La notizia è di quelle che fanno sobbalzare chiunque abbia passato anche solo dieci minuti seri a capire come funziona davvero l’industria dei semiconduttori. La Cina avrebbe costruito un prototipo funzionante di macchina per la litografia ultravioletta estrema, la famigerata EUV, l’oggetto più complesso mai entrato in una fabbrica.

Non un nuovo smartphone, non un algoritmo miracoloso, ma una macchina che letteralmente decide chi può produrre il silicio del futuro e chi no. Per anni l’EUV è stata sinonimo di ASML, Olanda, filiera occidentale, controllo politico prima ancora che tecnologico.

Ora qualcuno ha osato toccare il santuario.La keyword centrale qui è litografia EUV, perché tutto ruota attorno a questo passaggio industriale che separa i chip maturi da quelli avanzati, i 7 nanometri reali dai 3 e dai 2 che popolano le slide di marketing e le roadmap militari. Senza EUV non esistono processi avanzati in senso moderno.

Esistono compromessi, trucchi, multi patterning estremo, costi che esplodono e rese che crollano. La Cina lo sa da almeno un decennio. Washington lo sa ancora meglio ed è per questo che ha costruito attorno a ASML una gabbia geopolitica che farebbe invidia alla Guerra Fredda.

Il prototipo cinese, secondo quanto trapelato, nasce da un’operazione che nel mondo occidentale si finge di non vedere ma che nella storia dell’industria è la norma. Reverse engineering. Non l’hacking romantico dei film, ma l’analisi sistematica, ossessiva, quasi chirurgica di ogni sottosistema, di ogni tolleranza meccanica, di ogni catena di fornitura. L’EUV non è una macchina, è un ecosistema che spara luce a 13,5 nanometri generata da plasma di stagno colpito da laser CO2, riflessa da specchi con precisione atomica prodotti da Zeiss, il tutto in vuoto spinto, con vibrazioni che devono essere inferiori a quelle di un atomo di silicio leggermente nervoso.Pensare che basti copiare una EUV è ingenuo.

Pensare che sia impossibile replicarla è altrettanto ingenuo. La Cina non sta cercando l’eleganza ingegneristica di ASML, sta cercando la sufficienza funzionale. Un prototipo che espone wafer, che allinea maschere, che produce pattern coerenti, anche con rese inizialmente ridicole. Perché nella manifattura avanzata il tempo è un moltiplicatore, non un costo. Se nel 2028 Pechino riuscirà a produrre chip funzionanti con una EUV domestica, anche imperfetta, il monopolio mentale prima ancora che tecnologico sarà finito.

Qui entra in gioco Huawei, nome che in Occidente viene ancora pronunciato con il tono con cui si parlava di IBM negli anni Sessanta, cioè come una minaccia sistemica più che come un’azienda. Huawei non è solo uno sviluppatore di chip o un produttore di smartphone, è un integratore industriale con capacità di coordinamento che ricordano più un programma spaziale che una corporation. Migliaia di ingegneri, università, istituti statali, fornitori locali di ottica, meccanica di precisione, controllo numerico, software di processo.

Una versione aggiornata del modello Manhattan Project, senza il fumo della bomba ma con molto più silicio.Il punto che molti commentatori occidentali fingono di ignorare è che l’EUV non è magia. È fisica estrema, ingegneria esasperata e supply chain disciplinata. Tre cose in cui la Cina ha dimostrato di saper investire con una pazienza che le democrazie liberali hanno smarrito da tempo.

Gli Stati Uniti hanno puntato tutto sul controllo delle esportazioni, convinti che negare l’accesso a una tecnologia equivalga a congelare il tempo. È una visione rassicurante, politicamente vendibile, ma storicamente fragile. Ogni embargo tecnologico ha prodotto due risultati. Ritardi nel breve periodo e autonomia forzata nel medio.La keyword correlata qui è sovranità tecnologica, concetto spesso usato come slogan ma raramente analizzato nella sua brutalità industriale.

La sovranità tecnologica non è avere startup brillanti o brevetti, è controllare le macchine che producono le macchine. L’EUV è l’ultimo anello di una catena che parte dalla chimica dei photoresist, passa per i laser ad alta potenza, attraversa il software di controllo in tempo reale e finisce nella metrologia atomica. Se anche solo uno di questi anelli resta occidentale, il sistema resta vulnerabile.

La Cina sta chiaramente puntando a spezzare l’intera catena.C’è poi l’argomento che nei salotti finanziari viene sussurrato ma raramente scritto. Anche se la EUV cinese fosse peggiore, più lenta, meno affidabile, il costo politico di bloccarla sarebbe immensamente superiore al beneficio tecnologico. Una volta dimostrata la fattibilità, ogni sanzione diventa acceleratore. Ogni divieto diventa un capitolo in più del manuale interno di come fare a meno dell’Occidente. È una dinamica che chiunque abbia gestito una grande organizzazione riconosce immediatamente.

La pressione esterna crea allineamento interno. Perché il vero obiettivo non è produrre chip per frigoriferi o microcontrollori automotive. Quelli la Cina li domina già. L’obiettivo sono acceleratori AI, processori per data center, chip per radar, per crittografia, per simulazioni militari. L’EUV è il passaporto per questo club. Non garantisce il successo, ma senza di esso non si entra nemmeno nella sala d’attesa.

Nolti degli ingegneri coinvolti nel progetto abbiano lavorato in passato proprio per ASML. La globalizzazione ha insegnato competenze con una generosità che ora l’Occidente sembra voler rinnegare. Le persone si muovono, le idee viaggiano, le competenze si sedimentano. Pensare di poter bloccare tutto con una lista di controllo delle esportazioni è come credere di fermare internet con una diga.Dal punto di vista industriale il 2028 non è domani, ma non è nemmeno un orizzonte fantascientifico.

Chi lavora su roadmap tecnologiche sa che cinque anni sono sufficienti per trasformare un prototipo rozzo in una macchina industriale accettabile, se il vincolo di costo è secondario rispetto a quello strategico. E in Cina il costo non è mai stato il primo criterio quando si parla di infrastrutture critiche.Il mercato globale dei semiconduttori osserva con una miscela di scetticismo e inquietudine. Scetticismo perché l’EUV è stata definita più volte la tecnologia più difficile mai realizzata dall’uomo.

Inquietudine perché la Cina non ha mai smesso di sorprendere quando è stata data per spacciata tecnologicamente. Chi ricorda i primi chip cinesi definiti copie scadenti dovrebbe guardare oggi cosa esce dalle fonderie di SMIC sotto embargo.La vera domanda non è se la Cina riuscirà a costruire una EUV perfetta.

La domanda è se l’Occidente è pronto a vivere in un mondo in cui la litografia EUV non è più un monopolio geopolitico. Perché in quel mondo cambiano le regole del gioco. Cambiano le catene di valore, cambiano le alleanze industriali, cambia persino il linguaggio con cui parliamo di innovazione.C’è una frase che circola spesso nei corridoi del potere tecnologico. Le tecnologie critiche non restano tali per sempre.

O diventano commodity o diventano irrilevanti. L’EUV, paradossalmente, potrebbe essere avviata verso entrambe le direzioni contemporaneamente. Commodity per chi la controlla internamente. Irrilevante come leva di pressione per chi ha basato la propria strategia solo sul bloccarla agli altri.

Nel frattempo, mentre i comunicati ufficiali parlano di sicurezza nazionale e i report finanziari continuano a prezzare ASML come un monopolio eterno, nei laboratori cinesi qualcuno sta regolando specchi, misurando interferenze, bruciando wafer e accumulando dati. È il lavoro sporco, ripetitivo, invisibile che costruisce le vere discontinuità. Tutto il resto è rumore.

Chi sottovaluta questa dinamica probabilmente non ha mai costruito nulla che funzionasse davvero su scala industriale. Perché la storia dei semiconduttori, come quella di tutte le grandi industrie, non è fatta di annunci ma di macchine che alla fine, silenziosamente, iniziano a funzionare.