La domanda non è se Larry Ellison sia ricco. La domanda è quanto sia disposto a scoprirsi, davvero, quando il palcoscenico non è quello rassicurante di Oracle ma quello molto più instabile di Warner Bros. Discovery. Perché quando il consiglio di amministrazione di WBD respinge un’offerta da 108 miliardi di dollari non lo fa per capriccio, ma per una ragione molto concreta che a Wall Street si chiama rischio controparte. Ed è qui che il mito dell’onnipotenza finanziaria di Ellison padre inizia a mostrare qualche crepa interessante.

L’offerta è arrivata attraverso Skydance, la società di David Ellison, con Paramount come veicolo industriale e narrativo. Una trama quasi shakespeariana, padre visionario, figlio ambizioso, Hollywood come regno da conquistare. Sul tavolo ci sono 41 miliardi di dollari di equity financing da garantire per completare un’operazione che ridefinirebbe l’industria dei media globali. Larry Ellison avrebbe promesso di fare da backstop. Promesso, appunto. Non garantito personalmente. E nel linguaggio asettico dei filing alla SEC, questa non è una sfumatura semantica ma un abisso giuridico.

Warner Bros. Discovery lo mette nero su bianco con una freddezza che rasenta il sarcasmo istituzionale. La solidità creditizia del trust di Ellison non è certa. Non è un dettaglio tecnico, è il cuore del problema. Stiamo parlando di un’entità opaca, le cui attività, passività, beneficiari, condizioni e limitazioni non sono pubblicamente note. In altre parole, una scatola nera finanziaria che dovrebbe sostenere una delle più grandi operazioni media di sempre. Per un board che risponde a investitori nervosi e a mercati isterici, non è esattamente un invito alla fiducia.

Il punto diventa ancora più delicato quando si entra nel merito dell’asset principale citato come garanzia implicita, la partecipazione del 41 percento di Ellison in Oracle. Sulla carta vale oltre 200 miliardi di dollari. Sulla carta, appunto. Perché il mercato ha una pessima abitudine, quella di cambiare idea rapidamente. Il titolo Oracle ha perso circa il 46 percento dal picco di fine settembre, trascinato verso il basso dalle crescenti preoccupazioni sugli impegni nell’intelligenza artificiale, sugli investimenti infrastrutturali e su una narrativa che non convince più come una volta. Quando il collateral è azionario, la volatilità non è un dettaglio. È il rischio.

C’è poi un’altra questione che a WBD non è sfuggita e che aggiunge un ulteriore strato di complessità. Circa il 30 percento della partecipazione di Ellison in Oracle è già stata data in pegno come garanzia per prestiti personali. Questo significa che una parte rilevante di quella montagna di ricchezza teorica è già impegnata altrove. Il capitalismo moderno è bravissimo a trasformare miliardari in equilibristi, sospesi tra leverage e reputazione. Ellison non fa eccezione, anche se il suo curriculum imprenditoriale induce molti a concedergli un credito quasi mitologico.

Il dettaglio forse più velenoso, però, è quello legale. WBD sottolinea che se anche un solo azionista dovesse intentare causa contro il trust di Ellison, l’impegno al finanziamento verrebbe automaticamente meno. Automaticamente. È una parola che nei boardroom fa gelare il sangue. Significa che l’intera struttura finanziaria dell’operazione potrebbe evaporare non per un default, ma per un contenzioso. In un’industria dove le cause legali sono una costante fisiologica, questa clausola suona come una mina antiuomo piazzata al centro della trattativa.

Qui emerge il vero tema strategico che va oltre il gossip finanziario e tocca la keyword centrale di questa vicenda, Larry Ellison Warner Bros Discovery. Non è solo una questione di patrimonio netto. È una questione di allineamento degli incentivi e di tolleranza al rischio. Ellison ha costruito Oracle come una macchina da margini, controllo e prevedibilità. Hollywood è l’opposto. È capitale intensivo, ciclico, emotivo, governato più dalle narrative che dai bilanci trimestrali. Anche i geni del software, quando entrano nei media, scoprono che i numeri non obbediscono sempre.

Il ruolo di Skydance e Paramount aggiunge un ulteriore livello di ambiguità. Skydance Paramount viene presentata come la piattaforma attraverso cui orchestrare la fusione, ma in realtà funge da cuscinetto narrativo tra il capitale di Ellison e il rischio industriale. Una struttura elegante, quasi da manuale di finanza creativa. Ma proprio per questo guardata con sospetto da chi deve difendere gli interessi di azionisti che hanno già visto evaporare valore negli ultimi anni. WBD non ha bisogno di promesse, ha bisogno di certezze contrattuali.

Il finanziamento trust Ellison diventa quindi il vero protagonista silenzioso della storia. Un trust che dovrebbe essere potentissimo ma che nessuno può realmente valutare dall’esterno. Non è chiaro se detenga direttamente le azioni Oracle. Non è chiaro quali vincoli interni limitino la sua capacità di mobilitare liquidità. Non è chiaro chi abbia l’ultima parola in caso di stress finanziario. In un’epoca in cui la trasparenza è diventata una valuta quasi quanto il denaro, questa opacità pesa come un macigno.

C’è anche un elemento psicologico che vale la pena considerare. Larry Ellison non è noto per fare beneficenza industriale. Ogni sua mossa storicamente ha avuto un ritorno strategico chiaro, spesso spietato. Aiutare il figlio a conquistare un impero mediatico può essere letto come un investimento dinastico, ma anche come un esperimento controllato. Quanto capitale è disposto a mettere realmente a rischio prima di tirare il freno? È una domanda che il board di WBD si è posto e che ha trovato una risposta prudente, forse impopolare, ma razionale.

In controluce, questa vicenda racconta molto dello stato attuale delle acquisizioni media. Le valutazioni sono ancora enormi, ma la fiducia è fragile. I conglomerati tradizionali sono schiacciati tra debito, streaming non ancora profittevole e mercati pubblicitari incerti. In questo contesto, anche un’offerta sostenuta da uno degli uomini più ricchi del pianeta viene sezionata con il bisturi. Non basta più dire ho i soldi. Bisogna dimostrare dove sono, come si muovono e cosa succede quando qualcosa va storto.

Ellison è ricchissimo, nessuno lo mette in dubbio. Ma la ricchezza teorica e la disponibilità pratica sono due cose diverse. Hollywood lo sta imparando di nuovo, Wall Street lo sapeva già. Finché non vedremo una garanzia personale, irrevocabile e giuridicamente inattaccabile, la domanda resterà sospesa nell’aria come una battuta cinica tra banchieri d’investimento. Quanto può davvero permettersi Larry Ellison di rischiare, quando il film non è più solo uno spettacolo ma un assegno da firmare.