Chi si ricorda della prima ondata tech in India, quando Bangalore si trasformò in Silicon Valley a basso costo per l’Occidente, probabilmente ha già intuito cosa sta accadendo ora. Ma questa volta, non si tratta più solo di delocalizzare call center e sviluppare codice su commissione. Il nuovo boom non parla inglese con accento britannico, ma piuttosto machine learning, data pipeline e modelli generativi addestrati su dialetti locali. E secondo Boston Consulting Group, non si fermerà presto.

Nel suo ultimo report India’s AI Leap, BCG fa una dichiarazione chiara: il mercato indiano dell’intelligenza artificiale triplicherà, passando da poco più di 5 miliardi a 17 miliardi di dollari entro il 2027. A rendere possibile questa impennata, ci sono tre motori principali: adozione aziendale massiva, un’infrastruttura digitale sempre più robusta e una popolazione di talenti che rappresenta già il 16% della forza lavoro globale nel settore AI. Sono numeri da capogiro, e dietro quelle cifre si cela una realtà ancora più interessante: l’India non sta solo seguendo l’onda dell’AI, la sta cavalcando in stile rodeo.

“AI non è più un’opzione, è una necessità aziendale”, afferma senza mezzi termini Mandeep Kohli, uno dei firmatari del report. Tradotto: chi non implementa intelligenza artificiale in India oggi, domani potrebbe non esserci più. Non sorprende che settori chiave come finanza, retail e media siano già in modalità “full immersion”. Secondo il report, le compagnie assicurative stanno tagliando del 70% i tempi di sottoscrizione grazie al machine learning. I rivenditori migliorano i tassi di conversione fino al 15% con la personalizzazione predittiva. E i produttori di contenuti digitali, ovvero l’equivalente bollywoodiano di Netflix, riducono costi dell’80% e accelerano la produzione del 70%.

In sintesi: l’intelligenza artificiale sta riscrivendo i fondamentali economici del secondo Paese più popoloso del pianeta, e non lo sta facendo timidamente.

A fare da benzina a questa crescita, ci sono oltre 4.500 startup specializzate in AI, quasi la metà delle quali nate solo negli ultimi tre anni. Una generazione di imprese agili, affamate e con una capacità unica di affrontare problemi locali: dalla sanità rurale all’istruzione in lingue vernacolari. Altro che Silicon Valley: questa è una Dharavi Valley che parla Python.

Ma non tutto è ottimismo in salsa masala.

Kunal Anand, CEO della startup aiBaat, mette il dito nella piaga: “Abbiamo bisogno di partnership concrete, più accesso alla potenza di calcolo e una pipeline di talenti che vada oltre le metropoli.” Traduzione per chi lavora in policy: serve infrastruttura seria, non solo talenti di Delhi e Bangalore. Per fortuna, il governo sembra ascoltare. Il piano IndiaAI prevede un investimento da 10.000 crore di rupie per aumentare la capacità nazionale di calcolo, con l’obiettivo dichiarato di installare oltre 10.000 GPU per addestrare modelli locali. Una mossa che fa capire quanto l’India voglia smettere di essere soltanto il braccio esecutivo dell’intelligenza artificiale globale, per diventare il suo cervello.

Certo, la realtà è più sfumata. Nonostante l’entusiasmo, l’India rimane dietro agli Stati Uniti per investimenti in R&D, qualità dell’hardware e maturità ecosistemica. Ma quello che manca in potenza di fuoco, il Paese lo compensa con demografia, fame e flessibilità. Tre ingredienti che l’AI ama molto.

Il dato più gustoso? Secondo Similarweb, OpenAI (sì, proprio lei) raccoglie l’80% del traffico globale nell’ambito dell’intelligenza artificiale generativa. In India, ChatGPT è praticamente diventato il nuovo motore di ricerca per milioni di studenti, impiegati e imprenditori. Altro che Bing o Gemini: qui si parla direttamente con il modello. Ma l’ironia è che molti degli ingegneri che addestrano o personalizzano questi strumenti lavorano proprio da Hyderabad o Pune.

Il punto cruciale, però, non è chi sta dominando l’intelligenza artificiale oggi, ma chi la userà per scalare nei prossimi cinque anni. In questo senso, l’India si trova in una posizione unica: un enorme mercato interno, problemi strutturali perfetti per soluzioni AI e una generazione di developer che pensa in codice come se fosse la lingua madre.

Una nota finale che sembra uscita da una sceneggiatura satirica: l’AI, che per anni è stata considerata una minaccia per il lavoro umano, in India è ora il principale driver di occupazione qualificata e innovazione sociale. Dai chatbot in lingua Tamil per l’assistenza medica, ai sistemi predittivi per prevenire suicidi tra i contadini: ogni algoritmo che negli USA fa paura, qui è una possibile soluzione.

In altre parole, l’India non sta solo correndo verso il futuro dell’intelligenza artificiale. Sta programmando quel futuro. E forse, con un pizzico di karma e un cluster GPU da 50 petaflop, potrebbe anche essere lei a scrivere il codice sorgente del nuovo ordine economico globale.