L’ultima trovata di Adobe ha un nome familiare, ma ambizioni da conquistatore planetario. Firefly, la piattaforma di modelli AI generativi firmata Adobe, ha smesso di essere un oggetto da laboratorio desktop: da oggi si muove in tasca. L’app mobile per iOS e Android è disponibile e promette di trasformare ogni smartphone in un laboratorio di contenuti visivi iper-produttivi, potenzialmente ossessivi. Immagina DALL·E, Midjourney e TikTok chiusi in un ascensore con Photoshop: Firefly potrebbe essere il risultato. Ma con l’accento sulla produttività professionale e una mano pesante sul cloud.
Adobe non si limita a rincorrere l’hype dell’AI generativa. Lo pilota. O almeno ci prova, giocando su un vantaggio strategico: ha Photoshop, ha Premiere, ha milioni di utenti già intrappolati in Creative Cloud, e ora ha anche l’accesso alle tasche di chi quei contenuti li deve produrre ovunque, in metro o in coda al check-in.
Il posizionamento è chirurgico: creatività on the go, ma con la serietà degli strumenti professionali. Non è Canva, non è TikTok. È Photoshop che prende Red Bull.
L’app Firefly include strumenti di text-to-image, text-to-video, e persino image-to-video – che è una di quelle cose che fino a ieri sembravano magia nera da startup AI in stealth mode. Generative Fill e Generative Expand, funzioni già amate e temute su desktop, ora si possono usare col pollice. Quello destro, preferibilmente, che in fondo genera meglio.
Ma il vero colpo è l’integrazione con modelli terzi. Adobe apre il recinto: Google con Imagen 3 e 4, i video Veo 2 e 3, OpenAI con il suo image generator (che potremmo chiamare DALL·E, ma che nel contesto Adobe diventa solo “uno dei tanti”). In arrivo anche Luma AI, Ideogram 3.0, Runway Gen-4 e Pika. Un’orgia di modelli AI che Adobe non controlla ma orchestra, offrendo agli utenti un hub dove il vero prodotto non è l’immagine o il video, ma il workflow perfetto, liscio, sincronizzato con il Cloud. L’AI è la feature. Il cloud è la droga.
Ogni contenuto creato sull’app si sincronizza in automatico con Creative Cloud. Ma non illudetevi: non è tutto gratis. C’è il sistema dei “crediti generativi Firefly”, un meccanismo quasi ludico che trasforma la creatività in una forma di microeconomia. Se vuoi generare più contenuti, devi pagare. O sottoscrivere. O aspettare la prossima ricarica mensile. La creatività diventa una risorsa misurata al millimetro, come la batteria del tuo telefono o la tua soglia dati.
C’è un’ironia sottile in tutto questo: Adobe ha passato anni a difendere la sacralità del “contenuto umano” contro il plagio e l’automazione, e ora diventa uno dei principali distributori di contenuti sintetici, remixabili, generati da prompt scritti magari tra una notifica e l’altra. Ma lo fa con eleganza, anzi con UX. L’interfaccia è pulita, le funzioni sono a portata di tocco, il livello di polish è quello da standard Adobe, e soprattutto c’è un’ottima scusa per non usare più quelle app gratuite che “non sono proprio per professionisti”.
Nel frattempo, in beta pubblica si espande anche Firefly Boards, la piattaforma da lavagna collaborativa in stile FigJam, ora potenziata con editing video e remix generativi. Uno strumento da brainstorming visivo per creativi veri, o per team marketing in crisi esistenziale davanti a un pitch. Qui entra in scena la collaborazione: carichi il video, generi varianti, commenti, modifichi, iteri. Tutto fluido, tutto connesso, tutto Firefly.
In effetti, se c’è una keyword che Adobe sta cercando di scolpire nella corteccia prefrontale dell’utente creativo è ecosistema. La vera arma non è il singolo strumento, ma la continuità: inizia da mobile, perfeziona da desktop, condividi da cloud, iteri in lavagna. Non è solo UX, è retention. Adobe ti vuole dentro, sempre. E ora ha trovato il modo di esserci anche mentre aspetti il tuo caffè da tre euro e mezzo.
Sul fronte tecnico, la scelta di ospitare modelli di terze parti non è solo inclusiva. È strategica. Adobe sa di non poter competere in ogni singola verticalizzazione dell’AI generativa, ma può fare da interfaccia unica. Un contenitore che normalizza l’esperienza e riduce la frizione, nascondendo sotto il cofano la vera varietà dei motori AI. Come se la Fiat vendesse un’auto con motore Tesla, cambio BMW e GPS Apple. Ma tutta brandizzata col logo Adobe.
Il rischio? L’effetto overwhelm creativo. Troppe opzioni, troppa potenza, troppa fluidità. Ma forse è proprio lì il punto: seduzione tecnologica come ambiente creativo, in cui l’utente si perde – volontariamente – tra generazioni, remix, sincronizzazioni. Più usi Firefly, più sei dentro l’universo Adobe. E meno ne puoi uscire.
In sintesi (ma senza concludere), Firefly non è più una promessa. È una presenza, che entra in tasca, si sincronizza, genera, riempie, espande, remixa. Il contenuto diventa liquido, ubiquo, e soprattutto monetizzabile. Non sei più tu che usi Adobe: è Adobe che usa te per moltiplicare contenuti sintetici, visioni istantanee, video perfettamente inutili e perfettamente editabili.
Benvenuti nell’era in cui Photoshop ha imparato a parlare, a vedere e a inventare — anche mentre tu sei in pigiama alle 7 di mattina con la fotocamera sporca di ditate. E sì, lo fa anche meglio di te.