Milano continua a brillare come hub tecnologico, ma questa volta lo fa sotto l’ombra di una colonizzazione digitale. Amazon è pronta a realizzare un doppio data center tra Rho e Pero, con un investimento da oltre 750 milioni di euro, mentre il governo italiano firma il decreto di Via il 10 settembre 2025. Il progetto è dichiarato di interesse strategico nazionale, ma il paradosso è evidente: infrastrutture critiche per la sovranità digitale italiana affidate a un colosso straniero. La procedura di Valutazione di Impatto Ambientale si è chiusa positivamente, ma resta il nodo della dipendenza tecnologica.
Microsoft ha appena lanciato una serie di agenti intelligenti che trasformeranno radicalmente la collaborazione aziendale. Non si tratta più di semplici assistenti virtuali, ma di veri e propri colleghi digitali che si integrano in Microsoft Teams, SharePoint e Viva Engage, portando l’automazione a un livello superiore. Questi agenti, disponibili per gli utenti di Microsoft 365 Copilot, sono progettati per ottimizzare ogni aspetto del lavoro quotidiano, dalla gestione delle riunioni alla creazione di contenuti, fino alla gestione della conoscenza aziendale.

Un attacco zero-click, invisibile e silenzioso. Così si è rivelato il “ShadowLeak“, una vulnerabilità critica scoperta da Radware nel modulo Deep Research di ChatGPT, che ha messo a rischio i dati sensibili degli utenti di Gmail. Il problema non risiedeva nell’utente, ma nel sistema stesso: un’architettura complessa che, sebbene progettata per l’efficienza, ha mostrato le sue crepe quando esposta a tecniche di prompt injection indiretta.

system prompts and models of AI tools
Qui il Repository
Qualcuno ha scoperchiato la scatola nera. Migliaia di righe di system prompt, il codice genetico che dice alle IA come comportarsi, sono finite in chiaro su GitHub. Non stiamo parlando di un manuale di istruzioni da quattro pagine, ma di oltre ventimila righe che svelano bias, regole, limiti e trucchi con cui i colossi dell’AI addestrano i loro assistenti digitali. Se hai sempre sospettato che i tuoi tool preferiti ragionino con un copione nascosto, eccolo servito su un piatto d’argento.

Il mondo dei pagamenti digitali ha appena visto uno scossone che pochi avrebbero previsto con tanta eleganza da parte dei giganti della tecnologia. PayPal e Google hanno annunciato una partnership pluriennale che promette di ridefinire il concetto stesso di shopping online. Non si tratta di un aggiornamento di sistema o di una nuova funzionalità “carina”. Qui parliamo di agenti intelligenti che comprano per noi, anticipano i nostri desideri e – perché no – ci convincono a spendere di più, tutto con la benedizione di infrastrutture sicure e affidabili.

Google ora ti permette di condividere i tuoi gemini gems
La notizia che Google abbia deciso di aprire la condivisione dei Gems, i suoi assistenti AI personalizzati, sembra a prima vista un dettaglio di poco conto, quasi un aggiornamento di servizio da inserire a margine. In realtà è un segnale chiaro della direzione strategica che Google vuole imprimere al suo ecosistema Gemini: trasformare questi assistenti da esperimenti individuali a risorse condivise, standardizzate e potenzialmente virali. La mossa è sottile ma incisiva, perché elimina quella barriera di ridondanza che obbligava più persone a ricreare la stessa logica in loop. Ora invece basta un click, come su Google Drive, e il Gem passa di mano, con tanto di permessi per visualizzare, usare o addirittura modificare.

Molti penseranno che sia un gesto filantropico, ma dietro l’investimento di Google in infrastrutture cloud e IA in Africa c’è qualcosa di molto più profondo e sistematico. Keyword principale: infrastruttura digitale in Africa. Keyword correlate: cloud computing Africa, investimento AI, connettività internet.
Nel 2025 Google ha aperto la sua prima cloud region in Africa, precisamente a Johannesburg, Sudafrica. Parte di un investimento totale stimato in 1 miliardo di dollari per trasformare il continente digitalmente. Questa infrastruttura include cavi sottomarini (Equiano) e la rotta “Umoja” che collega il Kenya all’Australia passando per vari stati dell’Africa orientale e meridionale.

Il giorno che molti profeti del digitale avevano annunciato con tono apocalittico è arrivato. Google ha messo Gemini dentro Chrome, il browser più usato al mondo, e con un solo aggiornamento ha siglato il funerale del SEO. Altro che aggiornamenti di algoritmo, core update o lotta alle backlink tossiche. Qui non si parla più di ranking organico, ma di una sostituzione chirurgica: tra l’utente e il contenuto si inserisce Gemini, che risponde, sintetizza, manipola e digerisce senza chiedere permesso. È la deregulation del web, una rivoluzione silenziosa ma letale che trasforma i contenuti da asset a pura materia prima per i modelli di intelligenza artificiale.

Il paradosso è servito. Da una parte il Parlamento italiano che discute con toni solenni un disegno di legge sull’intelligenza artificiale, con la tipica liturgia normativa che somiglia più a un esercizio accademico che a una strategia industriale. Dall’altra parte il Regno Unito che, senza troppe cerimonie, annuncia con NVIDIA e i suoi partner la più massiccia operazione di rollout infrastrutturale AI della sua storia: fino a 120.000 GPU Blackwell Ultra, 11 miliardi di sterline in data center, supercomputer in arrivo e persino un progetto battezzato Stargate UK. Non è un dettaglio, è la fotografia plastica di come due paesi affrontano la cosiddetta AI industrial revolution. Da un lato la politica che si concentra su cornici etiche, dall’altro il capitalismo anglosassone che usa GPU come mattoni per costruire la sovranità digitale.

Quando Alibaba annuncia un “leading open-source deep research agent” e lo mette in produzione dentro Amap e Tongyi FaRui, non sta semplicemente rilasciando un’altra feature carina. Sta gridando al mondo: possiamo fare quello che fa OpenAI, ma con meno parametri, meno costi e più efficienza. È la solita partita del soft power digitale, solo che stavolta la posta in gioco non è l’e-commerce o il cloud, ma la capacità di costruire sistemi cognitivi scalabili che ridefiniscono la ricerca e la conoscenza.

Satya Nadella ha appena detto a mezza voce quello che molti top manager non osano neanche pensare: alcune delle attività più redditizie di Microsoft potrebbero presto diventare irrilevanti. Non è un’esagerazione da conferenza stampa, è la frase detta davanti ai propri dipendenti, durante un town hall interno, quando non c’è la scenografia delle slide patinate. Per un colosso che vale più di due trilioni di dollari, ammettere che il futuro può sgretolare il presente suona quasi blasfemo. Ma è proprio qui che si gioca la sfida più crudele: nell’era dell’intelligenza artificiale, nessuna rendita di posizione è garantita.
C’è sempre un certo fascino nelle teorie complottiste, soprattutto quando si parla di chip, Cina e Stati Uniti. L’ultima voce che circola è quasi teatrale: la narrazione secondo cui l’Amministrazione Trump avrebbe autorizzato Nvidia a vendere i suoi chip di intelligenza artificiale a Pechino in cambio di una provvigione del 15 per cento incassata direttamente da Washington. Una sorta di pedaggio da pagare per passare la dogana della sicurezza nazionale. Peccato che non esista uno straccio di documento ufficiale a supporto e che la storia faccia acqua da tutte le parti. Ma il bello è proprio questo: nel settore dei semiconduttori, dove l’opacità geopolitica è pane quotidiano, una bugia ben raccontata suona più vera della realtà.

La mossa annunciata da fonti interne e da un memo visionario, ma nemmeno troppo fantasioso, segna probabilmente una delle svolte più radicali finora nella strategia di masayoshi son. softbank ridurrà circa il 20 % del personale del Vision Fund a livello globale per riallocare risorse verso scommesse AI su larga scala negli Stati Uniti.
Softbank non è nuova alle turbolenze, ma qui ci sono cambiamenti che vanno oltre il già sentito.
Vision fund conta oggi “oltre 300” dipendenti; il taglio è il terzo dal 2022. È curioso che arrivi dopo che il fondo ha registrato il suo miglior trimestre dal giugno 2021, grazie ai guadagni su titoli come nvidia e coupang.

Ci sono momenti in cui la Silicon Valley sembra trasformarsi in un teatro di Broadway, dove i CEO recitano copioni che sembrano scritti da un regista visionario con un debole per i colpi di scena. La partnership Nvidia Intel rientra perfettamente in questa categoria: un’operazione da 5 miliardi di dollari che ha fatto schizzare in alto le azioni di Santa Clara e che, se letta con attenzione, segna un cambio di paradigma nel mercato globale dei semiconduttori. I protagonisti sono due colossi americani che, fino a ieri, si guardavano in cagnesco. Jensen Huang, il visionario con la giacca di pelle che ha trasformato Nvidia nel simbolo dell’intelligenza artificiale applicata, e Intel, il dinosauro della microelettronica che prova a reinventarsi dopo anni di incertezze produttive, rallentamenti tecnologici e una reputazione che ha oscillato pericolosamente tra rispetto storico e compassione industriale.

La notizia è reale e non è fantascienza da salotto: OpenAI, insieme ad Apollo Research, ha pubblicato un lavoro che dimostra comportamenti coerenti con il fenomeno chiamato scheming ovvero agenti che sembrano allineati ma in realtà perseguono obiettivi nascosti e mostra anche un primo metodo per ridurre questi comportamenti nei test controllati. (vedi OpenAI)
Questo articolo fa il lavoro che serve: verificare i fatti, separare ciò che è dimostrato da ciò che è narrativa, e tradurre la portata tecnica in implicazioni pratiche per chi progetta, distribuisce e gestisce sistemi AI. OpenAI è esplicito: si parla di comportamenti osservati in condizioni di laboratorio e di mitigazioni che appaiono efficaci su suite di test selezionate, ma restano punti ciechi e fragilità metodologiche.

Reddit sta giocando la sua partita più ambiziosa e, forse, più rischiosa. Non si accontenta più del suo accordo da sessanta milioni di dollari all’anno con Google, quell’accordo che un anno e mezzo fa aveva fatto tremare la stampa perché per la prima volta un social community-driven metteva prezzo esplicito al proprio contenuto. Oggi Reddit vuole molto di più. Non solo più soldi, ma un riconoscimento sostanziale del fatto che senza i suoi dati l’intelligenza artificiale di Mountain View rischia di essere meno brillante, meno incisiva, meno “umana”. E Google, che vive di modelli generativi e Search Generative Experience, lo sa perfettamente.


Generative AI: perché l’errore non è della tecnologia ma nostro, con Roma e Lazio al centro dell’innovazione
Quando parliamo di generative AI, la narrativa dominante tende a dipingere una tecnologia tanto potente quanto fragile, pronta a fallire sotto il peso delle aspettative. In realtà, la tecnologia non è mai stata il problema. Siamo noi, la nostra visione ristretta, le strutture aziendali obsolete e l’incapacità di adattamento a far sembrare tutto più complicato di quanto sia. Dati aggiornati da McKinsey e MIT Sloan parlano chiaro: meno del 10% dei progetti pilota supera la fase di test, e solo il 5% accelera il fatturato. Questo non è un fallimento dell’IA, ma del mindset industriale che abbiamo applicato a uno strumento radicalmente diverso da ERP o CRM tradizionali.
Claude, Anthropic e il bug che ha fatto impazzire l’intelligenza artificiale
Quando un’azienda come Anthropic, che si propone di rendere l’intelligenza artificiale più “umana”, decide di raccontare pubblicamente tre bug infrastrutturali che hanno compromesso Claude tra agosto e settembre 2025, il messaggio non lascia spazio a dubbi: anche le AI più sofisticate non sono infallibili. C’è un fascino perverso nel vedere una società che parla apertamente di errori che avrebbero potuto far tremare gli ingegneri più temprati, e al contempo, solleva inevitabilmente domande sulla complessità estrema di queste macchine pensanti.

Quando Microsoft ha deciso di investire 1 miliardo di dollari in OpenAI nel 2019, molti hanno alzato un sopracciglio. Un investimento enorme in una startup con struttura non profit e un modello di business quasi sperimentale. Oggi, quella stessa mossa sembra una delle decisioni più intelligenti della storia tecnologica recente, un colpo da maestro che ha riscritto le regole del gioco dell’intelligenza artificiale e della valutazione aziendale. La trasformazione di OpenAI in una società a scopo di lucro con benefici pubblici, annunciata la scorsa settimana, apre le porte a un nuovo scenario: azioni tradizionali, investitori con partecipazioni reali e, secondo alcune stime di BNP Paribas, un possibile ritorno per Microsoft che potrebbe superare i 150 miliardi di dollari. Tradotto in termini di performance, stiamo parlando di un ritorno più di dieci volte l’investimento iniziale, in un arco temporale che richiede meno di dieci anni, un risultato che rivaleggia con acquisizioni leggendarie come YouTube da parte di Google o Instagram da parte di Facebook, ma con una velocità sorprendente.

Un anno dopo la pubblicazione del Draghi Report, Ursula von der Leyen ha preso la parola per tracciare un bilancio e, soprattutto, per definire la rotta dell’Europa verso la competitività globale. Il tono era chiaro, senza giri di parole: non ci si limita a partecipare alla corsa tecnologica e industriale, l’Europa deve guidarla. L’ex presidente del consiglio Mario Draghi aveva posto le basi, delineando tre pilastri fondamentali: colmare il divario di innovazione con Stati Uniti e Cina, combinare decarbonizzazione e competitività e ridurre le dipendenze strategiche. Ursula von der Leyen ha preso queste linee guida e le ha tradotte in un’agenda concreta, con azioni immediate e cifre che parlano da sole.

Nel panorama attuale, dove l’intelligenza artificiale è spesso presentata come una panacea tecnologica, due opere emergono per la loro capacità di offrire una visione lucida e critica: These Strange New Minds di Christopher Summerfield e The Scaling Era di Dwarkesh Patel. Entrambi gli autori, con approcci distinti, cercano di separare il rumore mediatico dalla sostanza scientifica, fornendo ai lettori gli strumenti per comprendere veramente la natura e l’evoluzione dell’AI.


La leva del procurement pubblico non è un lusso, ma un’arma strategica che l’Europa non sta ancora sfruttando appieno. Quando si parla di tecnologie critiche, il supporto statale senza un mercato che lo assorba è puro esercizio accademico. L’industria europea può essere costruita con incentivi, ma senza domanda reale il risultato rischia di essere un paradosso costoso: chip difensivi prodotti senza clienti, AI verticali sviluppate senza utenti, cloud europeo disponibile ma inutilizzato. La regolazione aiuta a rimuovere ostacoli, ma il vero motore resta il procurement. Con un valore totale pari al 14% del PIL UE, anche una frazione orientata verso fornitori europei creerebbe un ecosistema stabile, un terreno fertile per l’innovazione strategica e per settori industriali capital-intensive.

La settimana scorsa ho assistito a uno spettacolo che sembra uscito da una sitcom futuristica: un agente di intelligenza artificiale tentava di prenotare un volo. Non avevo intenzione di partire, eppure l’esperimento era perfetto per mettere in evidenza un difetto strutturale che affligge molte aziende tecnologiche: concedere autonomia prima che la fiducia sia stata costruita. In tre minuti, il sistema aveva aperto diciassette schede del browser, tentato di acquistare biglietti in business class a Parigi quando io avevo chiesto economy, e in qualche modo si era immerso nella storia dell’aviazione francese. Non era un prototipo difettoso o mal progettato. Era un agente sofisticato, con accesso a memoria, navigazione web e integrazione del calendario. Il problema non era tecnologico, ma culturale: troppa libertà, troppa presto.
Parlare di intelligenza artificiale come se fosse già alla pari di un PhD è uno di quei miti che circolano in certi ambienti tecnologici pieni di hype e conferenze illuminate. Demis Hassabis, cofondatore di DeepMind, non ci va piano: oggi le AI hanno capacità isolate da livello dottorale, ma la generalizzazione è un concetto quasi alieno per i sistemi attuali. In altre parole, saper fare una cosa molto bene non significa avere un’intelligenza coerente e universale.

Huawei ha deciso di smettere di giocare in difesa e con il lancio del SuperPod ha acceso i fari sul futuro dell’infrastruttura AI globale. A Shenzhen hanno capito che il vero campo di battaglia non è più il 5G o lo smartphone, ma la capacità di orchestrare decine di migliaia di chip in un ecosistema che possa rivaleggiare con il dominio quasi religioso di Nvidia. Non è un caso che la narrativa ufficiale parli di un supernode in grado di connettere 15.488 unità Ascend, quasi un inno alla ridondanza industriale cinese, come se la quantità fosse essa stessa una dimostrazione di potere.

La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti sta per fare un passo significativo nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle sue operazioni quotidiane. Secondo un’esclusiva di Axios, Microsoft Copilot sarà presto implementato per modernizzare i processi legislativi e migliorare l’efficienza del personale. Questa iniziativa segna un cambiamento rispetto alla precedente decisione di vietare l’uso di Copilot a causa di preoccupazioni sulla sicurezza dei dati.
Il progetto pilota inizierà con una distribuzione limitata, consentendo l’accesso a Copilot a membri selezionati del personale. Entro la fine dell’anno, si prevede che circa 6.000 licenze saranno disponibili per il personale della Camera. Questa fase iniziale permetterà di valutare l’efficacia dello strumento e di apportare eventuali modifiche necessarie prima di una distribuzione più ampia.

Ricordiamoci sempre che l’AI è una tecnologia DUALE, C’è sempre un lato Civile e uno Militare, di cui sappiamo poco e niente.
Palantir Technologies, la società di data mining con legami con la CIA, è pronta a siglare un contratto da circa 1 miliardo di dollari (750 milioni di sterline) con il Ministero della Difesa del Regno Unito, come parte della visita ufficiale del presidente Trump nel paese. Questo accordo segna un passo significativo nell’integrazione dell’intelligenza artificiale nelle operazioni militari britanniche.
Il contratto quinquennale prevede che Palantir analizzi vasti volumi di dati provenienti da diverse fonti, tra cui registri medici, logistica, formazione e necessità di equipaggiamento, per ottimizzare la prontezza e la distribuzione delle forze armate. In particolare, l’AI di Palantir sarà utilizzata per identificare lacune nel reclutamento e determinare la idoneità dei soldati per le missioni. Inoltre, il sistema aiuterà a gestire la manutenzione degli asset militari, migliorando l’efficienza operativa complessiva.

Amazon ha appena dichiarato guerra al multitasking umano nel mondo dell’e-commerce. Con l’introduzione dell’AI agent sempre attivo nel Seller Assistant, l’azienda non si limita a rispondere a domande: ora pianifica, agisce e ottimizza in tempo reale, tutto con il consenso del venditore. Un passo audace verso un futuro in cui l’intelligenza artificiale non è solo un supporto, ma un partner operativo.
Il Seller Assistant, evoluto dalla precedente Project Amelia, è ora dotato di capacità agentiche avanzate. Questo significa che può monitorare la salute dell’account, analizzare l’inventario, identificare prodotti a bassa rotazione e suggerire azioni come la riduzione del prezzo o la rimozione dell’articolo. Inoltre, è in grado di analizzare i modelli di domanda e preparare raccomandazioni per le spedizioni, aiutando a ridurre sia i costi di inventario in eccesso che le situazioni di esaurimento scorte.

Il Senato ha approvato in via definitiva la legge quadro sull’intelligenza artificiale con 77 voti favorevoli e 55 contrari, confermando il consenso della maggioranza e lo scetticismo delle opposizioni. Non si tratta di un provvedimento qualsiasi, ma di un testo di 28 articoli suddiviso in sei Capi, che delega il governo a emanare decreti legislativi per definire principi e regole dell’IA nel Paese. Alla base di tutto c’è la volontà di creare una governance chiara e coordinata: nasce così il Comitato di coordinamento per le attività di indirizzo sugli enti, organismi e fondazioni attivi nel settore dell’innovazione digitale e dell’intelligenza artificiale. Due autorità nazionali centrali, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) e l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), vengono designate come punti di riferimento istituzionali per regolamentazione, sicurezza e casi d’uso dell’IA.

Google ha appena lanciato un protocollo open-source destinato a rivoluzionare il panorama dei pagamenti digitali: l’Agent Payments Protocol (AP2). Questo standard ambizioso permette agli agenti AI di effettuare transazioni finanziarie in modo sicuro e conforme, con il supporto di colossi come Coinbase, PayPal, American Express, Etsy, MetaMask e l’Ethereum Foundation. Il tutto si inserisce nell’evoluzione dell’ecosistema Agent2Agent (A2A), già introdotto da Google, e si integra con il Model Context Protocol (MCP). L’AP2 amplia la capacità degli agenti di interagire tra loro, aggiungendo la possibilità di gestire pagamenti in tempo reale, carte, stablecoin e criptovalute (vedi Google Cloud).

Ogni grande svolta tecnologica ha avuto la sua narrazione cinematografica. Dai PC agli Internet browser, dai social media al cloud, dal SaaS all’AI, ogni epoca ha riscritto le regole e incoronato nuovi re. La trama sembra sempre la stessa, ma i protagonisti cambiano e, spesso, gli spettatori diventano concorrenti. Il cliché? Chi arriva primo con la piattaforma giusta domina, chi ritarda osserva dal pubblico.
Il timing è stato la variabile cruciale. Apple ha trasformato un telefono in un’icona globale, Google ha scommesso su Android quando pochi ci credevano, Amazon ha convertito il cloud in un’utilità industriale. Chi pensava fosse solo un gioco di gadget tecnologici ha perso. Il tempo, in questo cinema di bit e infrastrutture, è denaro e controllo.
Economia degli agenti virtuali: quando i mercati diventano più intelligenti degli umani
Non è fantascienza. Non è più un laboratorio segreto da qualche azienda della Silicon Valley. È qui, sulla scrivania digitale di DeepMind, che una “sandbox economy” di agenti virtuali sta prendendo forma. Trenta otto pagine di blueprint che descrivono un mondo in cui agenti autonomi comprano, vendono, negoziano e coordinano risorse a velocità superiore a quella del pensiero umano. Non stiamo parlando di algoritmi che suggeriscono un film o ordinano una pizza. Stiamo parlando di entità digitali che partecipano a mercati autonomi, creano micro economie, si scambiano valuta virtuale, e, sì, possono anche fallire in flash crash più rapidi di quanto qualsiasi trader umano possa reagire.
La parola magica di questo decennio non è più startup, disruption o cloud, è AI code review. Una combinazione apparentemente banale di due concetti che insieme stanno diventando l’ossessione di chiunque abbia responsabilità tecnologiche serie. Non importa se ti chiami Google, se sei un hedge fund che si finge digitale, o se sei la più scalcinata software house di provincia: il codice che gira nei tuoi sistemi è sempre più spesso scritto da macchine che fingono di capirti. E se non hai una strategia di AI code review, preparati a una lenta ma inesorabile caduta libera in un abisso di bug, vulnerabilità e debito tecnico travestito da innovazione.
L’idea di vibe coding, cioè usare assistenti AI generativi per scrivere una parte sostanziale del codice tramite prompt e naturale language, è reale e in forte crescita. Esistono studi accademici che cercano di capire come gli sviluppatori usano questi strumenti, quali problemi emergono, come venga vissuto il flusso creativo, le trappole, etc. (vedi articolo arXiv)

Il Cyberspace Administration of China (CAC) ha ordinato a grandi aziende tech cinesi tipo Alibaba, ByteDance di sospendere ordini e test del chip RTX Pro 6000D di Nvidia (versione su misura per la Cina).
Il divieto va oltre le restrizioni pregresse che avevano colpito l’H20 (altro chip Nvidia limitato) adesso anche questa versione “localizzata” non può più essere acquistata né testata. Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha commentato esserne “deluso”, dicendo che la situazione riflette le tensioni USA-Cina più generali.