Un caffè al Bar dei Daini
A ottobre 2025 gli Stati Uniti voltano pagina: i crediti fiscali federali per i veicoli elettrici (EV), una volta in grado di offrire fino a 7.500 dollari per veicolo, sono ufficialmente scaduti. Questi incentivi, introdotti con il Inflation Reduction Act del 2022, sono stati per anni il carburante finanziario che ha reso più digeribile l’acquisto di EV e ha spinto le case automobilistiche a investire in produzione. La loro cessazione genera interrogativi ben più grandi delle cifre in gioco: come manterrà il Paese lo slancio nella transizione verso un trasporto pulito?
I numeri che pesano
Il 30 settembre 2025 segna la fine definitiva dei crediti da 7.500 USD per i veicoli nuovi e 4.000 USD per quelli usati. Non è un’ipotesi: è realtà legislativa sancita dal nuovo bilancio federale. Il risultato potrebbe essere brutale: secondo uno studio condotto nel 2024 da studiosi di Berkeley, Duke e Stanford, le registrazioni di EV potrebbero calare del 27 % senza il sostegno fiscale. I dirigenti dell’industria automobilistica sono pronti a parlare di “crollo” delle vendite. Jim Farley, CEO di Ford, prevede che il mercato EV possa scendere dal 10-12 % delle vendite totali al 4-5 %.
Le forze che reggevano il mercato
Per anni quel credito fiscale ha svolto due ruoli strategici: da un lato attutiva l’impatto del prezzo iniziale elevato degli EV; dall’altro rendeva più prevedibile il ritorno sugli investimenti per i produttori. Quel doppio effetto ha creato una dinamica virtuosa, permettendo crescite che difficilmente si sarebbero verificate in un mercato “libero” con solo le leggi della domanda e dell’offerta. Senza quel tappeto sottile, la forbice di costo tra veicolo elettrico e veicolo a combustione diventa più fastidiosa: anche se nel ciclo vita un EV può risultare più economico per carburante e manutenzione, l’ostacolo dell’investimento iniziale rimane un deterrente psicologico ed economico concreto.
L’economia del cambiamento
Già nelle settimane successive alla scadenza, alcune dinamiche interessanti emergono — e confermano che gli operatori non intendono piangersi addosso. Tesla, per esempio, ha aumentato i canoni di leasing sui propri modelli, pur mantenendo invariati i prezzi d’acquisto, perché parte del costo del credito era stato incorporato nei pagamenti mensili. GM e Ford hanno escogitato stratagemmi contabili: le loro società finanziarie stanno acquistando EV invenduti nei concessionari, permettendo di usare ancora indirettamente i benefici fiscali e trasferire risparmi sui clienti tramite leasing. Stellantis e BMW replicano sconti “interni” da 7.500 USD per veicoli elettrici già in stock. Seque dunque una riduzione prudente delle produzioni, come già annunciato da GM.
Il bivio
Questo momento è un crocevia: può emergere un mercato più resiliente e competitivo o un arresto della corsa alla mobilità elettrica. Alcuni sostengono che l’eliminazione dei crediti costringerà i produttori a comprimere i costi, adottare tecnologie più efficienti e puntare su modelli di scala che non dipendano da sussidi. Altri avvertono che, proprio mentre la Cina spinge con forza sull’EV globally, un rallentamento statunitense può significare perdere terreno competitivo.
L’urgenza climatica
Resta un fatto. Nel contesto U.S., il settore del trasporto è responsabile per circa il 30 % delle emissioni totali. Se la transizione rallenta, il cammino verso gli obiettivi climatici rischia di deragliare. Il mercato EV non è un lusso ideologico: è un pilastro tecnologico dell’azione climatica.
La posta in gioco
Senza credito fiscale, tutto si gioca su tre leve: riduzione rapida dei costi (batterie, materiali, produzione), fiducia del consumatore (durabilità, garanzie, trasparenza sullo stato delle batterie) e adeguata infrastruttura di ricarica. I prossimi mesi decideranno se il settore saprà adattarsi o se si prenderà una pausa perhiatus.