Gina Mastantuono, CFO e Presidente di ServiceNow, ha messo in chiaro che l’AI sta già trasformando la sanità delle grandi organizzazioni: guadagni in efficienza, automazione intelligente e flussi di lavoro accelerati non sono promesse futuristiche, ma risultati concreti. le sue parole meritano di essere smontate, contestate e riportate come punto di partenza di una riflessione che non indulgere né al mantra silicon-valley né allo scetticismo da retainer manager.

Mastantuono afferma che “l’AI conta solo se genera risultati reali.” In una recente intervista con Seeking Alpha, ha confermato che progetti interni basati su AI hanno già prodotto 355 milioni di dollari, capitali reinvestiti nell’azienda stessa. Esteriormente ServiceNow punta, entro il 2026, a raggiungere 1 miliardo di ricavi legati all’AI.

Dietro queste affermazioni c’è un dato interessante: un sondaggio condotto su 250 responsabili IT rivela che il 76 % sta estendendo i casi d’uso dell’AI ai diversi reparti aziendali; il 73 % indica come motore primario l’efficienza operativa; il 60 % misura il successo dell’iniziativa AI in base alla crescita del fatturato; il 79 % ha già registrato guadagni reali. Mastantuono replica che “l’AI enterprise non è AI consumer”: deve essere sicura, governata, accurata su scala, integrata in un workflow complesso. Lei parla di “modelli collegati a qualsiasi cloud dati, con flessibilità che permette ai clienti di muoversi rapidamente restando al comando.” In sostanza, ServiceNow si presenta come una delle poche piattaforme in grado di unire AI, dati e workflow.

I numeri recenti suggellano una correlazione solida fra sforzi AI e margini operativi. Nel terzo trimestre 2025, i ricavi da abbonamento hanno raggiunto 3.299 milioni di dollari, con crescita del 21,5 % rispetto all’anno precedente. Il margine operativo non-GAAP ha superato il 33,5 %. La pressione su guadagni, flussi ricorrenti e la capacità di convertire ricavi in cassa (free cash flow margin) è crescente — il margine FCF nel 2024 era già del 31,5 %.

Mastantuono non è tipo da esagerazioni: “quello che prima richiedeva ore ora richiede secondi. Il tempo di preparazione delle riunioni è stato dimezzato. Stiamo vedendo redditi duraturi. Trimestre dopo trimestre consegniamo risultati straordinari, e questo genera vero valore per gli azionisti.”

E tuttavia, l’azione ServiceNow ha mostrato una performance relativamente piatta nell’ultimo anno: gli investitori sembrano preferire chi costruisce l’infrastruttura AI (hyperscaler, chipmaker) piuttosto che chi la integra nei software aziendali. L’indice Philadelphia Semiconductor (SOX) ha guadagnato quasi il 50 % in questo 2025; l’ETF del settore software tech, IGV, “solo” il 15 %.

È un fatto psicologico: nelle narrative di mercato “AI = chip = piattaforme vertiginose”, chi fa “AI dietro le quinte” viene valutato da spettatore, non da protagonista. Mastantuono risponde: “Il nostro platform guida una produttività straordinaria. Se continuiamo a investire e stimolare domanda, continueremo a generare valore per gli azionisti. Non possiamo controllare tutto: l’hype sull’infrastruttura AI è reale, ha attirato l’attenzione degli investitori.”

Non è un destino unico a ServiceNow: aziende che dovrebbero trarre vantaggio dalla “AI industry wave” spesso restano sottovalutate. Atlassian (TEAM) è scesa del 30 %, Salesforce del 23 %, monday.com del 12 %, Workday dell’8 %. Ma alcuni analisti fanno chiarezza: “ServiceNow cresce a una scala diversa rispetto ai pari. Salesforce ha segnato meno del 10 % in crescita nel Q2; Workday circa 12 %. Non mostrano una conversione del flusso di cassa superiore. Il margine di crescita del ricavo di ServiceNow è ‘elite’ anche rispetto a chi sfiora il 40.”

Cosa si può dedurre da questo stato di fatto? Prima: il “valore AI” non è nella retorica ma nei numeri che si riescono a riflettere nei conti. Se un’azienda costruisce modelli, ma non riesce a monetizzarli, rimane un cost center. Secondo: gli investitori devono affinare il radar: non è solo “chi produce chip”, ma chi integra, ottimizza e fa lavorare l’AI nei processi — ed è lì che si estrae valore differenziale. Terzo: la sfida maggiore non è tecnica, è gerarchica e culturale: sono ancora pochi i manager capaci di giudicare rischi di governance, bias e compliance quando si mette l’AI al centro di strutture complesse.

Certo, i rischi esistono: pressione su margini, concorrenza crescente, aspettative stratosferiche esistenti nel mercato AI. Se i modelli falliscono, se l’adozione rallenta, se il prezzo dell’AI come “consumo” erode i ricavi ricorrenti, i presupposti vacillano. Ma ServiceNow sta puntando tutto su una strategia che combina workflow, dati e AI, con una base tecnica nata 20 anni fa: non come un’idea da garage, ma come infrastruttura dell’impresa moderna.

Se le generazioni future ricorderanno un momento in cui la trasformazione digitale ha davvero cambiato il business, probabilmente non diranno “OpenAI”, “Nvidia”, “ChatGPT”: diranno “come ho automato i processi, come ho connesso dati e persone in continuo”. E lì, nella complessità delle operazioni reali, ServiceNow vuole essere protagonista, non spettatrice. Vuoi che condensiamo questa visione in una strategia per le aziende europee, un piano per competere su AI + workflow?