Diciamolo chiaramente. Il fatto che l’Amministrazione Trump abbia partorito un “AI Action Plan” degno di questo nome segna un cambio di passo non indifferente. Finalmente, almeno secondo alcuni analisti, la Casa Bianca sembra essersi svegliata dal torpore burocratico che per anni ha soffocato qualsiasi visione strategica sull’intelligenza artificiale e, soprattutto, sulla catena di approvvigionamento dei semiconduttori. Chiunque segua il settore sa che senza chip, l’AI è solo fumo negli occhi.
Sse i chip sono dominati da una manciata di player globali come Nvidia, Intel e AMD, allora capire la filiera non è più un lusso, ma una questione di sopravvivenza industriale. “Pensiamo che il piano AI, unito ai continui tira e molla sui dazi dei semiconduttori nella guerra commerciale USA-Cina, indichi che l’amministrazione sta acquisendo una comprensione più profonda della supply chain”, ha dichiarato Tech Stock Pros, una delle voci più ascoltate tra gli investitori contrarian nel settore tecnologico.
C’è un dato interessante che emerge da questa lettura. L’intenzione di “snellire la burocrazia” per favorire colossi come Nvidia e Intel non è un dettaglio da poco. Significa riconoscere, seppur tardi, che rallentare l’innovazione con cavilli amministrativi mentre Pechino spinge l’acceleratore sull’AI è stato un suicidio strategico. La Silicon Valley, in questo senso, tira un sospiro di sollievo. Anche perché, a dispetto dell’enfasi mediatica, nessuno si aspetta che questo piano produca effetti tangibili nel breve periodo. “È improbabile che generi azioni concrete nel prossimo futuro”, avvertono infatti gli analisti più scettici. Ma la narrazione è cambiata. E in questo gioco, la percezione conta quanto la realtà.
C’è poi un altro fronte che merita attenzione: quello dell’open source AI. Perché se il piano mira davvero a sostenere l’infrastruttura tecnologica domestica, le aziende che investono nella trasparenza e nella condivisione del know-how potrebbero raccogliere dividendi importanti nel lungo termine. “Leader attuali come Meta e IBM potrebbero ottenere un boost se i loro obiettivi open source convergeranno con i futuri sforzi regolatori”. Interessante, non tanto per la frase in sé, quanto per quello che sottintende: l’open source, un tempo visto con sospetto da governi e corporate, sta diventando una leva geopolitica. In un mondo in cui l’informazione è potere, aprire il codice può essere una mossa di soft power straordinariamente efficace.
Il vero nodo, tuttavia, è l’infrastruttura. La promessa di più capital expenditure sull’AI, con investimenti mirati sul territorio americano, non è solo un modo per tenere i capitali “onshore” e placare gli istinti protezionistici dell’elettorato. È un chiaro messaggio ai mercati: chi dimostra di costruire in patria, evitando triangolazioni sospette, sarà lasciato in pace dal regolatore. Una forma di “green pass” per i colossi tech che, negli ultimi anni, hanno ballato sull’orlo del rasoio tra innovazione e compliance.
Eppure, il passaggio più intrigante del piano è quello che parla di “full-stack AI export packages”, pacchetti di esportazione pensati per impedire che certi Paesi “si rivolgano ai nostri rivali”. Tradotto dal burocratese, significa una cosa molto semplice: Washington sta finalmente capendo che per mantenere la leadership AI non basta limitare i competitor, bisogna offrire alternative competitive. “È positivo per i fornitori di GPU, dato che il CEO del maggiore produttore sembra aver convinto l’Amministrazione Trump ad allentare il limite sulla potenza di calcolo esportabile verso la Cina”, osservano gli analisti di UBS. Nvidia, inutile dirlo, sta già facendo i conti con i possibili scenari.
La nota di Citi, firmata da Atif Malik, aggiunge però una dose di sano cinismo: “Consideriamo questo piano come un allentamento delle restrizioni regolatorie per garantire la leadership USA, ma i controlli incrementali sull’export non sono ancora fuori dal tavolo”. Perché questo è il punto. Dietro le dichiarazioni ottimistiche, nessuno crede davvero che Washington abbandonerà l’arma dei controlli sull’export, soprattutto se la tensione con Pechino dovesse salire di nuovo.
Quello che cambia, semmai, è il contesto narrativo. Dopo anni di indecisioni e promesse mancate, il settore tecnologico americano percepisce finalmente un “framework”. Joe Albano, di Tech Cache, lo dice senza giri di parole: “Dopo tre lunghi anni di tentennamenti, questo piano fornisce una direzione concreta su dove le aziende AI possono spingere i propri affari, anche con alleati internazionali”. Gli esperti tecnici, aggiunge, “tirano un sospiro di sollievo perché finalmente sanno dove indirizzare i propri sforzi”.
Ironico, in fondo, che sia servita un’Amministrazione famosa per i suoi colpi di teatro e per le uscite sopra le righe per mettere sul tavolo il primo piano AI degno di questo nome. Qualcuno dirà che è troppo tardi, che la Cina è già lontana. Forse. Ma chi conosce la storia dell’industria tecnologica sa che i giochi di leadership non si vincono in un trimestre. E che spesso, a decidere chi comanda, non è chi parte per primo, ma chi costruisce le fondamenta più solide.