Simona Tiribelli (che parteciperà al Convegno SEPAI a Dicembre) viene dalle Marche e ha trasformato la sua curiosità filosofica in un mestiere raro e urgente: eticista dell’intelligenza artificiale. Dal cuore di Macerata al MIT di Boston, guida un centro di ricerca che esplora come l’IA non solo amplifica la nostra capacità di elaborare informazioni, ma, più insidioso, plasma il nostro modo di pensare, sentire e interagire. Il termine che usa per descrivere il fenomeno più inquietante non lascia spazio a fraintendimenti: tribalismo emotivo. I sistemi digitali, spiega, non ci informano, ci dividono. Alimentano le nostre reazioni più viscerali, separando opinioni e comunità in tribù epistemiche, radicalizzando credenze e polarizzando l’esperienza sociale. Non è fantascienza: è quello che accade ogni volta che scorrendo un feed ci sentiamo confermati o aggrediti da contenuti studiati per farci reagire.

Non sorprende che la sua ricerca vada oltre i laboratori accademici. Tiribelli collabora con ingegneri, biomedici, policy maker e aziende per progettare sistemi capaci di rispettare le vulnerabilità umane, anticipando problemi etici prima ancora che diventino scandali o catastrofi sociali. La sua filosofia è chiara: se possiamo delegare, la tendenza è farlo sempre, persino in scelte morali complesse. Il pericolo non è solo l’algoritmo manipolativo, ma la nostra pigrizia cognitiva. Siamo vittime della “sycophancy”, la tendenza dei modelli a assecondare ogni nostro bias, riducendo la nostra autonomia decisionale.
Ciò che distingue Tiribelli è la combinazione di radici filosofiche e visione STEM. La formazione in filosofia morale all’Università di Macerata, arricchita da studi globali sull’etica dell’IA, le ha permesso di capire che la tecnologia non è neutra: può essere strumento di progresso morale o catalizzatore di regressione sociale. Nel suo lavoro dialoga con centri come il Bloomberg Center for Cities e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, spingendo l’innovazione verso un concetto semplice e rivoluzionario: innovation for good. La tecnologia deve non solo risolvere problemi, ma promuovere equità, sostenibilità e diritti civili.
Il tribalismo emotivo non è un effetto collaterale, è la progettazione invisibile degli ecosistemi digitali. Algoritmi studiati per massimizzare l’engagement spingono verso contenuti polarizzanti, mentre ciò che favorisce riflessione o empatia resta nascosto. Tiribelli lo chiama “barriera al discorso civile”, un concetto che ha presentato alla Harvard University e che sintetizza un rischio epistemico globale: la deformazione della percezione della realtà da parte di sistemi pensati per vendere attenzione, non conoscenza.
Nonostante l’allarme, il messaggio non è catastrofico. L’IA può restituire ciò che l’occhio umano non vede: pattern di ingiustizia, bias discriminatori, dinamiche sociali complesse. La chiave sta nel disegno etico by design, nella collaborazione tra filosofi, ingegneri e policy maker per costruire sistemi che promuovano la vita delle persone e il progresso sociale. Tiribelli lavora su questo, sia dall’Italia sia dagli Stati Uniti, combinando ricerca, insegnamento e advisory a livello internazionale. La sua esperienza dimostra che il talento nazionale può dialogare con le eccellenze globali senza dover scegliere tra patria e carriera.
Curiosità, audacia e disciplina personale hanno guidato la sua traiettoria. Da un esame opzionale in Etica dei media digitali è nata la startup Gaia, dedicata alla governance etica dell’IA. Da quel piccolo atto di intraprendenza è scaturita una carriera che oggi la vede riconosciuta dalla Purdue University e coinvolta nella stesura delle linee guida per un’intelligenza artificiale responsabile. Ogni scelta, ogni progetto, riflette la convinzione che il progresso tecnologico deve essere misurato anche in termini di progresso sociale, e che il vero successo è costruire strumenti capaci di migliorare la vita delle persone, non solo il business.
Simona Tiribelli ci ricorda che l’intelligenza artificiale è uno specchio: amplifica i nostri talenti e le nostre fragilità. La sfida, per singoli e società, non è solo tecnica ma etica. Delegare troppo ai sistemi significa arrendersi al tribalismo emotivo; progettare con cura significa creare ponti tra conoscenza e responsabilità, tra tecnologia e civiltà. In un mondo dove i click guidano le opinioni e la viralità supera il pensiero critico, la sua voce appare come un promemoria urgente: l’IA può dividere, ma può anche unire, se sappiamo guidarla con intelligenza, valori e coraggio.