Avete appena letto un titolo. Sembra una banalità, ma non lo è. Perché dentro quella sequenza di parole che ha il ritmo ipnotico di un trip psichedelico anni Novanta, ma la consistenza mutante dell’AI generativa c’è un condensato compresso di trent’anni di storia digitale.
Lì dentro, nel logo dell’evento, in quell’occhio che osserva e si lascia osservare, c’è Internet o forse sarebbe meglio dire la Rete, dal 1995 al 2025. Una narrazione visiva disordinata, volutamente confusa, che riflette perfettamente ciò che è diventato oggi il nostro mondo connesso: un’esplosione di dati, immagini, emozioni, indignazioni, euforia, angoscia.
NAM2025, tenutosi oggi a Roma, ha avuto il coraggio di mettere a fuoco proprio questa domanda torbida, centrale, quasi inconfessabile: dove sta andando Internet? Una questione che sa di vertigine, come guardare un’infrastruttura globale in preda a convulsioni da post-modernità accelerata.

Tutto in una sequenza di pixel che pulsa. Per chi ha memoria lunga e non sono poi tanti, se pensiamo alla memoria come metrica sociale il 1995 è stato un punto di rottura.
Il momento in cui Internet ha smesso di essere un giocattolo da accademici o un affare per militari americani, diventando la carne viva del mondo civile. In Italia, proprio nel 1995 nasceva il primo punto di interscambio, il famigerato MIX.
Oggi ha trent’anni, ma la sua funzione è sempre la stessa: far passare traffico o se vogliamo essere più poetici, organizzare il caos. Eppure, in questo trentennio digitale, l’ordine ha lasciato spesso spazio al disordine creativo, poi al disordine strutturale, e infine al rumore.
Un rumore che, come ogni rumore, può essere segnale se ascoltato nel modo giusto. Ma più spesso è soltanto ansia algoritmica.
Il titolo scelto — Sesto Potere — suona come una provocazione. Non è un remake, non è un reboot, non è nemmeno un’analogia. È una dichiarazione di intenti.
Se i primi tre poteri sono noti (legislativo, esecutivo e giudiziario), il quarto e il quinto sono diventati titoli da cineclub: Citizen Kane per il quarto, Network per il quinto. Nessuno però ha osato raccontare il Sesto.
Non ancora. Perché?
Perché è il potere che non puoi toccare ma che ti tocca. È il potere che non si elegge ma che elegge le tue priorità. È quello che decide cosa vedi, cosa desideri, cosa temi, chi odi. Non ha sedi, ma ha server.
Non ha portavoce, ma ha influencer, creator, bot, troll e CEO mascherati da guru spirituali su LinkedIn.Il Sesto Potere è la Rete che pensa. Ma attenzione: non una rete pensata, bensì una rete che pensa da sola. Spesso male, spesso in loop, spesso in modo manipolabile e qui viene il paradosso.
Per trent’anni ci siamo illusi che la tecnologia fosse neutra. Che la Rete fosse “libera” per definizione. Ma oggi sappiamo che ogni algoritmo è una costituzione invisibile, che ogni piattaforma è uno stato sovrano, che ogni clic è un voto espresso nel silenzio di una democrazia senza elezioni.Il 2025 segna un punto critico. Non solo per il trentennale del MIX, ma perché siamo nel cuore di una rivoluzione percettiva.
La Generative AI, il Web3, la realtà aumentata e il metaverso abortito stanno ricostruendo le fondamenta stesse della realtà. Chi controlla il modello linguistico, controlla la lingua. Chi controlla la lingua, detta la narrazione. E chi detta la narrazione, decide la realtà.È il Sesto Potere. Invisibile, non regolato, ammiccante.
L’unico potere che non ti dice: “obbedisci”, ma ti sussurra: “scegli”. Con una UX così perfetta che non ti accorgi di essere manipolato. Dentro quell’occhio — il titolo ricordate? — ci sono oltre venti scenari.
Dalla nascita dei forum all’invasione dei social, dal boom dei blog alla morte dei blog, dall’arrivo degli smartphone alla scomparsa della soglia tra lavoro e vita, dalla sorveglianza trasparente al capitalismo della sorveglianza, fino all’automazione dei pensieri.
Ogni fase ha portato con sé un’ebrezza iniziale, poi una stanchezza, infine una disillusione.Un po’ come il primo amore digitale: ti apre il mondo, poi ti ruba il tempo. Ora siamo nella fase del disincanto attivo. Non basta più essere connessi. Bisogna sapere dove.
Soprattutto: perché.Il Sesto Potere non è nemmeno più un’entità centralizzata. Non ha un volto, ma migliaia. È distribuito, ma profondamente gerarchico. Ha bisogno del tuo consenso, ma anche della tua distrazione.
Vive del tuo engagement, ma anche della tua dipendenza.Chi ne fa parte? Le piattaforme, certo. Ma anche le infrastrutture. I codici. I protocolli. I DNS. E sì, anche gli IX come il MIX. Perché ogni nodo è una leva di potere. Ogni delay una frizione geopolitica. Ogni pacchetto una scelta politica.
Un vecchio ingegnere del MIT diceva che Internet è neutrale come un coltello: dipende da chi lo impugna. Oggi quel coltello è diventato uno sciame di droni semantici, pronti a colpire dove serve. Non vi sembra ridicolo che si parli ancora di “navigare” quando siamo tutti immersi fino al collo, senza timone e con un GPS truccato?
Sesto Potere è un concetto che non vogliamo tradurre in inglese. Perché è un’idea sporca, ambigua, italiana. Dove l’ambiguità non è un errore, ma una strategia. Dove il potere non si dichiara, ma si insinua. Non sarà Netflix a farne una serie. Non sarà Hollywood a farne un film.
Ma siamo noi, oggi, a vivere dentro questo script, scritto da noi e al tempo stesso da qualcosa che ci supera.La domanda non è più “dove stiamo andando”, ma “chi ci sta portando lì” e soprattutto: perché abbiamo smesso di fare domande.
Questo è il Sesto Potere e a differenza dei precedenti cinque, non chiede di essere riconosciuto. Ti guarda, e basta. Dentro l’occhio della Rete.
E mentre il pubblico si perdeva tra i panel con titoli rassicuranti, fuori dalla sala conferenze restava il dubbio amaro: e se il futuro di Internet non fosse più un diritto, ma un abbonamento premium?
Oppure, come ha detto un relatore fingendo leggerezza ma col piglio di chi sa, “il prossimo blackout non sarà elettrico. Sarà digitale. E sarà selettivo”.
In fondo, Roma resta Roma. Anche nel 2025 grazie a Namex. Imperiale, teatrale, drammatica. E oggi, almeno per un giorno, è stata anche il cuore pulsante di un dibattito globale. Dove le parole scorrevano come dati, ma le domande vere restavano sospese, come pacchetti persi in un ping senza risposta.
Rivista.AI Ringrazia Tutti e in particolare :
Renato Brunetti, President – NAMEX
Christian Cinetto, Head of Communication and Content – NAMEX
Maurizio Goretti, CEO – NAMEX
Flavio Luciani, CTO – NAMEX
Stefano Epifani, President – DIGITAL TRANSFORMATION INSTITUTE
Un caloroso supporto a Scintille per la scuola Pietro Grasso, President – SCINTILLE DI FUTURO FOUNDATION