
Il tempo dedicato alla discussione sull’Indo-Pacifico durante l’ultimo vertice dei ministri degli esteri dell’Unione Europea a Bruxelles è stato di appena sette minuti. Sette. È un dato che basterebbe da solo a raccontare la misura del disorientamento strategico del continente. L’Europa parla di autonomia, indipendenza e resilienza ma poi si perde in una conversazione lampo su uno dei dossier più cruciali del XXI secolo. Il resto del mondo, nel frattempo, si muove, firma accordi, stabilisce priorità e costruisce le architetture geopolitiche del futuro.
Il problema non è nuovo ma oggi è diventato strutturale. Mentre gli Stati Uniti e la Cina ridisegnano la mappa del potere globale, Bruxelles appare distratta, frammentata e sostanzialmente irrilevante. Eppure non mancano i proclami. Ogni settimana si invoca “l’Europa sovrana”, “l’autonomia strategica”, “la difesa dei nostri interessi”. Poi però la realtà bussa alla porta con una brutalità quasi didattica.
L’episodio Nexperia, l’azienda di semiconduttori olandese di proprietà cinese, è l’emblema di questa impotenza. Il governo dei Paesi Bassi ha estromesso la dirigenza cinese citando questioni di governance, ma lo ha fatto il giorno prima che gli Stati Uniti inserissero Nexperia nella loro blacklist per motivi di sicurezza nazionale. Tempismo perfetto, direbbe qualcuno a Washington. Le carte processuali hanno rivelato un pressing americano dietro le quinte, e Bruxelles, come sempre, è rimasta a guardare, informata a posteriori da Pechino e Washington sul “nuovo accordo”.
Quando la Commissione Europea si limita a dire di confidare che le forniture di chip riprenderanno “nei prossimi giorni”, la scena sembra tratta da una commedia geopolitica: due superpotenze giocano una partita di scacchi ad alta tecnologia e l’Europa fa da pedina di cortesia. Ursula von der Leyen ha persino vietato al suo team di evocare l’uso dell’Anti-Coercion Instrument, l’arma commerciale pensata per rispondere a pressioni economiche esterne. Si teme troppo di provocare ritorsioni cinesi. L’autonomia strategica, a quanto pare, è un concetto condizionale.
Nel frattempo, i leader europei si sono ritirati da un summit in America Latina, proprio nel momento in cui il continente cercava di diversificare le fonti di minerali critici rispetto alla Cina. Decisione motivata dal timore di irritare Donald Trump, in piena lite diplomatica con Bogotá. Si parla di “Europa indipendente” ma si agisce come se la Casa Bianca dovesse approvare ogni mossa.
Gli esperti sono lapidari. Alexandre Ferreira Gomes del Clingendael Institute afferma che “il caso Nexperia è stato un bagno di realtà: siamo ancora prigionieri della competizione tra potenze maggiori”. È la diagnosi più onesta che si possa fare. Invece di una strategia, l’Europa ha un mosaico di politiche incoerenti, dove ogni capitale nazionale interpreta la Cina secondo il proprio interesse domestico. Berlino minaccia Pechino su Taiwan e poi invia il suo vicecancelliere a stringere rapporti di partito con il Partito Comunista Cinese. Parigi spinge per colpire Pechino con lo strumento anti-coercizione ma nel frattempo Macron prepara una visita ufficiale a Xi Jinping. È come assistere a una sinfonia suonata da ventisette orchestre diverse, senza direttore.
Nel frattempo la Commissione tenta di mostrare i muscoli. Ha avviato in pochi giorni tre indagini commerciali contro aziende cinesi, dal nichel alle gomme per auto, fino alle ferrovie. Ma il sospetto, ormai diffuso, è che queste azioni siano più simboliche che strategiche. Francesca Ghiretti, del Rand Europe China Initiative, si domanda apertamente quale sia lo scopo finale di queste misure: “Sembra che cerchiamo un approccio equo al commercio per principio, senza sapere esattamente dove vogliamo arrivare.”
Il paradosso esplode nel settore più vitale per il futuro europeo: la tecnologia. Volkswagen ha appena annunciato che svilupperà una linea di chip di intelligenza artificiale in Cina. Sì, in Cina. Mentre Bruxelles discute di come difendersi dalla concorrenza cinese, le sue multinazionali scelgono Pechino come piattaforma per innovare. Tariffe, indagini e proclami non hanno creato un’industria più forte, solo più confusa.
Sul piano geopolitico, il copione è simile. Kaja Kallas, ex premier estone e attuale alto rappresentante per la politica estera dell’UE, continua a denunciare la complicità di Pechino con Mosca nella guerra in Ucraina. Posizione moralmente comprensibile ma diplomaticamente suicida: in India, gli interlocutori europei si sono chiesti se stavano negoziando con “l’Estonia o l’Unione Europea”. La domanda è più profonda di quanto sembri.
L’Europa sembra incapace di concepirsi come soggetto geopolitico autonomo. Vive in una relazione di dipendenza permanente: dagli Stati Uniti per la sicurezza, dalla Cina per le forniture, dalla Russia per l’energia, e persino da se stessa per la coerenza interna. Ogni volta che tenta di prendere posizione, un membro si sfila, un altro media, un terzo blocca. L’unico consenso condiviso è l’inazione.
Il risultato è che mentre Xi e Trump si scambiano strette di mano, l’Europa diventa oggetto di conversazione, non interlocutore. Gli accordi sulla gestione dei minerali rari e sulle catene di fornitura vengono negoziati a due, mentre la terza parte interessata viene “informata”. John Delury, storico americano, ha scritto che per Pechino “l’Europa non è una priorità”. Non c’è un piano per strapparla all’orbita americana, semplicemente perché non serve. Viene trattata come un’appendice.
Wolfgang Munchau, voce cinica e lucida del dibattito europeo, ha definito la diplomazia europea verso la Cina “un disastro totale”. E ha aggiunto che, in uno stato di dipendenza come quello tedesco dai minerali rari cinesi, servirebbe diplomazia di livello professionale, non improvvisazioni da governo locale.
È difficile dargli torto. L’Europa si è messa da sola ai margini della storia, trasformando la sua retorica di potenza normativa in una forma di impotenza regolamentata. La sua politica verso la Cina, che avrebbe dovuto essere l’arena della sua maturità geopolitica, è diventata il teatro della sua irrilevanza. Mentre gli altri scrivono le regole del nuovo ordine mondiale, Bruxelles compila note verbali e avvia indagini preliminari.
La verità, per quanto amara, è che l’Europa non è un attore nel confronto tra Stati Uniti e Cina, ma una variabile accessoria. Non decide più nulla che conti davvero. La crisi Nexperia non è solo una disputa industriale: è il simbolo della progressiva marginalizzazione di un continente che ha dimenticato il senso della propria ambizione. Se l’Unione vuole recuperare centralità, dovrà prima decidere se vuole davvero giocare la partita o continuare a guardarla dallo schermo, applaudendo quando la telecamera mostra il suo logo tra gli sponsor.