Autore: Alessandra Innocenti Pagina 7 di 28

AI, bitcoin e frodi: il genio è uscito dalla bottiglia e la CFTC cerca il tappo

Kristin Johnson, commissaria della CFTC, non ha usato mezze parole al DigiAssets 2025 di Londra: l’intelligenza artificiale, per il mondo cripto, è una medaglia luccicante. Ma, guarda caso, ha due facce. Da un lato, la promessa: algoritmi predittivi che leggono i mercati in tempo reale, sniffano trend su Twitter più velocemente di un hedge fund caffeinizzato, e accelerano le operazioni di settlement al punto da far sembrare Swift un piccione viaggiatore. Dall’altro, il lato oscuro: frodi su scala industriale, manipolazione dei mercati, bias incontrollabili, e sistemi che – citando testualmente – “non riescono a comprendere ostacoli reali del mondo”.

Quando l’intelligenza artificiale si ribella alla realtà: il caso (Un)stable Equilibrium e il mistero della creatività senza dati

Nel 2025, parlare di “intelligenza artificiale creativa” è come discutere del sesso degli angeli con una calcolatrice. Ma ogni tanto, tra una valanga di immagini di Barbie in stile cyberpunk e Leonardo da Vinci trasformato in influencer da Midjourney, spunta qualcosa che ci costringe a rallentare, a dubitare, a chiedere: e se ci fosse qualcosa di più profondo qui sotto?

Salesforce ritocca i prezzi, ma con l’intelligenza artificiale ti vende anche il futuro

C’è una regola non scritta nella Silicon Valley: ogni promessa di intelligenza artificiale si paga con una clausola, un incremento tariffario e una leggera dose di ipocrisia. Salesforce, il gigante della customer relationship management, lo sa bene. Dopo aver cambiato le carte in tavola sull’utilizzo dei dati generati da Slack — vietando di usarli per addestrare modelli AI, ma curiosamente solo ai clienti, non a sé stessa — e aver inasprito le condizioni per i vendor terzi, ora passa alla cassa. Con un aumento dei prezzi che sembra un “ritocco” da 6% sulle edizioni Enterprise e Unlimited, ma che sulle edizioni di Slack diventa una sforbiciata del 20%. Quasi elegante, se non fosse che la parola “aumento” si accompagna sempre più spesso alla parola “intelligenza artificiale”.

Vera factchecking di Babelscape: quando la verità è un’opinione a tempo determinato

Secondo Semrush, Google AI Overview cita oggi Quora e Reddit più di Wikipedia o del New York Times. Lasciate che questa notizia vi atterri addosso come un pugno ben assestato: le fonti più rapide, umane e spesso utili, sono raramente verificate, fact-checked o sottoposte a standard editoriali rigorosi. Persino LinkedIn e YouTube superano in ranking molti degli outlet tradizionali. Che fine hanno fatto i fatti?

La nuova carne è sintetica: TikTok reinventa l’influencer con l’intelligenza artificiale

Immaginate un futuro dove Chiara Ferragni non ha bisogno di truccarsi, fare luce perfetta o mettere in pausa una vacanza a Mykonos per sponsorizzare uno shampoo: una sua controfigura digitale, indistinguibile dall’originale, lo fa al posto suo. Sempre sveglia, sempre disponibile, sempre perfetta. Ora smettete di immaginare. Quel futuro è già un prodotto freemium in beta.

TikTok ha annunciato oggi l’espansione della sua piattaforma pubblicitaria basata su intelligenza artificiale, Symphony. Nome appropriato, perché sembra più Wagner che Vivaldi: una sinfonia di automazione che promette di riscrivere non solo il business degli influencer, ma l’intero concetto di raccomandazione umana. L’idea è tanto semplice quanto inquietante: sostituire corpi, voci e volti reali con avatar sintetici in grado di “provare” abiti, “mostrare” app su smartphone e “consigliare” prodotti come se fossero vere persone. Il tutto generato con una foto, un prompt testuale e qualche secondo di attesa. Voilà, l’influencer è servito.

Alexandr Wang: Quando la genitorialità diventa un’estensione API del cervello

È la nuova estetica della Silicon Valley: mescolare biohacking, AI e decisioni di vita come se fossero righe di codice in un sistema distribuito. Alexandr Wang, ex enfant prodige dell’AI e fondatore di Scale AI, oggi parcheggiato a Menlo Park dopo aver venduto metà della sua creatura, ha dichiarato che aspetta a fare figli finché Neuralink non sarà “pronta”.

Neuralink, ricordiamolo per chi non vive in un bunker a tema Musk, è l’azienda che promette un’interfaccia neurale diretta cervello-macchina. Fantastico. Se vuoi ascoltare Spotify con il talamo.

Trump contro Musk, Israele contro Iran: il reality della fine dell’Impero

Nel grande teatro della politica postmoderna, dove la realtà si piega alla volontà del marketing e la verità è un algoritmo da manipolare, c’è chi litiga su X (Twitter) e chi bombarda nella realtà. Da una parte, Donald Trump e Elon Musk si scannano come due galli da combattimento per la supremazia simbolica dell’ego nazionale. Dall’altra, Israele lancia un attacco diretto contro l’Iran, in quello che appare non solo come un colpo strategico, ma anche come l’effetto collaterale più inquietante dell’assenza americana.

Criptovalute in caduta mentre i missili decollano: la guerra torna a comandare i mercati

Il romanticismo dei “beni rifugio digitali” è svanito in un’esplosione sopra il cielo di Teheran. Le criptovalute, da anni narrate come l’arca post-moderna per sopravvivere al diluvio dei mercati tradizionali, si sono comportate esattamente come ogni altro asset ad alto beta: hanno tremato, hanno ceduto. Bitcoin, l’apripista di questa rivoluzione finanziaria 2.0, è scivolato del 3% fino a toccare brevemente i 103.000 dollari prima di recuperare, come un pugile che ha sentito il colpo e cerca disperatamente il clinch.

Manus AI e la sindrome dell’invincibilità digitale

Manus AI è diventato come quel tipo alla festa che non solo arriva in anticipo, ma si presenta anche con lo champagne migliore e un DJ al seguito. Era già considerato un “agent” AI piuttosto solido, una di quelle piattaforme che prometteva bene tra prompt, video e automazione. Ma adesso, con l’integrazione di Veo3, il salto non è solo evolutivo, è cinematografico. Letteralmente.

Facciamola breve, perché il tempo è l’unica cosa che l’AI non può restituirci: Manus ora permette non solo di generare video, ma esperienze visive che sfiorano l’ossessione maniacale per il dettaglio. Stiamo parlando di qualità visiva superiore, sincronizzazione audio-labiale finalmente credibile, e scene che non sembrano uscite da un generatore di meme con l’ambizione di Kubrick. Il passaggio al supporto per Google Slides e PowerPoint è solo un preambolo, un assaggio della direzione in cui sta andando il vero game changer.

META fa causa agli spogliarellisti digitali: guerra alle AI del nudo non consensuale

Se cercate il fondo del barile dell’intelligenza artificiale, non è tra i robot che sbagliano a giocare a scacchi. È molto più in basso. Più precisamente: nelle immagini generate da app come “CrushAI” pubblicizzate su Facebook, Instagram, Messenger e Threads, dove l’obiettivo non è risolvere problemi ma spogliare persone – spesso donne e minorenni – senza alcun consenso. È pornografia algoritmica con il bonus dell’anonimato e il prezzo scontato della morale.

Adobe supera le stime del Q2 e alza le previsioni: l’AI è davvero il futuro?

Adobe ha appena chiuso un secondo trimestre fiscale 2025 che ha fatto sobbalzare i conti e sollevato più di qualche sopracciglio. Con ricavi record da 5,87 miliardi di dollari (+11% rispetto all’anno precedente) e un utile per azione rettificato di 5,06 dollari, la società ha superato le aspettative degli analisti, che si aggiravano intorno a 4,97 dollari per azione e 5,8 miliardi di ricavi . Eppure, nonostante questi numeri da capogiro, il titolo ha chiuso in calo del 7% dall’inizio dell’anno, lasciando spazio a qualche legittimo dubbio.

La pubblicità dell’assurdo: come l’AI da $2.000 ha conquistato l’NBA Finals e umiliato Madison Avenue

Se l’hai vista, non te la dimentichi più. Un alieno che beve birra. Un vecchio con un chihuahua e un cappello da cowboy. Un tizio che nuota in una piscina piena di uova. E no, non è il trailer di un film trash anni ’90 o un esperimento dadaista di Spike Jonze: è una pubblicità mandata in onda durante le NBA Finals. Il budget? Due spiccioli: 2.000 dollari. Il regista? Un tizio solo con un laptop e Google Veo 3. Benvenuti nell’era del slopvertising, la pubblicità generativa AI che mescola delirio e strategia come uno shaker senza coperchio.

Dia Il browser che ti legge nel pensiero

C’era una volta Arc, l’adorabile eccesso nerd con l’ambizione di reinventare il browser. Sidebar, cartelle animate, icone fluttuanti come se la navigazione web fosse un esperimento di Bauhaus digitale. Poi qualcuno ha fatto due conti, guardato i numeri di adozione e ha detto: “troppo strano”. Così, The Browser Company è passata da “ridisegnare il web” a Dia, un’app che, almeno all’apparenza, sembra Chrome in giacca e cravatta. Ma sotto il cofano, è una macchina infernale di intelligenza artificiale che ti osserva, ti capisce e, potenzialmente, ti anticipa.

Bruxelles vuole strangolare internet: il Digital Networks Act è il cavallo di Troia dei nuovi oligopoli

Inizia tutto come una carezza semantica, come sempre a Bruxelles: parole come “resilienza”, “razionalizzazione” e “equità” che sembrano uscite dal manuale del perfetto burocrate del XXI secolo. Peccato che sotto questa patina da ufficio stampa, il cosiddetto Digital Networks Act (DNA) riveli la sua vera natura: un attacco chirurgico, e tutt’altro che accidentale, al cuore stesso della rete europea. Non una riforma, ma una riconfigurazione strutturale del mercato digitale che punta a concentrare, centralizzare e — diciamolo chiaramente — sterilizzare la pluralità che oggi definisce l’Internet nel Vecchio Continente.

Cina al bivio dell’intelligenza artificiale: la guerra dei modelli LLM si combatte a colpi di token e orgoglio nazionale

È ufficiale: l’intelligenza artificiale in Cina non è più solo una corsa tecnologica. È una guerra fredda a bassa latenza, giocata al ritmo di GPU e tariffe al millesimo di yuan. ByteDance, SenseTime, DeepSeek, Baidu, Alibaba: tutti a contendersi il trono dell’LLM più performante, più economico, più patriottico. E se vi aspettavate una lotta leale, preparatevi a qualcosa di più crudo: dumping cognitivo, propaganda di silicio e un’estetica da showroom di potenza computazionale.

Il protagonista della settimana è SenseTime, il colosso dell’AI quotato a Hong Kong e da sempre nel mirino geopolitico occidentale. Ha appena rilasciato un upgrade del suo Sensechat, un chatbot conversazionale ora dotato di capacità vocali e visive. Tradotto in termini brutali: parla cantonese, ti guarda, ti ascolta, e pensa anche – o almeno finge benissimo. La vera chicca? L’integrazione del modello multimodale SenseNova V6, che promette “visual reasoning”, ovvero la capacità di elaborare simultaneamente testo, video, audio, e – perché no – anche l’espressione rassegnata di un manager davanti al KPI che non sale.

Vitruvian-Smart-12B, la nostra ragazza in gamba che batte i fratelli maggiori (e senza nemmeno alzare la voce)

Alziamo le bandierine, sì, ma non quelle sventolate dai soliti giganti americani. Stavolta si celebra una nativa europea, una creatura di silicio e sintassi che non ha bisogno di server-fattorie in Arizona per brillare. Si chiama Vitruvian-Smart-12B, nome da diva cyborg ma con la testa da prima della classe. Non urla, non spreca, non invade la privacy. E già si è fatta valere.

Android 16 ci guarda vivere: aggiornamenti in tempo reale, o solo il teatro dell’effimero?

Chiunque abbia mai fissato la piccola barra di stato di uno smartphone durante l’attesa di una pizza o di un Uber in ritardo sa bene quanto il tempo possa trasformarsi in un’entità maligna. Con Android 16, Google vuole redimere questa microfrustrazione quotidiana, lanciando finalmente i Live Updates sui Pixel, e promettendo – come sempre – una rivoluzione.

Ma sotto l’apparenza di una novità utile, si cela l’ennesimo rituale liturgico del gigante di Mountain View: un’imitazione dell’iPhone con qualche funzione in più, un’estetica un po’ più snella, un’eco di Material 3 che ancora non si vede ma aleggia come un fantasma promesso.

Sesto potere, l’occhio che guarda dentro la Rete NAM 2025 Namex

Avete appena letto un titolo. Sembra una banalità, ma non lo è. Perché dentro quella sequenza di parole che ha il ritmo ipnotico di un trip psichedelico anni Novanta, ma la consistenza mutante dell’AI generativa c’è un condensato compresso di trent’anni di storia digitale.

Lì dentro, nel logo dell’evento, in quell’occhio che osserva e si lascia osservare, c’è Internet o forse sarebbe meglio dire la Rete, dal 1995 al 2025. Una narrazione visiva disordinata, volutamente confusa, che riflette perfettamente ciò che è diventato oggi il nostro mondo connesso: un’esplosione di dati, immagini, emozioni, indignazioni, euforia, angoscia.

NAM2025, tenutosi oggi a Roma, ha avuto il coraggio di mettere a fuoco proprio questa domanda torbida, centrale, quasi inconfessabile: dove sta andando Internet? Una questione che sa di vertigine, come guardare un’infrastruttura globale in preda a convulsioni da post-modernità accelerata.

Un caffè al Bar dei Daini mentre l’intelligenza artificiale si fa il lifting e Jannik Sinner inizia l’era post-umani

Roland Garros 2025. Cielo plumbeo sopra Parigi, come sempre quando la Storia si prepara ad aprire il sipario. Sotto l’arco ottocentesco del Philippe Chatrier, Jannik Sinner e Carlos Alcaraz si affrontano in una finale Slam che profuma di anni ’20, ma non quelli delle Charleston: questi sono anni algoritmici, in cui anche il tennis sta mutando codice genetico. E mentre noi ci sediamo al “bar dei daini” – caffè tiepido, croissant bruciato – le placide cronache sportive si fondono con un mondo in fiamme: tra liti pubbliche tra Musk e Trump, superbebé da 5.999 dollari e robot con più tatto dei corrieri Amazon.

Ci vuole un certo addestramento cognitivo per reggere la timeline attuale.

La finale tra Sinner e Alcaraz è l’antitesi della post-verità digitale. Due corpi reali, due nervi tesi, due cervelli biologici che giocano su terra rossa e non tra server farm e prompt ingegnerizzati. Il loro scontro è primitivo e avanguardistico, una lotta darwiniana tra due generazioni cresciute a pane e analytics. Un po’ come se Kasparov sfidasse AlphaZero, ma con la compostezza di un’epoca in cui i campioni avevano il volto sudato, non un avatar.

Windsurf: quando gli dei dell’intelligenza artificiale giocano a risiko con le startup

Windsurf Statement on Anthropic Model Availability

È stato l’equivalente digitale di un’esecuzione in pieno giorno. Nessuna lettera di sfratto, nessuna trattativa da corridoio. Solo un’interruzione secca, chirurgica, quasi burocratica. Windsurf, la celebre app per “vibe coding”, si è ritrovata fuori dalla porta del tempio di Claude. Anthropic, il laboratorio fondato dai fuoriusciti di OpenAI, ha deciso di tagliare la capacità concessa ai modelli Claude 3.x. Non per ragioni tecniche. Non per mancanza di fondi. Ma per geopolitica dell’AI.

Varun Mohan, CEO di Windsurf, l’ha scritto su X con la disperazione elegante di chi sa di essere pedina in un gioco molto più grande: “Volevamo pagare per tutta la capacità. Ce l’hanno tolta lo stesso.” Dietro questa frase anodina, si cela l’odore stantio di una guerra fredda tra laboratori che – da fornitori di infrastrutture – stanno sempre più diventando cannibali delle app che un tempo nutrivano.

Rokid AR Spatial

Occhiali spaziali e prezzi scontati, la cina invade la realtà aumentata senza chiedere permesso

A prima vista sembrano solo un altro paio di occhiali tech. Ma dentro i Rokid AR Spatial c’è la Cina che, con una lente ben levigata e una mano sul chip di Qualcomm, vuole ribaltare le regole del gioco globale della realtà aumentata. E lo fa a colpi di sconto, e-commerce e strategia militare mascherata da shopping compulsivo. AliExpress come cavallo di Troia, il “BigSave” come esca dorata: benvenuti nel nuovo fronte digitale della geopolitica commerciale.

Rokid, startup di Hangzhou specializzata in eyewear aumentato, ha deciso di lanciarsi nel mercato globale con la grazia di un bulldozer in vetrina. Dal 16 giugno, proprio in mezzo alla bolgia dell’“AliExpress 618 Summer Sale”, i suoi occhiali AR Spatial saranno disponibili in offerta mondiale a 568 dollari, quasi 100 in meno rispetto al prezzo originale. Un posizionamento aggressivo che profuma di operazione d’assalto. La tecnologia? Spinta da un hub portatile che alimenta la visione computazionale spaziale con un chip Qualcomm integrato. Il visore pesa solo 75 grammi ma porta sulle spalle un carico strategico molto più pesante.

Perché Eric Schmidt, Jeff Bezos e le startup stanno puntando sui data center nello spazio

C’è un nuovo Eldorado tecnologico, e non si trova né nella Silicon Valley né a Shenzhen. Si trova a centinaia di chilometri sopra le nostre teste, in orbita terrestre. Mentre i comuni mortali cercano di far funzionare i loro server on-premise o di migrare al cloud, i giganti della tecnologia stanno già pensando a data center spaziali, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Eric Schmidt, ex CEO di Google, ha recentemente preso le redini di Relativity Space, un’azienda che punta a costruire razzi stampati in 3D e a lanciare infrastrutture nello spazio. Nel frattempo, Jeff Bezos, con la sua Blue Origin, sta sviluppando “Blue Ring”, una piattaforma spaziale che offre potenza di calcolo resistente alle radiazioni, gestione termica e comunicazioni per carichi utili in orbita.

Ma perché tutto questo interesse per i data center nello spazio? Per cominciare, lo spazio offre un ambiente unico: temperature estreme, assenza di gravità e un’abbondanza di energia solare. Queste condizioni possono essere sfruttate per creare data center altamente efficienti e sicuri. Inoltre, con l’aumento esponenziale dei dati generati da dispositivi IoT,(o da reti tipo Starlink o Kuiper di Amazon) intelligenza artificiale e altre tecnologie emergenti, la domanda di capacità di elaborazione e archiviazione è in costante crescita. I data center spaziali potrebbero offrire una soluzione scalabile e sostenibile a lungo termine.

Meta e il fantasma digitale di Ronaldo: come un deepfake scoperchia la farsa dell’intelligenza artificiale etica

È stato necessario l’intervento del Oversight Board, l’organo che Meta ha creato per farsi il bagno di trasparenza, perché qualcuno in azienda si degnasse di togliere un video truffaldino con protagonista a sua insaputa Ronaldo Nazário. Non il giovane Cristiano, ma il Fenomeno, quello vero. E anche il deepfake era tutto fuorché credibile: un doppiaggio posticcio, movimenti labiali scoordinati, e una promessa irreale guadagnare più che lavorando grazie a un giochino online chiamato “Plinko”.

Benvenuti nell’epoca dell’intelligenza artificiale generativa, dove la reputazione umana è una licenza open source, e i colossi tech oscillano tra l’ignoranza deliberata e la complicità algoritmica.

X vieta l’addestramento AI sui suoi post, ma li usa per sé: l’etica à la Musk

Nel grande bazar dei dati digitali, dove ogni parola postata è una pepita d’oro per l’addestramento delle intelligenze artificiali, X (ex Twitter) ha aggiornato il suo Developer Agreement con una nuova clausola: vietato usare i contenuti della piattaforma per addestrare modelli fondazionali o di frontiera. A meno che tu non sia… beh, X stessa.

L’annuncio, passato quasi inosservato se non fosse stato per TechCrunch, arriva con la delicatezza di un aggiornamento di sistema, ma nasconde una torsione strategica da manuale Machiavelli. Tradotto dal legalese: se sei uno sviluppatore esterno, dimentica l’idea di nutrire il tuo LLM con i tweet. Però X (cioè Elon Musk) può continuare a farlo. E lo fa. Con entusiasmo.

Dario Amodei Moratoria senza morso: la finta tregua sull’intelligenza artificiale

C’è qualcosa di inquietante, quasi surreale, nell’idea di congelare lo sviluppo normativo dell’Intelligenza Artificiale per dieci anni. Un’era geologica in tempo algoritmico. Ma è proprio ciò che propone una corrente bipartisan americana: un moratorium regolatorio decennale sulla AI. Un’idea che sembra uscita da un comitato scolastico piuttosto che da un think tank geopolitico.

A scrivere contro questa bizzarria, sulle colonne del New York Times, è Dario Amodei, CEO e co-fondatore di Anthropic, l’unicorno addomesticatore di AI creato da ex ribelli di OpenAI. Il suo pezzo, lucido e chirurgico, è una dichiarazione di guerra travestita da appello alla ragionevolezza: “una moratoria di dieci anni è uno strumento troppo rozzo”, scrive, con la pacatezza di chi sa che l’AI non aspetta i calendari del Congresso.

Radiologia e Intelligenza Artificiale

Il mondo dell’imaging RM sta entrando in una nuova era. Non si tratta di cambiare macchina, ma di cambiare cervello. Con l’arrivo di AI, stiamo passando da un’acquisizione “meccanica” delle immagini a una “intelligente”. Ma niente tecnicismi inutili. Questo articolo frutto dell’evento ECM gratuito organizzato a Viterbo Commissione Albo per TSRM con Rivista.AI patrocinato dal Dott. M.Gentile spiega in modo pratico e chiaro a chi lavora davvero sulla macchina i tecnici radiologi cosa cambia davvero con l’uso dell’intelligenza artificiale nei parametri principali della risonanza magnetica.

Amazon investe 10 miliardi in North Carolina per dominare l’infrastruttura AI: il nuovo feudo dell’intelligenza artificiale è privato

Benvenuti nel nuovo Rinascimento digitale, dove i regni non sono più di pietra ma di silicio, e i feudatari si chiamano Amazon, Google, Microsoft. Con una mossa da 10 miliardi di dollari, Amazon ha piazzato la sua bandiera nel cuore della North Carolina, trasformando Richmond County in un futuro snodo neurale dell’intelligenza artificiale globale. Non si tratta di una semplice espansione di data center: è la costruzione fisica dell’infrastruttura su cui poggerà il prossimo secolo di innovazione tecnologica.

Il divario digitale e l’impatto generativo dell’AI sui bambini: tra opportunità e allarmi etici

The Alan Turing Institute: Understanding the Impacts of Generative AI
Use on Children

L’intelligenza artificiale generativa non è più solo un gadget per adulti appassionati di tecnologia o una curiosità da laboratorio: sta silenziosamente invadendo le aule, le case e le menti dei bambini. Un recente studio del 2025, frutto della collaborazione tra The Alan Turing Institute, Children’s Parliament e il colosso dei mattoncini LEGO, getta una luce senza filtri sull’uso di questi strumenti – come ChatGPT e DALL·E – tra i più giovani. Ma attenzione, perché dietro il fascino di immagini generate con un clic e risposte pronte all’istante, si nasconde un panorama complesso, fatto di disparità sociali, timori di sicurezza, e rischi educativi che sfidano la nostra capacità di governare questa nuova realtà.

Claude spiega tutto, ma non sa perché: il blog artificiale che simula l’illuminazione umana

Difficile non sorridere davanti all’ultima trovata di Anthropic: Claude Explains, il blog in cui l’intelligenza artificiale Claude finge di avere qualcosa da spiegare, e gli umani fingono che sia tutto spontaneo. Un piccolo angolo della Silicon Valley in cui l’algoritmo si traveste da divulgatore, mentre una redazione invisibile gli regge il gobbo come in un vecchio varietà televisivo.

Benvenuti nel futuro della comunicazione, dove i contenuti non sono più pensati per essere letti, ma per essere indicizzati, reimpacchettati e, soprattutto, ammirati da altri algoritmi.

MANUS VIDEO GENERATION: la rivoluzione silenziosa che trasforma testo in video senza sforzo

Se pensavate che la generazione video fosse ancora un terreno riservato ai tecnici del montaggio o agli artisti digitali, Manus arriva come un’epifania tecnologica pronta a scuotere le fondamenta di quell’ecosistema. Immaginate di digitare una semplice frase e vederla prendere vita sotto forma di un video completo, orchestrato, sequenziato e animato in pochi minuti. Sembra fantascienza? No, è Manus.

Google mette l’intelligenza artificiale in tasca: l’app che non volevamo, ma che adesso tutti vogliono

In un’epoca dove tutto è “cloud-first” e l’AI è sinonimo di raccolta dati, Google ha fatto qualcosa di profondamente controintuitivo, quasi punk: ha rilasciato un’applicazione che non ha bisogno di internet, non ti spia, e non condivide niente con i suoi server. Sì, stiamo ancora parlando di Google, e no, non è uno scherzo. Si chiama AI Edge Gallery e sembra un errore di marketing. Eppure, è proprio quello che mancava.

Epic forza l’evoluzione del videogioco: i PNG AI di Fortnite parlano, persuadono e forse imprecano

In un futuro non troppo remoto, il tuo peggior nemico nel multiverso di Fortnite potrebbe non essere un dodicenne con riflessi da cyborg e skin da 200 dollari, ma un personaggio non giocante — un PNG — progettato da un altro essere umano, addestrato da un’intelligenza artificiale e programmato per farti premere un pulsante che non dovresti toccare. Letteralmente.

Ambrogio Regolo AI e il sogno infranto della gestione documentale

Martedì 27 maggio abbiamo partecipato al convegno “Intelligenza Artificiale e Business Application”, organizzato da Soiel International a Roma.

Nel corso dell’evento, Paolino Madotto (CISA, CGEIT) ha presentato Ambrogio, l’assistente virtuale sviluppato da Intelligentiae – data enabling business. Quante volte vi siete trovati a cercare un documento, un file o un’informazione dentro una selva oscura di cartelle digitali, archivi confusionari, backup che sembrano ordinati solo agli occhi di chi li ha creati? Nel 2025, quando ormai dovremmo parlare di “smart working” e “digital first” come un dogma, le aziende continuano a perdere tempo e denaro inseguendo dati che sembrano evanescenti.

Ambrogio, l’AI made in Italy targata Intelligentiae, si propone come il deus ex machina di questa tragedia moderna, promettendo una rivoluzione nella gestione documentale aziendale che ha il sapore di una rinascita digitale.

Oracle scommette sull’intelligenza artificiale per riscrivere le regole della gestione dei contatori

C’è un nuovo protagonista silenzioso nella battaglia delle utility per efficienza, affidabilità e soddisfazione del cliente: l’intelligenza artificiale. E Oracle, veterana del mondo enterprise, ha deciso di metterla al centro del suo arsenale tecnologico. Ma non lo fa con fanfare da keynote o promesse da luna nel pozzo: lo fa dove serve davvero, là dove i bit incontrano i chilowatt.

Sotto il cofano dell’ultima evoluzione della Oracle Utilities Customer Platform, si cela un mix di AI e processing in-memory che sta ridefinendo il concetto stesso di Meter Data Management. Una rivoluzione sommessa, ma con implicazioni devastanti per l’inerzia cronica delle utility. Perché quando un algoritmo inizia a vedere ciò che un operatore non nota, la realtà cambia.

Elon’s Musk e il mito del padre globale: tra etica riproduttiva e show mediatico

Il nuovo episodio della saga Elon Musk, quel moderno novello Re Mida della tecnologia che trasforma in oro ogni battito d’ali social, aggiunge un capitolo surreale ma perfettamente coerente con la sua leggenda: un figlio nato – o forse solo sussurrato con una popstar giapponese. Notizia esplosa come una miccia nell’infuocato panorama mediatico nipponico, dove si mescolano curiosità morbosa, ironia tagliente e inquietudini etiche degne di un romanzo distopico.

Elon Musk, imprenditore che più che CEO sembra un demiurgo della narrativa tech, è ormai sinonimo di un’umanità iperconnessa e frammentata, con famiglie e discendenti che sembrano moltiplicarsi come widget in un ecosistema digitale. Ashley St Clair, ex partner e madre del quattordicesimo figlio noto del magnate, ha messo sul tavolo la bomba: Musk avrebbe confidato di aver seminato ovunque, compresa una popstar giapponese anonima. La notizia, riportata da un quotidiano globale come il New York Times, si trasforma rapidamente in un’inquietante riflessione sulla privacy dei vip, sulle derive dell’etica riproduttiva e sul concetto stesso di paternità nel XXI secolo.

Chime, la banca pop del nulla che premia i fondatori anche se affonda

Benvenuti nella Silicon Valley dell’illusione, dove si vendono IPO come se fossero gelati artigianali, e il gusto del giorno è “compensazione inversa”. Chime, la famigerata “banca senza banca”, ha deciso che il modo migliore per motivare i suoi cofondatori al successo… è premiarli anche in caso di fallimento. Sì, hai letto bene. Una startup fintech da 11 miliardi di dollari di valutazione che si prepara all’IPO premiando i suoi boss se il titolo risale… anche dopo essere crollato.

2 giugno: quando l’Italia votò la Repubblica, le donne votarono il futuro

Il 2 giugno 1946 è una data che ogni algoritmo di coscienza collettiva dovrebbe avere tatuata nel suo codice sorgente. Non perché sia solo il giorno della nascita della Repubblica Italiana, ma perché per la prima volta 13 milioni di donne italiane si presentarono alle urne. E non erano lì per accompagnare il marito. Votavano. Decidevano. Scrivevano una nuova pagina di sistema operativo nazionale.

Rob Minkoff: “L’AI è uno strumento, non l’artista. Le storie restano il cuore del cinema”

Chi meglio del papà del Re Leone può ricordarci che, anche nel mezzo di una rivoluzione tecnologica, la magia del racconto resta insostituibile? A Pescara, in occasione di Cartoons on the Bay – il festival internazionale dell’animazione, promosso da Rai e organizzato da Rai Com – Rob Minkoff, regista, animatore e produttore statunitense, ha portato la sua esperienza e la sua visione lucida sull’evoluzione del cinema d’animazione nell’era dell’intelligenza artificiale.

GeoSpy

Gli Hackers Ringraziano

La reputazione passa dalla SEO alla SGE alla GEO: la nuova guerra dell’influenza digitale

Non sarai più ricordato per ciò che hai scritto, ma per come sarai riassunto. Niente più headline su Google, niente più rincorsa al primo risultato organico. Il tuo nuovo obiettivo non è una posizione, ma una frase. La frase che l’intelligenza artificiale generativa sceglierà per raccontarti al mondo. Il tuo marchio, la tua competenza, la tua reputazione, tutto condensato in un box sintetico, spesso senza link, dentro un motore cognitivo che sta cambiando il modo in cui le persone cercano e decidono. Benvenuto nella nuova filiera della visibilità: dalla SEO alla SGE, fino alla GEO.

La SEO, ottimizzazione per i motori di ricerca, è stata il dogma digitale per due decenni. Ogni brand, ogni media company, ogni consulente ha basato la propria sopravvivenza sulla capacità di intercettare query testuali e farsi trovare nelle SERP. Ottimizzazione on-page, keyword density, backlink strategy. Tutto questo oggi non basta più. Perché Google stesso sta mutando pelle. Con l’introduzione della SGE (Search Generative Experience), il motore di ricerca non si limita più a presentare risultati. Sintetizza. Interpreta. Risponde.

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