Marc benioff, il cofondatore e ceo di salesforce, ha dimostrato che anche i leader tecnologici più navigati possono inciampare tra tweet, conferenze e pressione mediatica. All’inizio della settimana aveva dichiarato, con una sicurezza che avrebbe fatto impallidire un trader in crisi, che il presidente trump avrebbe dovuto inviare la guardia nazionale a san francisco per contrastare la criminalità. La dichiarazione, rilasciata al new york times, sembrava un controsenso rispetto alla sua immagine progressista, nota per le donazioni a cause filantropiche e l’impegno sociale.

Il polverone è stato immediato. Sindaco, attivisti e giornalisti hanno storto il naso, chiedendosi se salesforce stesse davvero pensando alla sicurezza dei cittadini o solo alla buona riuscita di dreamforce. La situazione si è complicata quando è emerso che l’azienda stava cercando di registrare l’immigration and customs enforcement come cliente per il suo software di intelligenza artificiale, aggiungendo benzina sul fuoco delle polemiche.

Di fronte all’ondata di critiche, benioff ha deciso di fare marcia indietro. Su x ha scritto che il suo commento precedente era nato da un eccesso di cautela riguardo all’evento e ha chiesto scusa per la preoccupazione causata. Il gesto, apparentemente sincero, ha lasciato molti scettici. Alcuni hanno parlato di semplice strategia di pubbliche relazioni, altri di un CEO costretto a bilanciare la propria immagine progressista con pressioni politiche e commerciali.

Questa vicenda mette in luce il ruolo sempre più delicato dei leader tecnologici nella sfera pubblica. Le dichiarazioni di benioff hanno mostrato che anche una frase detta con leggerezza può generare conseguenze profonde. Le contraddizioni tra i valori dichiarati e le azioni pratiche dell’azienda mostrano quanto sia fragile la reputazione di un leader che deve navigare tra pressione mediatica, responsabilità aziendali e sensibilità civica.

Dreamforce, che dovrebbe essere una celebrazione dell’innovazione, si è trasformato in un campo di battaglia politico. Ogni commento del ceo viene esaminato, ogni marcia indietro interpretata. In un mondo polarizzato, anche le aziende più iconiche non possono permettersi errori di comunicazione. Salesforce, pur avanzando tra algoritmi e intelligenza artificiale, ha scoperto che la politica locale può essere più complessa di qualsiasi sistema CRM.

Benioff ha scelto di salvare la faccia. Ha ribadito che san francisco non ha bisogno di truppe federali per garantire la sicurezza, che la città ha strumenti e forze locali sufficienti. La sua retromarcia è stata necessaria, ma ha lasciato il pubblico a riflettere sul confine sempre più sottile tra business, politica e morale pubblica. Ogni dichiarazione di un CEO di alto profilo ora è potenzialmente un terremoto mediatico, e la lezione è chiara: le parole contano quanto i numeri.

La vicenda fa anche riflettere sulla strategia commerciale dietro le quinte. Cercare di vendere software di intelligenza artificiale all’ice mentre si dichiara un sostegno a truppe federali rischia di trasformare la leadership in una danza tra ipocrisia e opportunismo. Salesforce ha imparato che innovazione e PR non sempre camminano di pari passo, e che un errore di comunicazione può costare più di una campagna di marketing fallita.

Marc benioff resta un visionario, ma Dreamforce 2025 ha ricordato che anche i visionari devono fare i conti con la realtà politica. La guardia nazionale non arriverà a san francisco, ma le onde generate dalle sue dichiarazioni continueranno a muoversi nel settore tecnologico, nei media e tra gli investitori. La morale, cinica quanto basta, è che nel mondo della tecnologia la strategia più sofisticata può essere sabotata da un tweet sbagliato o da un commento impulsivo.