Jony Ive ha deciso di rompere il silenzio e di scuotere il mondo tech con un giudizio tagliente: smartphone e tablet ci hanno intrappolati in un rapporto scomodo con la tecnologia. Parole pronunciate al DevDay 2025 di OpenAI, davanti a Sam Altman, che non hanno nulla di diplomatico.

“Quando ho detto che abbiamo un rapporto scomodo con la nostra tecnologia, intendo che questa è la più oscena sottovalutazione”,

ha dichiarato Ive, senza giri di parole, facendo capire che l’era dei dispositivi che dominano la nostra vita quotidiana ha creato ansia, disconnessione e una sorta di alienazione tecnologica.

Il punto di Ive non è solo critico: è un manifesto.

“Abbiamo la possibilità non solo di correggere questa situazione, ma di cambiarla radicalmente. Non dobbiamo accettare che questo debba essere la norma”.

Qui non si tratta di marketing o di slogan da keynote: Ive immagina dispositivi che possano restituire all’utente emozioni positive, calma e senso di connessione, allontanandosi dall’ossessione per notifiche, schermate e like compulsivi.

Dopo quasi trent’anni ad Apple, dove ha firmato i capolavori che hanno definito un’epoca, dall’iMac all’iPhone, Ive ha scelto OpenAI per realizzare la sua visione di tecnologia empatica. La sua startup io è stata acquisita da OpenAI per 6,5 miliardi di dollari, e lui ora guida un team che esplora da 15 a 20 idee di prodotti basati su AI. La sua missione è chiara: creare dispositivi che “rendano felici, soddisfatti, più pacifici e meno disconnessi”.

La filosofia di design di Ive ha sempre bilanciato estetica e funzionalità, ma oggi il focus è emotivo. I nuovi dispositivi non saranno più strumenti freddi e distaccati, ma compagni, capaci di interagire senza imporsi, di anticipare bisogni, e di democratizzare l’esperienza tecnologica.

“Devono essere meno esclusivi, perché l’AI sta diventando un tipo di livellatore in termini di accessibilità economica”,

ha sottolineato. L’idea è che la tecnologia possa diventare un ponte e non un muro, accessibile a tutti senza perdere raffinatezza e cura del design.

Il tono di Ive è quasi visionario: non si limita a immaginare gadget futuristici, ma ridefinisce il concetto stesso di prodotto tecnologico.

“Non ho mai incontrato nella mia carriera nulla anche lontanamente simile alla capacità che stiamo iniziando a vedere”,

ha detto, riferendosi alle potenzialità della AI di trasformare l’interazione uomo-macchina. L’ironia sottile emerge nell’osservazione che fino a ieri progettare un telefono era considerato il culmine del design, mentre oggi la sfida vera è restituire all’utente pace e felicità.

Lavorando con LoveFrom, la sua società indipendente di design, Ive integra musicisti, artisti, architetti e filmmaker in un ecosistema creativo che alimenta OpenAI. Il risultato potrebbe essere qualcosa che trascende l’oggetto: un’esperienza che non solo soddisfa bisogni funzionali, ma risponde a esigenze emotive e cognitive, ridefinendo il concetto stesso di dispositivo personale.

Questa svolta ha un significato più profondo per chi osserva il mondo tech: dopo decenni di innovazioni che hanno amplificato stress, dipendenza da notifiche e frammentazione dell’attenzione, Ive propone un nuovo paradigma, dove la tecnologia non domina la vita, ma la completa. È una visione audace, provocatoria, quasi filosofica. La domanda che emerge spontanea è se l’industria tech saprà seguire questa direzione, o continuerà a proporre oggetti che rincorrono velocità e funzionalità a discapito del benessere umano.

Il discorso di Ive non ha rivelato dettagli sui prodotti finali o sui costi, ma il messaggio è chiaro: stiamo entrando in un’era in cui design e AI non saranno più strumenti di status o lusso, ma mezzi per creare connessione, felicità e inclusività. È una provocazione per il settore, ma anche una promessa: la tecnologia può essere gentile, empatica, democratica, e finalmente capace di rispettare l’essere umano che la utilizza.

Jony Ive non sta progettando semplici gadget, sta ridisegnando il rapporto tra noi e la tecnologia, e lo fa con il taglio ironico e autorevole di chi conosce il potere della forma e della funzione, ma sa che senza emozione e inclusività ogni innovazione resta incompleta. L’era dei dispositivi oppressivi potrebbe davvero volgere al termine, se i nuovi prodotti AI sapranno rendere la tecnologia non più scomoda, ma desiderabile, serena e profondamente umana.