Taiwan ha detto no. Non è una dichiarazione da poco, soprattutto se pronunciata da una nazione che produce oltre il 90% dei semiconduttori avanzati al mondo. La richiesta degli Stati Uniti, avanzata dal Segretario al Commercio Howard Lutnick, era chiara: trasferire almeno il 50% della produzione di chip taiwanesi sul suolo americano. Ma Taipei ha risposto con fermezza: “Non abbiamo mai discusso né accettato una divisione equa nella produzione di semiconduttori”. La Vice Premier Cheng Li-chiun ha sottolineato che tale proposta non è mai stata parte delle trattative bilaterali in corso.

La posizione di Taiwan non è solo una questione di politica industriale, ma anche di sovranità strategica. Il paese ha investito massicciamente nella costruzione di impianti negli Stati Uniti, come quello in Arizona, ma ha sempre mantenuto il controllo sulle tecnologie più avanzate, come i chip a 2 nanometri, attraverso la sua politica “N-1”. Questa politica mira a limitare l’esportazione di tecnologie di punta per preservare la competitività e la sicurezza nazionale.

Dall’altro lato, gli Stati Uniti vedono Taiwan come un “punto singolo di fallimento” nel settore dei semiconduttori, un concetto espresso dal Segretario al Tesoro Scott Bessent. La dipendenza critica da Taiwan per la produzione di chip avanzati è vista come una vulnerabilità in caso di instabilità geopolitica. La proposta di spostare la produzione negli Stati Uniti è quindi una risposta a questa preoccupazione, ma la resistenza di Taiwan evidenzia le complessità di una tale mossa.

Nel frattempo, la Cina osserva attentamente. L’espansione delle esercitazioni militari congiunte tra Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud è vista da Pechino come una minaccia diretta. Le manovre, giustificate come misure di difesa contro le minacce nucleari e missilistiche di Pyongyang, sono interpretate come un tentativo di contenere l’influenza cinese nella regione. Le dichiarazioni ufficiali cinesi parlano di “strumentalizzazione della minaccia regionale” da parte di potenze esterne, con l’obiettivo di destabilizzare la sicurezza regionale.

Questo scenario evidenzia un equilibrio delicato tra alleanze strategiche, sicurezza economica e sovranità tecnologica. Taiwan, pur essendo un attore chiave nella catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori, si trova a dover navigare tra le pressioni degli Stati Uniti per una maggiore produzione domestica e le sue esigenze di autonomia tecnologica e sicurezza nazionale. La risposta di Taipei non è solo un rifiuto a una proposta economica, ma una dichiarazione di indipendenza strategica in un contesto geopolitico sempre più complesso.