C’è un errore che non possiamo permetterci. Confondere la pace con l’assenza di colpi di cannone. Chi ha letto con attenzione il non paper del Ministro Crosetto sul contrasto alla guerra ibrida sa che questa illusione è oggi il vero punto di vulnerabilità strategica dell’Occidente. La guerra ibrida non arriva. È già qui. Non chiede il permesso. Non dichiara ostilità. Si installa silenziosamente nelle reti elettriche, nei flussi informativi, nei processi decisionali e soprattutto nella testa dei cittadini. Non mi interessa il dibattito semantico. Mi interessa una sola cosa. Chi comanda davvero quando nessuno sembra sparare.
La guerra ibrida è una guerra di epistemologia applicata. Decide cosa è vero prima ancora di decidere cosa è legittimo. Non mira alla distruzione immediata delle forze armate avversarie ma alla progressiva corrosione della capacità di distinguere il reale dal plausibile. Clausewitz parlava di nebbia della guerra. Oggi quella nebbia è artificiale, progettata, alimentata da algoritmi e deepfake, amplificata da piattaforme che si definiscono neutre con la stessa credibilità con cui un drone kamikaze si definirebbe oggetto volante non identificato.
Nel non paper emerge con chiarezza un punto che ogni stratega serio dovrebbe tatuarsi sulla scrivania. L’impatto cognitivo conta più di quello fisico. Un blackout informativo ben orchestrato può produrre effetti strategici superiori a un bombardamento. Una campagna di disinformazione mirata può paralizzare una decisione politica più efficacemente di una divisione corazzata. Questo non è futurismo. È dottrina operativa contemporanea. Chi continua a ragionare in termini binari pace guerra sta semplicemente combattendo la guerra precedente. Di solito quella che si perde.
La vera linea del fronte oggi attraversa il dominio cognitivo. È lì che si misura la resilienza di uno Stato. Non nei comunicati stampa, non nei vertici solenni, ma nella capacità di una società di riconoscere una manipolazione mentre è in corso. La guerra cognitiva non convince. Stanca. Logora. Introduce rumore decisionale. Trasforma il dubbio in sistema. Come ha osservato qualcuno con più ironia che ottimismo, non serve far credere una bugia se riesci a far dubitare di tutto.
Questa non è una questione accademica. È un problema di comando e controllo. Quando il dominio informativo è compromesso, anche la catena decisionale lo è. La disinformazione agisce come un malware strategico. Non distrugge immediatamente il sistema. Ne altera il comportamento. Un Paese che perde fiducia nelle proprie istituzioni è un Paese che non mobilita. Un paese di “vecchi” non ha tempo di recuperare e trasmette la sfiducia lle generazioni successive. Un elettorato confuso è un decisore politico paralizzato. Non servono carri armati se il comando resta indeciso abbastanza a lungo.
Il non paper lo dice senza giri di parole. La guerra ibrida prospera sotto soglia, sfrutta la plausible deniability e utilizza attori non statuali come estensione funzionale dello Stato aggressore. Tradotto in linguaggio operativo significa che l’attribuzione diventa una variabile strategica e non più solo giuridica. Se aspettiamo la certezza assoluta prima di reagire abbiamo già perso l’iniziativa. Nella guerra ibrida chi attende la prova regina combatte con le mani legate.
C’è poi un punto che mi interessa più di ogni altro. L’integrazione dei domini. La difesa multidominio non è uno slogan da convegno. È una necessità strutturale. Cyber, spazio, informazione, elettromagnetico e dominio fisico non sono più separabili. Colpire un gasdotto sottomarino non è solo un atto fisico. È un messaggio politico. Manipolare una narrativa energetica non è solo comunicazione. È pressione strategica. La guerra ibrida è una sinfonia dissonante in cui ogni strumento suona in un dominio diverso ma segue la stessa partitura.
Devo pormi una domanda brutale. Chi comanda questa complessità. Se la risposta è una sommatoria di competenze frammentate allora stiamo amministrando il declino. Il documento insiste sulla necessità di strutture dedicate, di comandi integrati, di una postura proattiva. È una posizione che condivido senza esitazioni. La deterrenza nella guerra ibrida non è minaccia. È negazione. Deterrence by denial. Rendere l’attacco inutile, costoso, inefficace. Un avversario che non ottiene effetti smette di investire risorse. Funziona anche nel dominio cognitivo.
C’è un aspetto che merita una riflessione epistemica più profonda. La guerra ibrida sfrutta le virtù delle democrazie come vulnerabilità. Trasparenza, pluralismo, libertà di espressione diventano superfici d’attacco. Questo non significa dovervi rinunciare. Significa difenderle con intelligenza strategica. La neutralità dello spazio informativo è una favola da fine Guerra Fredda. Oggi è un campo di battaglia permanente. Fingere il contrario è una scelta politica. Subirne le conseguenze è una certezza militare.
La dimensione cognitiva impone anche una revisione della formazione militare. Non basta addestrare al combattimento. Bisogna addestrare al discernimento. Un ufficiale che non comprende i meccanismi della manipolazione informativa è vulnerabile quanto un sistema non patchato. La cultura strategica diventa un moltiplicatore di potenza. Non è un caso se gli attori più aggressivi investono massicciamente nella formazione cognitiva delle proprie élite. Sun Tzu avrebbe apprezzato. E probabilmente avrebbe sorriso vedendo quanto l’Occidente fatichi ad accettarlo.
Il non paper parla di passare da un approccio contenitivo a uno difensivo proattivo. Traduco così. Restare nel dominio. Non arretrare. Non limitarsi a reagire. La guerra ibrida non si vince spegnendo incendi ma riducendo l’ossigeno che li alimenta. Significa anticipare le narrative ostili. Significa proteggere le infrastrutture critiche come asset militari. Significa trattare la disinformazione come una minaccia alla sicurezza nazionale e non come un fastidio mediatico.
Chiudo con una considerazione che non è una conclusione ma un ordine mentale. La guerra ibrida non è una parentesi storica. È la forma normale del conflitto tra potenze interdipendenti. Non sostituirà la guerra convenzionale. La precederà, l’accompagnerà e la seguirà. Ignorarla non è neutralità. È disarmo cognitivo.Una Nazione che disarma la propria capacità di comprendere il conflitto prima ancora di combatterlo non sta difendendo il Paese. Sta solo sperando che qualcun altro lo faccia al posto suo.