In un contesto tecnologico in cui la concorrenza sul terreno dell’intelligenza artificiale non è più un’opzione ma un campo di battaglia strategico, l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) italiana ha deciso di fare sul serio. Mercoledì ha annunciato l’ampliamento dell’indagine su Meta Platforms per presunto abuso di posizione dominante: questa volta, nel mirino ci sono le nuove condizioni di WhatsApp Business Solution e le funzionalità AI che Meta sta integrando nell’app di messaggistica.
Il fulcro del problema è duplice. Primo, i nuovi termini contrattuali introdotti il 15 ottobre 2025 da Meta per WhatsApp Business Solution. Secondo, l’integrazione di strumenti di interazione con Meta AI direttamente su WhatsApp, che l’Autorità teme possano escludere concorrenti dal mercato emergente dei chatbot AI. L’AGCM accusa Meta di aver disegnato le regole in modo tale da “limitare la produzione, l’accesso al mercato o lo sviluppo tecnico” delle piattaforme concorrenti di AI chatbot.
L’indagine originale era partita a luglio 2025, quando l’Autorità aveva già messo sotto esame Meta per aver preinstallato il suo servizio Meta AI in WhatsApp e per la posizione dominante dell’azienda nel mercato delle app di comunicazione. Secondo l’AGCM, questa integrazione non era neutra: Meta AI è posizionata in modo prominente (anche nella barra di ricerca dell’app) e potrebbe “orientare” gli utenti verso i servizi di Meta, bloccando di fatto altre soluzioni, non per merito, ma per semplice visibilità.
Questa non è una semplice accusa teorica: l’AGCM ha anche avviato un procedimento cautelare ex art. 14-bis della legge italiana 287/1990, il che significa che sta valutando l’adozione di misure urgenti. In pratica, potrebbe imporre restrizioni ai nuovi termini di WhatsApp Business e alle funzionalità AI integrate, anche prima della conclusione formale dell’istruttoria.
Il rischio competitivo evidenziato è concreto: se Meta blocca altri AI chatbot dall’uso di WhatsApp Business, potrebbe consolidare un monopolio anche nel segmento emergente degli assistenti generativi, usando la sua base utenti enormemente diffusa. L’Autorità spiega che “i consumatori hanno scarsa propensione a cambiare le abitudini”, quindi una volta incanalati su Meta AI diventa difficile per le alternative ottenere trazione.
Meta, però, non ci sta a passare per il cattivo della storia. Secondo dichiarazioni riportate dall’ANSA, l’azienda definisce “infondati” i rilievi dell’Autorità. Secondo Meta, l’aggiornamento dei termini non avrebbe un impatto negativo su “decine di migliaia di imprese che usano WhatsApp per il customer support o per comunicare con i clienti”, né impedirebbe ai business di usare il loro “assistente AI preferito”.
Da un punto di vista regolatorio, l’AGCM si appoggia su quella che potrebbe essere una violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che vieta l’abuso di una posizione dominante. Se confermata, l’accusa è seria: essa minaccia di “erosione irreparabile della contendibilità del mercato”, secondo l’Autorità, proprio a causa dell’effetto lock-in che Meta potrebbe generare su WhatsApp.
C’è anche un elemento tecnico-strategico che pochi sottolineano: Meta non sta solo spingendo il proprio chatbot, ma potrebbe usare i dati e le interazioni su WhatsApp per “addestrare” il suo modello di AI, rafforzando ulteriormente il vantaggio competitivo. In altre parole, non solo Meta AI vive su WhatsApp, ma WhatsApp alimenta Meta AI.
L’inchiesta italiana si inserisce in un trend europeo più ampio di controllo su Big Tech e generative AI: piattaforme con una base utente gigantesca come WhatsApp non sono più viste solo come semplici app di messaggistica, ma come portali strategici per distribuire AI.
La posta in gioco è alta: se l’AGCM dovesse intervenire con misure cautelari, potrebbe forzare Meta a rendere più aperti i suoi termini per WhatsApp Business, o limitarne l’integrazione AI. È anche un segnale per l’intero ecosistema tecnologico: non basta avere gli utenti, serve garantire che l’accesso all’AI rimanga competitivo.
Meta, da parte sua, manterrà probabilmente un atteggiamento difensivo. Ma per gli altri attori nel mercato dell’AI startup, provider di chatbot, imprese questa sfida dell’Antitrust può rappresentare un’opportunità. Se vinta, potrebbe riaprire le porte di WhatsApp ad AI indipendenti; se persa, rischiano di essere definitivamente sbarrate.
Press: https://en.agcm.it/en/media/press-releases/2025/11/A576