
Excel ha sempre avuto un fascino strano: metà foglio di calcolo, metà confessionale aziendale. Dentro le sue celle si sono accumulati vent’anni di contabilità, frustrazioni e colonne di dati che nessuno legge. Ora Microsoft decide di fare il salto quantico e infila l’intelligenza artificiale direttamente nella formula più banale, trasformando l’insopportabile “=SUM(A1:A10)” in un surrogato di ChatGPT. Basta scrivere “=COPILOT(‘Classify this feedback’, D4:D18)” e il miracolo avviene: l’IA ti restituisce classificazioni ordinate senza che tu debba più assumere uno stagista in stage non retribuito. È come se le celle si animassero, pronte a rispondere a qualsiasi domanda in linguaggio naturale. Sembra un dettaglio tecnico, ma in realtà è un colpo di stato nel cuore dell’ufficio moderno.
Il concetto è sottile. Non si tratta solo di scrivere formule più facili, si tratta di cambiare il rapporto tra lavoratore e software. Google Sheets lo aveva già mostrato a giugno, con la sua versione di riempimento automatico AI, ma Microsoft ha deciso di radicalizzare il gioco: non più macro oscure né script di Visual Basic, ora basta un comando naturale. La formula “=COPILOT(‘Summarize this feedback’, A2:A20)” diventa una scorciatoia che sostituisce il middle management della sintesi. Un capo potrebbe chiedere all’IA di riassumere duecento commenti di clienti su una macchina del caffè e in pochi secondi ottenere il verdetto: “troppo rumore, caffè tiepido, design vintage”. La produttività si gonfia, l’illusione di controllo pure.
Il problema, però, è che Microsoft stesso avverte di non fidarsi troppo. Copilot non deve mai essere usato per calcoli numerici o scenari ad alto rischio. Tradotto: “abbiamo costruito un’arma incredibile, ma non usatela per qualcosa di importante”. Una contraddizione meravigliosa che ricorda certi contratti di finanza strutturata, perfetti sulla carta ma letali se applicati. L’azienda si premura di dire che i dati restano confidenziali e non vengono usati per addestrare modelli. Una rassicurazione necessaria per le imprese che tremano al solo pensiero di consegnare dati sensibili al cloud. Ma intanto, dietro le quinte, il vero gioco è nella velocità con cui le persone si abituano a chiedere cose complesse a un foglio di calcolo come se fosse un consulente.
La funzione è basata su GPT-4.1-mini, un modello più leggero ma sufficiente per generare riassunti, descrizioni di prodotto e classificazioni. Il nome “mini” è un dettaglio da manuale di marketing, perché in realtà è l’ennesima prova che l’IA non deve essere sempre gigantesca per essere utile. Un tool che gira in ufficio deve soprattutto essere veloce, discreto e abbastanza convincente da non sembrare un giocattolo. La limitazione di cento funzioni ogni dieci minuti è un compromesso tecnico che racconta un’altra verità: Microsoft teme l’abuso, teme che milioni di lavoratori possano usare Copilot come una droga e intasare i server con richieste compulsive.
La vera rivoluzione non si ferma a Excel. Microsoft sta sperimentando l’integrazione AI anche in Windows 11 con Copilot che diventa il motore di ricerca definitivo. Oggi cerchi un file per nome, data o estensione, domani potrai digitare “trova la ricetta della tostada di pollo che avevo aperto tre mesi fa” e il sistema te lo tirerà fuori come un mago di Las Vegas. È una trasformazione silenziosa, perché l’utente medio non percepisce di essere addestrato a pensare in termini di prompt descrittivi. In realtà è un training di massa: milioni di persone imparano, senza accorgersene, a formulare comandi naturali che l’IA traduce in query strutturate.
La nuova “home” di Copilot in Windows sembra quasi un confessionale digitale. Recenti app, file, conversazioni, tutto appare in un’interfaccia che somiglia a una vetrina dei tuoi movimenti più intimi. Selezioni un’app e Copilot lancia una Vision session che osserva il tuo schermo e ti guida passo dopo passo, con un’aria da tutor indulgente ma con gli occhi sempre puntati sulle tue azioni. La retorica ufficiale parla di “guidare l’utente”, la realtà è che Microsoft sta creando un’interfaccia universale che conosce il tuo contesto meglio di quanto tu lo conosca.
Il paradosso più affascinante è che questa evoluzione tecnologica si gioca tutta sulla fiducia. Copilot non accede a informazioni esterne, non naviga sul web, non prende decisioni al tuo posto. Però ti fa credere di sì. È la magia del linguaggio naturale: una formula come “=COPILOT(‘Create a description for this product based on its specs’, B2:B8)” sembra una chiacchierata, non un’operazione di calcolo. L’utente medio dimentica che si tratta di un modello probabilistico, incline all’errore, e inizia a trattarlo come una fonte autorevole. È qui che nasce il nuovo potere di Microsoft: non solo creare strumenti, ma trasformare il modo in cui percepiamo la competenza digitale.
Chi lavora nel corporate sa già che questa funzione verrà usata male. Verrà usata per scrivere presentazioni che nessuno leggerà, per classificare lamentele dei clienti con categorie inutili, per generare descrizioni di prodotti in e-commerce dove la vera concorrenza si gioca sui prezzi. Ma allo stesso tempo verrà usata benissimo: dal piccolo team che non ha risorse per fare analisi complesse, dal manager che ha bisogno di riassumere cinquanta pagine di feedback in cinque righe, dall’impresa che deve standardizzare migliaia di descrizioni senza impazzire. È questa ambiguità che rende la novità affascinante.
Chi teme che l’intelligenza artificiale porti via posti di lavoro dovrebbe guardare questo Copilot in Excel. Non toglie il lavoro del data analyst, ma cambia la sua funzione. L’analista non è più un esecutore di formule, diventa un curatore di prompt, un orchestratore di contesto. E questo vale anche per Windows: il lavoratore non è più costretto a ricordare percorsi di file e shortcut, può delegare tutto alla descrizione linguistica. In cambio, accetta di essere osservato, registrato e guidato in un ambiente che è sempre meno neutro e sempre più proattivo.
Il futuro che Microsoft sta vendendo non è quello di una IA onnipotente, ma di una IA integrata, pervasiva e invisibile. Non ti stupisce con effetti speciali, ti accompagna come un sottofondo costante, un collega silenzioso che prende nota, classifica e suggerisce. Ma la domanda rimane: siamo pronti a fidarci di un software che ci avverte, con la stessa leggerezza con cui si scrive una nota a piè di pagina, che potrebbe dare risposte sbagliate?
