Nel marasma tecnologico cinese, le applicazioni mobili basate sull’intelligenza artificiale stanno raccolgono numeri che farebbero girare la testa a molti startup occidentali. Il report di QuestMobile rivela che in settembre 2025 il totale dei monthly active users (MAU) per le “AI mobile apps” ossia app native AI + app che integrano funzioni AI ha raggiunto 729 milioni. Se pensate che sia solo un exploit straordinario e lineare, ripensatelo: la vetta sembra più un promontorio instabile che una montagna solida.
Le app native AI quelle progettate fin dall’inizio con l’IA al centro totalizzano 287 milioni MAU.Le app “in‑app AI”, che offrono caratteristiche intelligenti integrate in altre app, segnano addirittura 706 milioni MAU. Eppure, la festa dei numeri è temperata da un avvertimento: quasi il 60 % delle app native AI ha perso utenti nel terzo trimestre.
Da Technologist con occhio strategico dico: in un ecosistema in espansione come questo, crescita apparente non significa automazione del successo. Quando tutti corrono, la medaglia d’oro diventa più cara.
Il dominio di pochi attori
Nel segmento “native AI app” il panorama è già dominato da un paio di big. Doubao, lo chatbot del gruppo ByteDance, guida con 172 milioni di utenti MAU in settembre. Seconda è DeepSeek con 145 milioni. Il terzo incomodo è Yuanbao, del gruppo Tencent Holdings, con circa 33 milioni.
Questo evidenzia un effetto “Matthew” (i vincenti vincono): il mercato si concentra e dà poco spazio ai piccoli.
Le app in‑app AI, invece, mostrano come l’AI stia penetrando in funzione ‘più che prodotto standalone’. Per esempio la funzione “AI search” di Baidu guida con 347 milioni di utenti attivi mensili, seguita da Douyin (215 milioni) e WeChat (166 milioni).
Qui si coglie un elemento strategico importante: l’AI non sta soltanto creando “app nuove”, sta penetrando in quelle già esistenti – e con già una base utenti enorme.
Il paradosso dell’espansione: tanti utenti, pochi profitti garantiti
Per un Technologist abituato a guardare metriche e modelli di business, queste cifre suonano suggestive ma anche inquietanti. Il fatto che quasi il 60 % delle app native AI perda utenti indica che l’innesco virale non basta. Il mercato sta entrando in una fase di consolidamento, non di esplosione “libera”.
QuestMobile lo descrive chiaramente: «Per nuovi entranti o app medio‑piccole, la finestra per costruire con successo un’app native AI si sta restringendo». Chi sperava di lanciare un’app AI generica e “lasciarla scalare” si trova davanti al muro della maturazione del mercato.
Le variabili critiche: verticalizzazione e valore reale
Un passaggio chiave del report: lo sviluppo vincente non passa più solo dalla capacità modaiola di aggiungere “AI” al prodotto, ma dalla profondità verticale (esempi: salute, finanza, educazione professionale) e da un valore utente sostenibile.
Per esempio, l’app di salute AI AQ, lanciata da Ant Group nel giugno 2025, è salita al settimo posto con 7,9 milioni di utenti, segnando una crescita di +83 % rispetto al secondo trimestre.
Questo evidenzia che le “nicchie verticali” possono ancora offrire margini di accelerazione: ma serve specializzazione, investimenti e posizionamento forte.
Implicazioni strategiche e domestiche per gli operatori occidentali
Da osservatore esterno e attore globale, queste dinamiche suggeriscono alcune lezioni che vanno ben oltre la Cina. Primo: l’AI come “funzione aggiuntiva” (in‑app) diventa mainstream prima che l’AI come “app dedicata”. Se si gestisce un ecosistema digitale, integrare capacità IA nelle app esistenti può essere meno rischioso e più scalabile.
Secondo: dominare numeri enormi non garantisce la fidelizzazione. Il calo utenti nelle native mostra che retention e valore percepito contano. Terzo: il mercato assume connotazione oligopolistica molto presto; arrivare secondi o terzi significa margini ridotti.
Infine: dal punto di vista del product‑management, la corsa alle “feature IA” deve essere accompagnata da un vero modello di business, dalla gestione dei costi degli upgrade modelli, dalla governance dei dati, dalla compliance (in Cina come in Occidente). Il fatto che le principali update dei modelli fra le quattro grandi aziende cinesi si dicano ricorrere ogni 3‑8 giorni sottolinea l’alta intensità competitiva.
Curiosità “da Technologist ”
Un dettaglio divertente: mentre il mercato native AI sala a 287 milioni, il numero per “in‑app AI” è 706 milioni. Non si tratta di errore: segna che la modalità “AI come supporto integrato” è ormai più vasta di quella “AI come app principale”. E questo è un segnale forte per chi sviluppa contenuti o servizi digitali: occorre pensare “AI everywhere” più che “un’app AI”.
Un altro punto: il declino degli utenti nelle app native mostra che l’effetto novità dura poco. L’AI hype non basta: serve roi concreto. Sarebbe interessante chiedersi: qual è il tempo medio di sessione in queste app? Qual è il tasso di conversione verso modelli monetari? Non lo dice il report, ma questi sono i KPI cruciali che un CTO‑CEO deve chiedersi.
La keyword app ai cina si inserisce in un contesto dove la “massa utenti” è raggiunta, la “difesa competitiva” si consolida, e il “valore sostenibile” diventa la vera barriera all’ingresso. Se stai pensando di replicare il modello in Occidente, ricorda che la Cina è avanti non solo per numeri, ma per dinamiche: integrazione rapida, scalabilità attraverso prodotti di largo utilizzo, e una selezione severa – solo i fortissimi resteranno.