Apple sta perdendo pezzi importanti nel suo cuore di intelligenza artificiale e il silenzio calcolato con cui Cupertino prova a gestire la narrativa dice più delle frasi ufficiali. Robby Walker, veterano del gruppo e figura centrale nel progetto Answers, Knowledge and Information, ha deciso di chiudere il capitolo dopo più di dieci anni. Non è un nome qualsiasi: Walker era arrivato con l’acquisizione della sua startup Cue nel 2013 e, prima ancora, aveva ceduto a Google Zenter, un’operazione che già allora aveva attirato l’attenzione della Silicon Valley. Se un uomo che ha lavorato a un sistema di ricerca proattivo e che ora guidava il nuovo progetto di web search basato sull’AI decide di alzarsi e andarsene, la domanda non è se Apple avrà un problema, ma quanto velocemente diventerà evidente.
L’uscita di Walker non è un caso isolato ma si inserisce in un esodo silenzioso che nelle ultime settimane ha svuotato i corridoi della divisione AI&ML di figure chiave. Jian Zhang, dieci anni in Apple e alla guida della ricerca in robotica, è già passato a Meta. Ruoming Pang, l’uomo che aveva messo in piedi il team dei modelli AI, non c’è più. Frank Chu, che teneva in piedi la complessa infrastruttura cloud e di training, si è trasferito negli uffici di Meta Superintelligence Labs. Una fuga verso Menlo Park che ha il sapore amaro della disillusione.
Quello che colpisce non è solo il numero crescente di partenze, ma la tipologia: non stiamo parlando di middle manager in cerca di nuove sfide, ma di architetti, ingegneri e scienziati che hanno plasmato i mattoni fondamentali dei sistemi di intelligenza artificiale interni ad Apple. Se aggiungiamo le defezioni di John Peebles, Nan Du, Zhao Meng, Tom Gunter, Mark Lee, Bowen Zhang e Yun Zhu, tutti traghettati verso Meta, il quadro diventa chiaro. Meta sta facendo shopping con la determinazione di chi sa che il capitale umano vale più di qualsiasi data center.
Dietro questa dinamica c’è una verità scomoda che Apple sembra non voler affrontare: la sua cultura di segretezza e controllo non si sposa bene con la frenesia sperimentale che caratterizza il settore AI. L’intelligenza artificiale generativa non è un prodotto da lucidare per tre anni in silenzio prima di presentarlo sul palco con il logo illuminato, è un ecosistema che vive di iterazioni rapide, di rilasci imperfetti, di fallimenti pubblici che diventano opportunità di miglioramento. Se da un lato Apple punta a un’integrazione raffinata e invisibile della AI nei suoi prodotti, dall’altro rischia di trovarsi fuori dal tavolo dove si stanno ridefinendo le regole del gioco.
L’ironia è che Walker stava lavorando proprio a un sistema di ricerca basato sull’AI, in un momento in cui Google si aggrappa disperatamente al suo monopolio della search e Microsoft inietta miliardi in OpenAI per scardinare lo status quo. Per Apple, che da anni flirta con l’idea di avere una propria search engine per ridurre la dipendenza da Google, perdere chi guidava quel progetto equivale a lasciare un aereo in fase di decollo senza pilota.
Non sorprende che Meta sia la principale destinazione di questi transfughi. L’azienda di Zuckerberg ha capito che la guerra dell’AI non si vince solo con modelli open source come LLaMA, ma con cervelli che sappiano costruire infrastrutture scalabili e prodotti concreti. Il fatto che Meta stia raccogliendo così tanti ex Apple fa pensare a una strategia chirurgica: drenare talento da chi è culturalmente più rigido e convinto di poter gestire l’AI con la stessa filosofia con cui disegna un iPhone.
Gli investitori osservano. A Wall Street il titolo AAPL continua a beneficiare del mito di Cupertino, ma sotto la superficie la domanda è quanto a lungo Apple potrà rimanere irrilevante nel dibattito sull’intelligenza artificiale generativa senza pagare un prezzo. Tim Cook ripete che la compagnia ha “progetti straordinari” in pipeline, ma il mercato non è più disposto ad aspettare all’infinito. In questo contesto la parola chiave è fuga di talenti e i numeri raccontano un trend che non può essere minimizzato come naturale turnover.
La verità è che la leadership AI non si costruisce solo con miliardi di cash flow, ma con la capacità di trattenere i pionieri e di dar loro spazio. Quando il capitale umano inizia a preferire Meta a Apple, nonostante la reputazione e la solidità del brand, significa che qualcosa si è incrinato. Walker e gli altri non sono soltanto dipendenti, sono pezzi di memoria istituzionale, portatori di know-how critico che non si ricostruisce con un paio di nuove assunzioni.
Il paradosso finale è che Apple, la compagnia che ha sempre venduto l’idea di semplificazione e perfezione, si trova oggi a dover dimostrare di saper correre in un’arena che non perdona lentezze. L’uscita di Robby Walker è un segnale, non l’ultimo capitolo. Se Cupertino non cambierà approccio, la sua intelligenza artificiale rischia di restare un gioiello invisibile, elegante ma irrilevante, mentre i concorrenti si spartiscono la scena globale.