La scoperta di nuovi farmaci è una maratona in cui il traguardo sembra spostarsi ogni volta che lo si intravede. Il paradosso è che trovare un singolo farmaco può richiedere lo screening di un milione di composti, con costi che sfiorano l’assurdo e tempi che superano i decenni. È in questo scenario che al convegno autunnale 2025 dell’American Chemical Society è andato in scena un piccolo terremoto culturale e scientifico. Christoph Gorgulla, ricercatore del St. Jude Children’s Research Hospital, ha mostrato risultati che fanno pensare a un futuro in cui la chimica computazionale, l’intelligenza artificiale e il calcolo quantistico non sono più suggestioni da laboratorio di fisica teorica, ma strumenti chirurgici per abbattere il muro dell’inefficienza nella ricerca farmaceutica. Il bersaglio è uno dei geni più famigerati e apparentemente indistruttibili dell’oncologia: KRas. Chiunque lavori nel settore sa che KRas è il “boss finale” delle mutazioni oncogene, quello che per decenni ha resistito a qualsiasi approccio terapeutico serio.
La portata dell’esperimento sta nei numeri. Il team di Gorgulla ha addestrato il modello su un set monumentale: 1,1 milioni di molecole, tra composti noti e strutture generate ad hoc. Non si tratta di un database qualsiasi, ma di un atlante molecolare progettato per spingere l’intelligenza artificiale al limite, un test di resistenza che solo un’infrastruttura ibrida, capace di combinare algoritmi classici e quantistici, poteva digerire. Invece di muoversi con l’andatura da lumaca tipica dello screening convenzionale, in cui ogni molecola viene valutata singolarmente, i qubit hanno permesso di mappare migliaia di progetti simultaneamente. Questo è il cuore della rivoluzione: non più sequenzialità, ma parallelismo massivo. In altre parole, il problema non è stato semplicemente accelerato, è stato riscritto con una grammatica diversa.
Ma i qubit, da soli, sono come strumenti musicali accordati male. Serviva un direttore d’orchestra che trasformasse quel rumore in musica. Qui entra in gioco l’intelligenza artificiale classica, che ha raffinato gli output quantistici, convertendo strutture potenziali in candidati chimicamente plausibili. È in questa fase che l’IA ha dimostrato di non essere solo un filtro, ma un amplificatore di valore. Ha scartato le fantasie matematiche, ha selezionato molecole in grado di esistere davvero su una piastra di Petri e non solo nei registri di un simulatore.
Il passaggio decisivo, come sempre, è stato il laboratorio. I ricercatori hanno selezionato 15 candidati principali, frutto di questa pipeline ibrida, e li hanno messi alla prova contro KRas. Due nomi che sembrano codici da missione spaziale, ISM061-018-2 e ISM061-022, hanno fatto il salto dal bit al banco, mostrando la capacità di bloccare effettivamente la proteina mutata nei test cellulari. Non è la cura miracolosa che i titoli sensazionalistici amano sbandierare, ma è qualcosa di diverso: la prova che il percorso funziona, che l’interazione tra qubit e neuroni artificiali può produrre non solo idee, ma molecole reali in grado di colpire bersagli finora considerati intoccabili.
Angela Wilson della Michigan State University ha definito questi risultati “un incoraggiante primo passo verso l’integrazione del calcolo quantistico nella scoperta di farmaci”. Il commento è cauto, quasi istituzionale, ma dietro quell’aggettivo incoraggiante si nasconde un segnale più forte. Gli addetti ai lavori sanno che il “vantaggio quantistico” vero, quello che rende obsolete le metodologie classiche, è ancora lontano anni. Ma ciò che si è visto qui è un anticipo, una dimostrazione pratica che il ponte tra fisica dei qubit e biologia molecolare può reggere il peso del reale. È un po’ come osservare i fratelli Wright sollevarsi da terra per pochi secondi: nessuno avrebbe detto che quello fosse già un Boeing 747, ma era la prova che l’aria poteva reggere il sogno di volare.
La narrativa ufficiale parla di cautela, ma il sottotesto è inevitabilmente provocatorio. Se due composti derivati da un processo quantistico-IA sono già in grado di bloccare KRas a livello cellulare, cosa succederà quando le infrastrutture quantistiche supereranno i limiti attuali di rumorosità e instabilità? La farmaceutica tradizionale, con i suoi cicli infiniti di screening e trial clinici, rischia di sembrare presto un dinosauro burocratico che si muove con lentezza pachidermica mentre macchine ibride generano candidati terapeutici con la velocità di un algoritmo.
C’è poi un aspetto meno discusso ma altrettanto cruciale: la riduzione dei costi di fallimento. Oggi la maggior parte dei farmaci non arriva mai alla fase di approvazione, con un tasso di mortalità che supera il 90%. Ogni insuccesso vale centinaia di milioni di dollari. Se un sistema quantistico-IA riesce a tagliare drasticamente il numero di candidati “morti” già nella fase iniziale, il modello economico della ricerca farmaceutica potrebbe subire una scossa tanto radicale quanto quella tecnologica. Non è solo questione di trovare nuove cure, è questione di ridefinire l’intero business model dell’industria più lenta ad adattarsi ma più rapace nel difendere le proprie rendite.
Naturalmente i limiti restano. I qubit disponibili oggi sono ancora fragili, gli algoritmi quantistici soffrono di errori sistemici, e l’integrazione con i modelli classici richiede una sofisticazione che solo pochi laboratori al mondo possono permettersi. Ma questa non è una ragione per liquidare il risultato come un “proof of concept” privo di valore. È il contrario: è la prova che il calcolo quantistico, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, non è più confinato alla narrativa futuristica delle conferenze, ma comincia a graffiare la superficie della biologia applicata.
In definitiva, il dato più interessante non è che due molecole abbiano mostrato efficacia preliminare, ma che siano state concepite da un processo in cui il laboratorio non è più il punto di partenza, bensì il punto di arrivo. È il banco di prova di una trasformazione che potrebbe ridefinire il concetto stesso di scienza farmaceutica. Non si tratta di sostituire i ricercatori con macchine, ma di riconoscere che il modo in cui esploriamo lo spazio chimico è entrato in una nuova era. E se fino a ieri il laboratorio era il tempio esclusivo della sperimentazione, oggi cominciamo a intravedere la possibilità che sia l’algoritmo a plasmare il futuro dei farmaci, relegando la provetta al ruolo di giudice finale, non più di esploratore.