La robotica industriale italiana è un po’ come certi macchinari di precisione prodotti tra Emilia e Lombardia: robusta, affidabile, ma sempre più dipendente da una buona manutenzione. In questo caso, la manutenzione si chiama Industria 5.0. L’Italia resta uno dei principali produttori europei di macchine utensili, sistemi di automazione e robot industriali, con un tessuto di PMI altamente specializzate e un know-how che continua a essere apprezzato a livello globale. Tuttavia, la crescita non è più spontanea. Il settore avanza soprattutto quando viene “spinto”, e negli ultimi anni lo scatto in avanti è arrivato quasi esclusivamente grazie agli incentivi pubblici.

Industria 5.0 ha spostato l’attenzione dall’efficienza pura di Industria 4.0 a un mix più ambizioso: digitalizzazione, sostenibilità energetica e centralità dell’uomo. Concetti nobili, che nella pratica si traducono in crediti d’imposta, iperammortamenti e incentivi legati a investimenti green e tecnologici. Senza questi strumenti, molte aziende avrebbero semplicemente rimandato gli acquisti. Con questi strumenti, invece, gli ordini arrivano, spesso tutti insieme, creando i consueti picchi seguiti da inevitabili rallentamenti. Il risultato è un mercato che non cresce in modo lineare, ma a scatti. Quando l’incentivo c’è, la robotica accelera. Quando l’incentivo si ferma o cambia forma, il settore prende fiato, a volte troppo a lungo.

Industria 5.0 ha un pregio indiscutibile: prova a tenere insieme robotica, intelligenza artificiale ed efficienza energetica, riconoscendo che l’automazione del futuro non può essere solo una questione di produttività. Tuttavia, sul piano operativo, il sistema resta complesso, burocratico e spesso poco prevedibile.

Le imprese italiane investono, ma lo fanno con prudenza. La robotica industriale richiede capitali importanti, tempi di ritorno medio-lunghi e una domanda stabile. Quando le regole sugli incentivi cambiano frequentemente o arrivano in ritardo, la pianificazione industriale diventa un esercizio di equilibrismo. Non impossibile, ma decisamente poco rilassante.

Eppure, nonostante tutto, il settore tiene. Perché la robotica non è più opzionale: è una condizione di sopravvivenza per manifattura, logistica, packaging, alimentare, farmaceutico. Anche quando il contesto macroeconomico è incerto, i robot continuano a lavorare. E spesso sono proprio loro a rendere sostenibile il lavoro umano.

Se l’Italia avanza a colpi di incentivo, la Germania è entrata in una fase di stallo strutturale. Il problema non è la competenza tecnologica, che resta elevatissima, ma il venir meno del suo principale motore storico: l’automotive.

Per decenni, l’industria dell’auto tedesca ha trainato la robotica europea, assorbendo grandi volumi di robot industriali, linee automatizzate e sistemi di produzione avanzata. Oggi quel modello è sotto pressione: transizione elettrica costosa, concorrenza asiatica aggressiva, margini in compressione e investimenti rimandati. Quando l’auto rallenta, la robotica sente immediatamente il colpo.

A questo si aggiunge un fattore spesso sottovalutato ma ormai evidente: la Cina non ha più bisogno della robotica europea.

Per anni, Pechino è stata il principale mercato di sbocco per le macchine industriali tedesche e italiane. Oggi è diventata un concorrente diretto, spesso dominante, come dimostra anche la recente acquisizione di iRobot da parte di Picea, il suo principale fornitore cinese, dopo che l’azienda americana è dovuta ricorrere al Chapter 11. La realtà è che la Cina ha investito in modo massiccio in robotica industriale, intelligenza artificiale embedded, sensori, attuatori e software di controllo. Ha costruito filiere complete, integrate, scalabili.

Il risultato è che il mercato cinese importa sempre meno robot dall’Europa e ne esporta sempre di più verso il resto del mondo. Non solo robot a basso costo, ma sistemi avanzati, competitivi anche sul piano tecnologico. Per la Germania e, in misura minore, per l’Italia, questo significa la perdita di uno sbocco fondamentale e l’ingresso in una competizione globale molto più dura.

La robotica industriale europea non è in declino, ma non è più al centro del mondo. Italia e Germania restano forti su qualità, personalizzazione e integrazione complessa, ma soffrono su scala, velocità e costi. Industria 5.0 può aiutare, ma non può sostituire una strategia industriale di lungo periodo.

Nel frattempo, i robot continuano a fare il loro lavoro. Senza proclami, senza dichiarazioni, senza ideologia. Loro si limitano a eseguire. Tocca ai decisori pubblici e alle imprese capire se vogliono restare programmatori del futuro industriale europeo o semplici utenti di tecnologie progettate altrove.

Con un pizzico di ironia, si potrebbe dire che a Shenzen hanno capito prima dove stava andando il mondo. E si sono già mossi di conseguenza.