La guerra dello streaming tra Netflix, Paramount e Warner Bros Discovery è il vero stress test del capitalismo dei contenuti

C’è un momento dell’anno in cui Wall Street finge di rallentare, ma in realtà trattiene il fiato. L’ultima settimana lavorativa completa prima delle festività è una di quelle finestre temporali in cui le notizie sembrano rarefarsi, ma sotto la superficie i consigli di amministrazione lavorano come sale operative militari. È esattamente qui che si colloca la partita più interessante del capitalismo dei contenuti contemporaneo. La battaglia per Warner Bros Discovery, con Netflix da un lato e Paramount Skydance della famiglia Ellison dall’altro, non è solo una storia di offerte ostili, multipli e arbitraggio. È una radiografia spietata dello stato dello streaming globale e del suo evidente problema di scala, debito e identità industriale.

Il mercato, come spesso accade, ha già espresso un giudizio più lucido di molte dichiarazioni ufficiali. Le azioni WBD che chiudono a 29,98 dollari, praticamente allineate all’offerta ostile da 30 dollari di Paramount e sopra l’offerta mista da 27,75 dollari di Netflix, raccontano una sola storia. Gli investitori non credono che il prezzo attuale sia quello finale. Si aspettano rilanci. Si aspettano tensione. Si aspettano, soprattutto, che qualcuno faccia un errore strategico abbastanza grande da diventare un case study nei prossimi MBA.

La corsa ai semiconduttori verso il 2026 tra entusiasmo industriale, colli di bottiglia energetici e illusioni sull’ASIC

Application Specific Integrated Circuits (ASICs)

Arriva il momento, in ogni ciclo tecnologico, in cui l’ottimismo smette di essere marketing e diventa una variabile macroeconomica. Il settore dei semiconduttori sembra essere entrato esattamente in quella fase. Secondo BNP Paribas Research, che ha appena concluso il suo Silicon Valley Bus Tour incontrando i vertici di AMD, Nvidia, Intel, Applied Materials, Astera Labs, Credo, Lumentum, Seagate, Marvell e Western Digital, il messaggio che emerge è sorprendentemente uniforme. Domanda strutturalmente superiore all’offerta almeno fino al 2026, visibilità multi trimestre lungo tutta la filiera e una fiducia quasi disarmante nella tenuta del ciclo dell’intelligenza artificiale.

Buzzy e l’intelligenza artificiale che dice di capire la virality i segreti dell’analisi dei dati e la promessa di dominare i contenuti

Lunedì mattina non c’e nulla di più ipnotico delle startup che promettono di decifrare l’algoritmo del successo virale. Buzzy e’ una di quelle sorgenti di narrazioni tech che non puoi ignorare se ti occupi di intelligenza artificiale applicata ai media digitali. Il suo pitch e’ semplice e al tempo stesso ambizioso: esiste una struttura, un pattern ricorrente nei video che “scoppiano” in popolarita’. Identificata quella struttura, Buzzy afferma di poterla applicare a contenuti mediocri, persino a prodotti o clip di cibo, generando una sequenza di varianti di breve durata progettate per massimizzare i clic e le condivisioni su TikTok, Instagram, YouTube e X. La promessa e’ audace perche’ non si limita alla generazione video, ma rivendica la capacita’ di comprendere per la prima volta la “viralita” in termini quantificabili. Questo e’ il cuore della loro value proposition e la loro keyword principale per una presenza efficace nella Google Search Generative Experience e nella ricerca organica e algoritmica: intelligenza artificiale e analisi predittiva della viralita.

La realtà è una prospettiva

Fabrizio Degni
Chief AI Officer – fabrizio.degni@gsom.polimi.it

“Hai mai fatto un sogno, Neo, che ti sembrava completamente vero? E se da quel sogno non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà?” Matrix, Morpheus

Questa interrogazione, centrale nell’opera delle sorelle Wachowski, incapsula perfettamente il dilemma odierno dell’Intelligenza Artificiale Generativa: la difficoltà sistemica di distinguere un fatto recuperato dalla memoria parametrica (“realtà”) da una generazione plausibile ma infondata (“sogno”). Fino al 2024, la performance dei modelli linguistici è stata misurata prevalentemente attraverso benchmark a scelta multipla (e.g., MMLU), un formato che, per design, esclude la possibilità di astensione (Wei et al., 2024). Tuttavia, l’integrazione degli LLM in scenari high-stakes (medico, legale, decisionale) ha reso l’allucinazione confidente un rischio inaccettabile. La recente introduzione del FACTS Benchmark (Cheng et al., 2025) ha formalizzato una nuova metrica critica: l’hedging rate, ovvero la propensione del modello a rifiutare di rispondere di fronte a un’incertezza. A mio avviso, tuttavia, l’analisi comparata di questi benchmark e delle argomentazioni analoghe presenti nelle varie system card dei modelli per i loro outcome (e non output, si noti bene) rivela una differenza che non è meramente quantitativa, ma rappresenta una vera e propria frattura epistemologica nella definizione stessa di “silenzio”. Nel contesto dei Large Language Model, il silenzio o astensione si riferisce alla scelta strategica del modello di rifiutare di produrre una risposta (o di fornire una risposta generica di non-conoscenza) a fronte di un’incertezza fattuale o di un rischio elevato di allucinazione.

Energia, la partita decisiva dell’Italia: tra bollette, sicurezza nazionale e la transizione che non può aspettare

In Italia l’energia è tornata al centro del dibattito pubblico con una forza che non si vedeva da anni. Non solo perché le bollette continuano a pesare sui bilanci di famiglie e imprese, ma perché l’elettricità e le fonti che la producono sono diventate una questione strategica, quasi geopolitica, che intreccia competitività industriale, sicurezza nazionale e transizione ecologica. È un tema che riguarda tutti, anche chi pensa di non occuparsene mai, perché oggi basta un blackout, una tensione sui mercati del gas o un picco dei prezzi per rendersi conto di quanto l’energia sia diventata indispensabile.

Avocado, il frutto proibito: Meta volta le spalle all’open source per paura della Cina

Si chiamerebbe proprio così, Avocado, il nuovo modello di intelligenza artificiale di Meta, il prossimo passo verso quella che il colosso americano definisce la sua “superintelligenza”. Secondo Bloomberg, Avocado sarà rilasciato entro la prossima primavera ma non in modalità open source.

Il colpo di stato delle Big Tech

PODCAST “FRONTIERE ARTIFICIALI” – Episodio 3

In questa puntata esploriamo uno dei temi di maggiore attualità del nostro tempo: il potere smisurato delle Big Tech e il loro impatto sulla democrazia. A partire dal libro di Marietje Schaake Il colpo di Stato delle Big Tech e dall’analisi del crescente dominio delle aziende tecnologiche nelle istituzioni politiche, offriamo una riflessione ironica ma rigorosa su come la tecnologia sia diventata un attore geopolitico capace di eclissare gli Stati.

AI Slop, Baudelaire e l’Arte che non doveva esistere: perché l’Intelligenza Artificiale è la nostra nuova Avanguardia Imperfetta

C’è un momento, durante ogni rivoluzione tecnologica, in cui l’umanità si ferma un istante, guarda la novità negli occhi e pronuncia le parole più antiche del mondo: “Sì, ma questa… è davvero arte?”. È successo con la fotografia, con il cinema e perfino con la stampa: l’invenzione di Gutenberg fu all’inizio avversata da tutti coloro che temevano l’apertura del sapere a un pubblico più vasto. Lo stesso succede oggi con l’intelligenza artificiale.

Ordine esecutivo sull’intelligenza artificiale di Trump. centralizzazione del potere, Silicon Valley e il rischio costituzionale

C’è un’immagine che vale più di mille slide di policy. Donald Trump che firma un ordine esecutivo sull’intelligenza artificiale, mentre David Sacks, zar dell’AI e delle criptovalute della Casa Bianca, osserva da vicino come un venture capitalist davanti a un term sheet particolarmente favorevole. Non è una scena neutra, né solo simbolica. È la fotografia di una strategia di potere che usa l’AI come leva geopolitica, industriale e costituzionale. La keyword qui è una sola, inevitabile e già tossica: ordine esecutivo intelligenza artificiale Trump. Tutto il resto ruota attorno a questo asse.

Come Seeweb aiuta le aziende a superare la GPU shortage senza cadere nel cloud lock in

L’intelligenza artificiale non sta bussando alla porta, e già entrata e si e seduta al tavolo del consiglio di amministrazione. Training, inference, modelli sempre più grandi, tempi di risposta sempre più stretti. Tutto questo ha un comune denominatore che pochi amano discutere apertamente: la fame insaziabile di GPU. Non e una moda passeggera ma una dinamica strutturale. Le GPU sono risorse finite, concentrate nelle mani di pochi grandi player globali e vendute a prezzi che seguono più la legge della scarsità che quella dell’efficienza industriale. In questo scenario molte aziende scoprono troppo tardi che spostare tutto su un hyperscaler non e una scelta neutrale ma una forma sofisticata di dipendenza tecnologica.

Il cloud lock in non arriva con una clausola scritta in piccolo. Arriva quando scopri che per usare una GPU devi adattare l’intera infrastruttura, riscrivere pipeline, accettare modelli di pricing opachi e rinunciare a qualsiasi leva negoziale. Arriva quando il tuo stack Kubernetes diventa improvvisamente un cittadino di seconda classe rispetto a servizi proprietari che promettono semplicità ma consegnano rigidità. Ed e proprio qui che molte aziende europee iniziano a cercare alternative, non per ideologia ma per sopravvivenza economica e strategica.

MCP il momento o dannazione che l’intelligenza artificiale aspettava

Ci sono innovazioni che fanno rumore perché il marketing le spinge, altre perché gli investitori hanno bisogno di una nuova narrativa, altre ancora perché qualcuno ha deciso che è il momento giusto per cambiare nome a qualcosa che esiste già. Poi, raramente, arrivano quelle che quando le tocchi ti costringono a fermarti un secondo, alzare lo sguardo dallo schermo e pensare oh dannazione, qui cambia davvero tutto. MCP, Model Context Protocol, appartiene a questa seconda, rarissima categoria.

MCP non è un altro framework, non è una libreria con una documentazione brillante e un futuro incerto, non è l’ennesimo tentativo di rendere gli LLM un po’ meno ciechi. MCP è un cambio di piano cartesiano. Sposta l’asse della discussione dall’intelligenza artificiale che parla all’intelligenza artificiale che agisce. Chi continua a trattare i modelli come sofisticati chatbot rischia di restare intrappolato in una visione del 2023 mentre il 2025 sta già bussando con insistenza.

Il caos normativo dell’intelligenza artificiale negli USA Trump Hochul OpenAI e la SB 53 spiegati con occhio da tecnologo

Il caos normativo dell’intelligenza artificiale negli usa trump hochul openai e la sb 53 spiegati con occhio da tecnologoIl presidente Trump ha appena firmato un ordine esecutivo sulla regolamentazione statale dell’intelligenza artificiale che sembra più un atto di teatro che una strategia coerente di governance tecnologica globale. Se stai cercando chiarezza su come gli Stati Uniti stiano affrontando la regolazione dell’intelligenza artificiale in un momento in cui il mondo accelera verso nuove frontiere computazionali, preparati a una lettura che potrebbe farti dubitare del senso della realtà.

La storia politica della regolazione intelligenza artificiale negli Stati Uniti è diventata una commedia degli errori di proporzioni epiche. Quando Trump firma un ordine esecutivo sulla prelazione, cosa significa realmente per gli stati come California e New York e perché la governatrice Kathy Hochul propone di sostituire il RAISE Act con il testo letterale della SB 53? Quali implicazioni ha questo per l’industria dell’intelligenza artificiale, già affollata di annunci come il rilascio di GPT-5.2 da parte di OpenAI e il nuovo accordo con Disney?

Copilot nel 2025: dati, comportamenti e abitudini digitali

La vita digitale del 2025 non può più prescindere dall’uso quotidiano dell’intelligenza artificiale. Il report “It’s About Time: The Copilot Usage Report 2025” ci offre un quadro sorprendente e dettagliato di come Copilot sia diventato non solo uno strumento, ma un compagno costante nella gestione della nostra esistenza. Dai dati emerge un panorama che mescola salute, intrattenimento, crescita personale e filosofia, confermando che le AI sono ormai parte integrante dei nostri ritmi, quasi dei co-protagonisti delle nostre giornate.

E io pago: debito privato e data center AI

Il nuovo potere invisibile che decide il futuro del cloud

Mentre il mondo celebra il trionfo dell’intelligenza artificiale come nuova infrastruttura cognitiva della civiltà, l’attenzione degli investitori più sofisticati stia scivolando verso una forma di romanticismo finanziario molto meno glamour. Il debito privato diventa improvvisamente il carburante silenzioso che alimenta l’espansione dei data center, quei cattedrali digitali senza cui nessun modello di AI farebbe nulla di utile. Chi guarda solo ai chip perde metà dello spettacolo. La vera partita si gioca sulla capacità di finanziare edifici che divorano energia, capitali e pazienza, in una spirale di investimenti che potrebbe travolgere anche i più audaci.

Cina attiva la piu vasta rete di calcolo ai distribuita al mondo con impatti geopolitici e tecnici profondi

L’annuncio del Future Network Test Facility (FNTF) da parte del Science and Technology Daily non e solo un capolavoro di ingegneria infrastrutturale: e un segnale geopolitico forte lanciato da Pechino a Washington, Bruxelles e a tutti i protagonisti della competizione globale per l’intelligenza artificiale. Una rete ottica nazionale di oltre 55 mila chilometri che collega centri di calcolo isolati affinche operino come un’unica enorme macchina estremamente efficiente rappresenta piu di un’infrastruttura di comunicazione. Rappresenta un’arena nella quale potenza di calcolo, controllo dei dati e influenza sulle regole tecniche si intrecciano in dinamiche di potere internazionale.

Il promettente business dei chip AI di Broadcom

Parlare di Broadcom oggi significa infilarsi in un terreno in cui la realtà supera più volentieri le proiezioni degli analisti, con una certa nonchalance degna di chi ha già deciso di riscrivere la gerarchia del mercato dei semiconduttori. Chi osserva la crescita dei chip AI Broadcom sa che non si tratta più di una nota a margine nei report trimestrali ma del baricentro strategico di un’azienda che ha compreso meglio di molte altre il nuovo teorema della potenza computazionale. Si racconta che Hock Tan ami ricordare come la disciplina sia più importante dell’ispirazione e il recente salto del 74 percento nel fatturato dei chip AI sembra una nota a piè di pagina scritta apposta per smentire la modestia.

Partnership OpenAI Disney tra potere, illusioni e capitale simbolico nell’era dell’ia generativa

Quando un colosso della tecnologia inciampa e scivola sulla propria aura di infallibilità, la reazione più astuta non è mai il silenzio. Molto più elegante presentarsi sul palcoscenico con un alleato scintillante, magari un topo con le orecchie più famose del pianeta. La partnership tra OpenAI e Walt Disney Company si inserisce in questo copione come un gesto teatrale calibrato, perfetto per attirare titoli, clic e un briciolo di reverenza da parte di chi vede nella fusione tra intelligenza artificiale generativa e proprietà intellettuali iconiche la prossima frontiera del business.

Google testa panoramiche AI negli articoli di google news un cambiamento strategico nel rapporto tra motori di ricerca e giornali

    Google ha acceso i riflettori su una nuova frontiera dell’intelligenza artificiale applicata all’informazione: un programma pilota che introduce panoramiche di articoli generate da AI sulle pagine Google News di alcuni editori selezionati. In parole semplici gli utenti vedranno sintesi contestuali prima di cliccare sui titoli, con l’obiettivo dichiarato di offrire più contesto e maggiore coinvolgimento del pubblico.

    TIME nomina gli architetti dell’AI persona dell’anno: come l’intelligenza artificiale ha rubato la scena nel 2025

    Nel fluido e iperconnesso ecosistema delle tecnologie dirompenti, nel dicembre del 2025 TIME Magazine ha rotto l’abitudine monolitica di premiare un singolo individuo e ha incoronato come Person of the Year non una persona ma un collettivo di visionari etichettati come “Architetti dell’AI”. Questa mossa editoriale è simbolica quanto provocatoria, una dichiarazione forte sulla centralità dell’intelligenza artificiale come forza motrice di trasformazione globale. La decisione riflette non solo l’influenza che l’AI ha esercitato sulla geopolitica, l’economia, la cultura digitale e la società, ma anche il modo in cui leader tecnologici e strategici stanno rimodellando regole, narrative e poteri. Se cercate una parola chiave dominante in questa narrazione, è intelligenza artificiale; insieme a corsa globale all’AI e governo dell’AI, formano la triade semantica che definisce il presente e plasma il futuro.

    Il miraggio dei chip AI e il rischio di un crollo tecnologico

    La frenesia per l’intelligenza artificiale ha trasformato il settore tecnologico in una corsa sfrenata, con circa 400 miliardi di dollari investiti quest’anno in chip specializzati e data centre. I numeri da capogiro dovrebbero far riflettere, ma l’entusiasmo sembra aver offuscato una realtà più prosaica: la vita utile di questi chip è molto più breve di quanto i contabili vogliano ammettere. La questione centrale non è l’innovazione in sé, ma la rapidità con cui l’hardware diventa obsoleto, trasformando investimenti da centinaia di miliardi in costi irrecuperabili in pochi anni.

    Accordo storico tra Disney e OpenAI: sbloccare personaggi iconici in Sora e ChatGPT


    Il mondo dei media ha appena subito uno scossone che nessun CEO nel board di Hollywood potrà ignorare. The Walt Disney Company e OpenAI hanno siglato una partnership strutturata come un accordo di licenza triennale che concede a Sora, il generatore video AI di OpenAI, il diritto di creare video social “user‑prompted” utilizzando più di 200 personaggi tratti dai marchi Disney, Marvel, Pixar e Star Wars. Questa mossa non è una mera stretta di mano tra due giganti tecnologici; è un segnale di come l’industria dell’intrattenimento stia ridefinendo la propria relazione con l’intelligenza artificiale e con l’uso commerciale dei contenuti IP più preziosi al mondo.

    Adobe cavalca l’onda dell’intelligenza artificiale generativa con profitti record

    Adobe ha trasformato la sua immagine da software house di grafica a protagonista dell’ecosistema AI globale. L’ultima trimestrale parla chiaro: nonostante un calo del 37 percento del titolo in borsa, l’azienda ha chiuso il 2025 con ricavi record di 23,77 miliardi di dollari, un aumento dell’11 percento anno su anno, attribuito quasi interamente alla spinta dell’intelligenza artificiale. La cifra potrebbe sembrare ironica, ma traduce in termini concreti l’idea che investire su modelli generativi non sia più una scommessa ma un fattore di crescita tangibile.

    Oracle AI sotto pressione e il paradosso della forza nascosta

    Il mercato ha reagito con panico alla trimestrale di Oracle, con le azioni in calo del 12 percento nel premarket e un effetto domino su Microsoft, Nvidia e AMD. In apparenza, i ricavi sembrano deludenti, ma il vero motore della crescita futura non si misura nei dati trimestrali. La montagna degli obblighi di performance residui, gli RPO, ha superato i 523 miliardi di dollari, ben oltre le aspettative. Questo backlog gigantesco rappresenta contratti già firmati e il carburante reale per la prossima ondata di ricavi AI.

    Asian Catholic Bishops e la nuova frontiera dell’intelligenza artificiale

    Scrivere di intelligenza artificiale dentro un contesto religioso può sembrare un esperimento sociologico mascherato da teologia, quasi un esercizio da think tank che preferisce l’incenso al marketing. Succede però che la parola chiave intelligenza artificiale cattolica stia diventando un catalizzatore inatteso per un dibattito che fonde etica, algoritmi, geopolitica dei dati e quella punta di ironia inevitabile quando vedi cardinali discutere di modelli generativi mentre qualcuno in sala controlla se il WiFi regge. La scena di Hong Kong, dove i vescovi asiatici hanno cominciato a stendere le prime linee guida sull’uso dell’AI nei contesti ecclesiali, sembra uscita da un editoriale pungente sul futuro della fede digitale. Cardinali che parlano di machine learning come dono divino e tecnologi che annuiscono con la compostezza di chi ha visto troppi dataset per sorprendersi ancora. Bastava questa immagine per capire che la storia stava cambiando.

    Elon Musk e l’arte del caos calcolato tra zombie payments, robot marziani e incubi di intelligenza artificiale

    La prima immagine che arriva alla mente, ascoltando l’ultimo intervento mediatico di Elon Musk, è quella di un ingegnere visionario che apre la porta di un garage, trova un Leviatano addormentato e decide che è il momento di svegliarlo a colpi di statistiche, provocazioni e ipotesi cosmiche. La keyword che attraversa ogni suo ragionamento sembra sempre la stessa: efficienza governativa. Le altre che orbitano intorno, come satelliti programmati, riguardano intelligenza artificiale e colonizzazione di Marte. Forse è questa la triade che sintetizza la postura del personaggio in questa fase storica. Un mix di pragmatismo spietato e mitologia tecnologica, con punte di ironia involontaria che solo un imprenditore da centinaia di miliardi riesce a produrre senza sforzo apparente.

    Data center AI 2025 e la nuova economia dell’intelligenza artificiale

    Nel 2025 il mondo tecnologico ha scoperto che la vera misura del potere non era più il numero di brevetti o di linee di codice, ma la capacità di costruire data center IA 2025 abbastanza vasti da sembrare infrastrutture energetiche nazionali mascherate da campus hi tech. Si è trattato di una rivelazione quasi ovvia per chi osserva da anni la traiettoria dell’intelligenza artificiale, ma molti hanno fatto finta di stupirsi quando Nvidia, Oracle, Meta e OpenAI hanno trasformato la corsa alle GPU in una competizione per accaparrarsi terreni, gigawatt e cemento, come se l’innovazione avesse finalmente riscoperto l’odore della polvere.

    L’ espansione dei data center AI e il nervosismo dei mercati nella stagione degli imperi tech

    L espansione data center AI è diventata la nuova ossessione della finanza globale, una sorta di febbre dell oro che promette miracoli ma presenta un conto salato che molti fingono di non vedere. La storia recente di Oracle, con i suoi investimenti fuori scala e la conseguente reazione scomposta dei mercati, racconta molto più di un semplice scivolone trimestrale. Racconta un intero sistema industriale che corre a velocità insostenibile verso un futuro non ancora scritto, sperando che i numeri si materializzino esattamente come promesso.

    L’intelligenza Immortale e la finitezza umana che crea senso

    Si è concluso da poco il primo Convegno Internazionale SEPAI sull’etica
    nell’era dell’Intelligenza Artificiale. Un evento che, più che informare, ha
    avuto un effetto rivelatore. Panel dopo panel, intervento dopo
    intervento, è emerso con chiarezza il fil rouge invisibile che attraversa
    oggi ogni ambito dell’IA: una frattura silenziosa ma irreversibile nel
    modo in cui l’uomo lavora, pensa, progetta e immagina il futuro.
    Non siamo più di fronte a una semplice evoluzione tecnologica. Siamo
    entrati in una fase nuova della storia, in cui l’intelligenza non è più
    un’esclusiva biologica. Per la prima volta, l’essere umano condivide il
    dominio cognitivo con un’entità non vivente, capace di apprendere,
    calcolare, generare linguaggi, immagini, strategie. Il tema della coscienza
    è stato affrontato, analizzato, discusso in profondità. Ma al di là delle
    singole posizioni, una cosa è apparsa evidente: il paradigma fondativo
    della nostra epoca è già cambiato.

    Indagine antitrust Google AI e il nuovo equilibrio di potere europeo

    Ignorare la nuova indagine antitrust sul modo in cui Google avrebbe alimentato i propri modelli di intelligenza artificiale con contenuti di publisher e creatori YouTube senza compenso equo equivale a non leggere le note a piè di pagina nei bilanci trimestrali, quelle in cui spesso si nascondono le verità più scomode. L’Europa ha deciso di sollevare il tappeto e guardare sotto, convinta che l’era della Generative AI non possa essere costruita su una raccolta di contenuti ottenuti con quello che il gergo regolatorio chiamerebbe consenso apparente o neutralizzato da un potere di mercato fuori scala. La keyword che domina questa storia è indagine antitrust Google AI, affiancata da concetti ormai ricorrenti come Commissione europea e contenuti publisher, elementi che si intrecciano in un mosaico tecnologico e politico che sembra scritto per chi ama interpretare la geoeconomia della Silicon Valley.

    Influenza politica dell’ intelligenza artificiale

    La politica scopre di avere un nuovo interlocutore che non vota, non paga le tasse e non dorme, ma che potrebbe spostare più preferenze di un dibattito televisivo in prima serata. Questo interlocutore è l’intelligenza artificiale generativa. Chi pensava che i chatbot fossero giocattoli digitali buoni solo per scrivere poesie storte deve ricredersi, perché gli studi pubblicati su Nature e Science hanno messo in luce un potenziale di persuasione che farebbe impallidire qualunque spin doctor. Si parla di spostamenti fino al quindici per cento nelle intenzioni di voto, un dato che in qualsiasi campagna elettorale rappresenta la differenza tra un trionfo e una disfatta. La parola chiave che domina questa discussione è influenza politica dell intelligenza artificiale, accompagnata da due concetti che si rincorrono come ombre: persuasione elettorale AI e bias dei modelli linguistici.

    Genai.mil e la supremazia militare dell’intelligenza artificiale: quando Google entra nel war game

    Il mattoncino era già pronto: a dicembre 2025 il Dipartimento della Difesa USA ha ufficialmente “premuto il bottone” su GenAI.mil. Nel video di annuncio, il segretario Pete Hegseth — che da qualche tempo si auto‑etichetta “Secretary of War” (senza che il Congresso abbia ratificato un cambio formale di nome) — dichiara che la piattaforma “mette i modelli di frontier‑AI più potenti del mondo nelle mani di ogni singolo guerriero americano”.

    Cosa è l’AAIF e perché adesso

    La Linux Foundation ha annunciato il 9 dicembre 2025 la creazione della Agentic AI Foundation come “casa neutrale” per progetti open source che stanno plasmando l’era degli agenti autonomi — non più solo chatbot conversazionali, ma sistemi che prendono azioni, integrano dati, strumenti, flussi di lavoro. I tre progetti fondatori trasferiti all’AAIF sono: il Model Context Protocol (MCP) di Anthropic, il framework open‑source goose di Block, e la convenzione AGENTS.md di OpenAI.

    Palantir sotto i riflettori: contratti navy e accuse politiche

    La recente ondata di notizie su Palantir Technologies mette a nudo una dinamica che, per chi osserva da vicino la commistione tra tecnologia, difesa e potere politico, è insieme prevedibile e inquietante. Da una parte l’azienda conquista un ruolo strategico nel rafforzamento militare degli Stati Uniti, dall’altra finisce accusata da esponenti dem di avere legami “impropri” con l’amministrazione Donald Trump. La combinazione: software per costruire più sottomarini e sospetti su una master‑database che monitorerebbe i cittadini americani.

    FAIR 2025 e la sfida di un’intelligenza artificiale finalmente adulta

    Il programma della FAIR General Conference 2025 vibra come un sismografo impazzito che registra l’accelerazione di un paese che, nonostante la consueta lentezza burocratica, sembra aver capito che l’AI non è piú un vezzo accademico ma una questione di sovranità industriale. La scena si apre con la ritualità del welcome coffee, un dettaglio che potrebbe sembrare marginale ma che in realtà è il termometro di un ecosistema che tenta di mostrarsi ospitale mentre discute di tecnologie capaci di disintermediare mezza economia italiana. La presenza istituzionale è massiccia, quasi a voler certificare che l’intelligenza artificiale non è piú un laboratorio di nerd, ma un teatro di potere.

    Musk, lo spazio e la nuova corsa ai data center orbitanti

    Musk ha recentemente dichiarato che “SpaceX farà questo”: adattare la sua costellazione satellitare Starlink V3 per sostenere veri e propri data center spaziali. In parallelo, la prospettiva di un’IPO nel 2026, con l’obiettivo di raccogliere oltre 25-30 miliardi di dollari, renderebbe possibile finanziare massicciamente questo esperimento.

    Non è un’idea isolata: c’è chi come Jeff Bezos ha già parlato di “data center spaziali su scala gigawatt” da realizzare nei prossimi 10-20 anni. Alcune startup e aziende “terrestri” cercano di farne una proposta concreta: un uso dello spazio come estensione naturale dell’infrastruttura di calcolo terrestre, soprattutto in vista della crescita esponenziale di carichi legati all’intelligenza artificiale.

    Trump, Nvidia e Cina tra annunci che evaporano e geopolitica dell’ego

    Ad ogni tornata di dichiarazioni presidenziali sulla relazione tra Stati Uniti e Cina sembra di assistere a una seduta di illusionismo corporate, con trucchi che si materializzano per qualche giorno e poi svaniscono come fossero nebbia sopra Wall Street. La vicenda degli accordi tra Trump e Nvidia sulla vendita dei chip di intelligenza artificiale in Cina non fa differenza. Anzi, se c’è una costante in questa saga è la leggerezza con cui vengono lanciati annunci che sembrano fatti apposta per essere dimenticati. La keyword centrale di questa dinamica è Nvidia Cina, che oggi rappresenta uno di quei crocevia in cui tecnologia, geopolitica e ambizione personale si incastrano in un mosaico che nessun regolatore ha davvero voglia di ricomporre.

    L’invasione elettrica di Pechino: quando il 9% del mercato italiano parla cinese

    Immaginate di sfrecciare su un’autostrada italiana, con il sole che bacia le colline toscane e di essere sorpassati non da una Ferrari ruggente o una Lamborghini iconica, ma da una Dolphin Surf di BYD che sfreccia silenziosa, con un badge che ti suggerisce che per “realizzare ii tuoi sogni” non è più necessario rincorrere vecchie leggende del design tricolore. È un quadro surreale, quasi poetico nella sua ironia: l’Italia, culla dell’automotive, il Paese che ha inventato la velocità e lo stile su quattro ruote, si ritrova a fare da passerella per un’invasione elettrica Made in China, dove il 9% delle nuove immatricolazioni da gennaio a novembre 2025 ha il marchio di Pechino.

    OpenAI Enterprise AI 2025 e la nuova frattura competitiva tra chi integra davvero l’AI e chi resta al livello demo

    La sensazione è chiara appena si osservano i numeri reali dell’Enterprise AI nel 2025. L’accelerazione non è lineare ma composita, quasi biologica, come se le aziende che hanno deciso di integrare l’intelligenza artificiale nel proprio sistema operativo avessero improvvisamente sbloccato una forma di metabolismo nuovo. La keyword centrale qui è enterprise AI, accompagnata da due concetti che oggi determinano una strategia vincente, cioè adozione IA e produttività aziendale con IA. Il nuovo report di OpenAI ha il pregio di parlare con la freddezza dei dati e con la brutalità che ogni CEO esperto sa riconoscere: o stai scalando, oppure stai rallentando. La curva non ammette vie di mezzo.

    Raytheon porta la zero knowledge cryptography sul campo di battaglia per blindare la guerra algoritmica

    In un settore dove la superiorità non si misura più soltanto in tonnellate d’acciaio, ma nella sottile capacità di proteggere bit e pesi neurali, la mossa di Raytheon nel portare la zero knowledge cryptography nel cuore dello scontro rappresenta uno di quei momenti che pochi analisti colgono subito e che molti generali capiranno tardi. La sicurezza dell’intelligenza artificiale militare non è più un tema per conferenze accademiche, è un’urgenza strategica che si insinua tra i briefing riservati e gli ordini operativi. La difesa moderna non è altro che un gigantesco esperimento su quanto si possa delegare alla macchina senza perdere il controllo, come se il futuro del conflitto fosse già scritto nei log criptati di un cluster lontano. L’integrazione tra Raytheon, Lagrange e il motore DeepProve si presenta come un gesto di rottura, quasi la versione tecnologica del vecchio detto romano fidarsi è bene, verificare è obbligatorio.

    Tether entra nella corsa alla robotica umanoide

    Nel cerchio ristretto di chi osserva l’evoluzione della robotica con un misto di fascino e preoccupazione, l’annuncio che Tether ha deciso di investire pesantemente in Generative Bionics ha avuto l’effetto di una frustata silenziosa. Gli osservatori più cinici hanno sorriso compiaciuti pensando che la stablecoin più controversa al mondo stesse semplicemente diversificando. Gli strateghi industriali hanno invece capito immediatamente che il baricentro tecnologico si sta spostando dalla finanza digitale alla robotica fisica e che quella che fino a ieri sembrava una sfida da laboratorio sta diventando un gioco geopolitico. La keyword cruciale, quella che oggi scatena capitali e produce ansie esistenziali, è humanoid robotics. Le sue sorelle semantiche, Physical AI e automazione industriale, stanno ridisegnando l’orizzonte prima ancora che la maggior parte degli analisti abbia realizzato che l’ennesima rivoluzione non è in arrivo. È già qui.

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