La domanda vera non è se OpenAI possa tenere il passo, ma se basti “essere migliori” quando l’avversario controlla il terreno di gioco. A maggio, Google non ha solo superato ChatGPT: ha fatto quello che i venture capitalist chiamano a systemic play. Gemini non è più un chatbot. È il nuovo middleware della vita quotidiana digitale per chi vive nell’ecosistema Android, ovvero miliardi di persone. Quando hai il controllo dell’OS, delle app, dell’auto, dello schermo e della fotocamera… non stai solo competendo, stai reimpostando le regole.
Il punto di svolta non è stato Gemini 2.5 Pro con il suo milione di token o l’Agent Mode (che in sé non fa ancora nulla di rivoluzionario), ma la fusione invisibile tra AI e sistema operativo. ChatGPT è ancora un’app che devi aprire. Gemini è già lì, pronta ad attivarsi prima ancora che tu abbia pensato di aver bisogno di qualcosa. È la differenza tra un concierge e un cameriere: il primo anticipa, il secondo risponde.
OpenAI ha prodotto miglioramenti interessanti: modalità offline, note vocali, un’interfaccia più fluida. Ma sembrano ottimizzazioni da team prodotto, non visioni da architetti di ecosistemi. Google, invece, ha fatto quello che sa fare meglio: distribuzione. L’AI, oggi, si gioca meno nel modello e più nel deployment. Inutile avere un motore da Formula 1 se lo installi su una bicicletta.
Quello che sta emergendo è una nuova geografia del potere tecnologico: non vince chi ha l’AI più intelligente, ma chi la porta ovunque. Gemini si sta infilando nei cruscotti delle auto, nelle chiamate, nelle mappe, nelle videocamere, nei documenti aziendali. È uno shift silenzioso, ma di portata storica. Per Google è una rivincita esistenziale dopo l’umiliazione di Bard. Per OpenAI, una chiamata alla realtà.
La domanda vera è: può un’azienda indipendente (per quanto finanziata da Microsoft) competere con un colosso che controlla il canale di distribuzione, l’infrastruttura e l’interfaccia utente finale? OpenAI è brillante, ma gioca in trasferta. E in questo sport, la casa vince spesso.
A meno che… non cambino sport.