanda non è più “puoi costruire qualcosa con l’AI?”. Ma: “puoi costruire qualcosa che il tuo modello provider non copierà domani?” È un’ansia nuova, un dilemma epistemico e commerciale. Forse, il prossimo vantaggio competitivo sarà l’opacità: rendere l’app così complessa, interrelata, integrata con dati e utenti da renderla non clonabile.
Oppure, paradossalmente, tornare all’hardware. Al vero possesso. Alla latenza come barriera d’ingresso. Perché nell’era dei LLM come commodity, chi controlla il flusso, vince. E chi costruisce sopra il flusso, rischia di essere travolto.
Come diceva Oscar Wilde, “quando gli dei vogliono punirci, esaudiscono i nostri desideri.” Il sogno di ogni startup era avere modelli potenti a basso costo. Desiderio esaudito. Ora arriva la punizione.