Rivista AI

Intelligenza Artificiale, Innovazione e Trasformazione Digitale

Meta ti prende l’anima digitale: il tempo stringe per fermare l’addestramento delle sue IA coi tuoi dati

Dal 27 maggio 2025, Meta inizierà ufficialmente a usare ogni tuo post pubblico per rendere le sue intelligenze artificiali un po’ più “europee”. Non è un pesce d’aprile tardivo, ma una vera e propria svolta epocale nelle policy della compagnia, che impatta milioni di utenti adulti in tutta l’Unione. La motivazione ufficiale è nobile, quasi poetica: rendere l’IA più sensibile alle “sfumature culturali, linguistiche e sociali” del Vecchio Continente. Peccato che, nella sostanza, si tratti dell’ennesima miniera d’oro estrattiva, dove i dati pubblici degli utenti diventano carburante gratuito per le macchine di Menlo Park.

In nome del “legittimo interesse”, Meta intende succhiare contenuti pubblici da Facebook, Instagram, Messenger e persino il Marketplace. L’unico superstite della carneficina resta WhatsApp, che per ora pare escluso dal banchetto dell’addestramento. I dati privati? No, non saranno toccati. Ma attenzione: “privato”, nel linguaggio delle big tech, è un concetto elastico. Se qualcuno pubblica una tua foto o ti tagga in un commento pubblico, potresti comunque finire nel tritacarne algoritmico.

La bibbia delle AI: 10 siti che ogni umano digitale dovrebbe consultare prima di aprire bocca

L’uovo di Pasqua più interessante quest’anno non contiene cioccolato, ma neuroni sintetici, directory iper-curate e un discreto profumo di intelligenza artificiale. Il merito? Va dato al grande Fabrizio Degni, che ha aggiornato la sua già leggendaria lista delle risorse online dove l’AI non è solo una sigla ma una realtà pulsante di strumenti, tips, trick e comunità pronte a tutto, tranne che a dormire.

E siccome la Pasqua è il tempo della resurrezione, anche questa lista risorge, aggiornata e arricchita, pronta a servire chi vuole davvero capire dove sta andando il mondo senza dover passare per LinkedIn o peggio, i soliti espertoni da Bar dei Daini.

OpenAI pubblica la guida definitiva al prompting per GPT-4.1: come domare il drago

Nel silenzio in cui solitamente le Big Tech rilasciano aggiornamenti camuffati da “note tecniche”, OpenAI ha fatto qualcosa di diverso: ha pubblicato una guida ufficiale, gratuita e maledettamente utile per domare GPT-4.1. E no, non è la solita lista di buone intenzioni da community manager, ma un compendio pragmatico per chi con l’AI non ci gioca, ma la piega al proprio volere per lavorare meglio, più velocemente e con risultati da CEO.

Siamo finalmente arrivati al punto in cui l’AI non ha più bisogno di essere “magica”, ma precisa, documentata e controllabile. Il che, per chi ha un minimo di esperienza, significa solo una cosa: scalabilità vera. Ma vediamo perché questa guida è un evento epocale sotto il profilo tecnico-strategico e perché ogni CTO con un neurone attivo dovrebbe stamparsela e impararla meglio del manuale della Tesla.

Quando l’IA va in tribunale e perde: i modelli LLM falliscono il test di Phoenix Wright

È bastato un videogioco giapponese degli anni 2000, con grafica pixelata e drammi da soap legale, per mettere in crisi i più avanzati cervelloni digitali del momento. I ricercatori dell’Hao AI Lab dell’Università della California a San Diego hanno avuto un’idea tanto geniale quanto beffarda: testare i più sofisticati modelli di intelligenza artificiale chiedendo loro di giocare a Phoenix Wright: Ace Attorney, il titolo cult in cui un giovane avvocato difende clienti accusati ingiustamente, a colpi di obiezioni teatrali, indagini surreali e deduzioni da investigatore logico.

Il test non era un capriccio accademico, ma un esperimento su vasta scala per verificare se gli LLM (Large Language Models) siano davvero capaci di gestire problemi complessi che richiedono non solo competenze linguistiche, ma anche ragionamento induttivo, riconoscimento visivo, coerenza narrativa e, soprattutto, senso logico del mondo.

Risultato? Più che “intelligenza artificiale”, è sembrata “confusione algoritmica”.

OpenAI punta su Windsurf: una mossa da 3 miliardi per dominare l’IDE del futuro

OpenAI sta valutando l’acquisizione di Windsurf, l’IDE “agentico” sviluppato da Codeium, per una cifra che si aggira intorno ai 3 miliardi di dollari . Se l’accordo dovesse concretizzarsi, rappresenterebbe la più grande acquisizione nella storia di OpenAI.​

Windsurf si distingue per la sua capacità di combinare le funzionalità di un copilota AI con quelle di un agente autonomo. Questo approccio consente agli sviluppatori di collaborare con l’intelligenza artificiale in modo più fluido e intuitivo, migliorando la produttività e riducendo gli errori .​

Tra le caratteristiche principali di Windsurf troviamo la funzione “Cascade”, che permette una comprensione profonda del codice e suggerimenti contestuali in tempo reale. Inoltre, l’IDE supporta l’editing multi-file e l’esecuzione di comandi intelligenti, facilitando la gestione di progetti complessi.

Microsoft vuole leggerti lo schermo: Copilot Vision ora gratis su Edge

C’è una nuova voce nell’aria letteralmente – ed è quella di Copilot Vision, il nuovo giocattolo AI che Microsoft ha deciso di mettere a disposizione gratuitamente per chi usa il browser Edge. Il CEO della divisione AI di Microsoft, Mustafa Suleyman, l’ha annunciato su Bluesky con tono entusiasta, ma il sottotesto è chiaro: Microsoft vuole che lasciamo che il suo assistente virtuale veda tutto quello che vediamo noi.

Sì, hai letto bene: una volta attivato, Vision è in grado di “vedere” ciò che è sul tuo schermo e rispondere in tempo reale con suggerimenti, assistenza contestuale e commenti a voce. Un’esperienza “talk-based”, come la definiscono a Redmond, dove tu parli all’aria e aspetti che il tuo browser risponda. Cose da 2025, ma con un retrogusto da episodio distopico di Black Mirror.

Google regala Gemini Live: l’IA che vede con i tuoi occhi ora è gratis per tutti

Quando anche i giganti cambiano idea, di solito c’è un odore nell’aria: quello della competizione che comincia a bruciare sul collo. Google aveva promesso che Gemini Live, la sua feature AI con super-poteri visivi, sarebbe rimasta un’esclusiva per chi sborsava l’abbonamento Gemini Advanced. Ma oggi, con una mossa che sa più di ritirata strategica che di generosità improvvisa, ha deciso di renderla disponibile gratuitamente a tutti gli utenti Android attraverso l’app Gemini.

Colpo da 800 milioni: AMD e Nvidia travolte dall’ennesima guerra fredda dei chip

Quando pensavi che la geopolitica avesse già fatto abbastanza danni all’economia globale, ecco che arriva un’altra bomba: AMD annuncia un impatto da fino a 800 milioni di dollari a causa delle nuove restrizioni USA sulle esportazioni di semiconduttori verso la Cina. E come se non bastasse, il giorno prima Nvidia aveva già comunicato alla SEC un colpo ben più devastante: 5,5 miliardi di dollari bruciati per colpa delle stesse licenze. Tutto questo mentre le azioni di entrambi crollano di circa il 7% come se fosse il lunedì nero del 1987.

Benvenuti nell’ennesimo capitolo della saga “Silicon Valley contro Pechino”, dove i chip non sono più solo tecnologia, ma strumenti di pressione internazionale. Per AMD, la ferita è doppia: non solo si prevede una mazzata in bilancio, ma anche il futuro delle sue GPU MI308 –pensate per AI e gaming di alto livello è ora sospeso nel limbo delle autorizzazioni del Dipartimento del Commercio USA. Tradotto: progettare chip da miliardi e poi sperare che Washington ti lasci venderli. Un business model da roulette russa.

Da demo a prodotto: perché l’AI generativa è ancora un casino pieno di PowerPoint

Tutti parlano di prompt, fine-tuning e LLM come se bastasse scrivere “dimmi cosa pensi di questo PDF” per svoltare. Ma costruire una demo brillante non vuol dire essere pronti per la produzione. E in mezzo ci sono dodici stazioni infernali, tipo una via crucis dell’AI, che ogni team serio deve attraversare se vuole consegnare valore vero e non solo fuffa da keynote.

Il primo inciampo è sempre lo stesso: confondere il giocattolo con l’infrastruttura. La differenza tra un bel prototipo in Hugging Face e un sistema distribuito che regge l’urto del traffico reale è abissale. Uno è arte, l’altro è ingegneria. E i team che fanno sul serio lo sanno.

OpenAI rilancia con modelli di ragionamento: o3 e o4-mini pensano davvero e vedono anche

Nel grande show dell’intelligenza artificiale, OpenAI cala due assi: o3 e o4-mini, i nuovi modelli di ragionamento destinati a cambiare il gioco o almeno a riscriverne le regole con un tratto più sottile, più veloce e, sorprendentemente, visivo. Non siamo più nel campo dell’elaborazione del linguaggio, siamo nella frontiera in cui un modello guarda, osserva, riflette e agisce. E sì, ragiona con immagini.

Partiamo dal pezzo forte, o3, che OpenAI presenta come il suo modello “di ragionamento più potente”. Cosa significa? Che l’era del semplice completamento predittivo delle frasi è finita. Qui si parla di catene logiche complesse, inferenze tra testi e immagini, collegamenti dinamici tra fonti, strumenti e rappresentazioni visuali. Lo definiscono “reasoning model” ma sotto il cofano è una macchina epistemologica. E se suona esagerato, basta vedere cosa fa: integra immagini direttamente nella catena di pensiero, analizza schizzi, whiteboard, zooma su dettagli e ruota immagini per inferire concetti. Come se un architetto, uno scienziato e un designer si fossero fusi in un’unica entità che dialoga in tempo reale con te.

Jensen Huang infiammerà Computex 2025: l’intelligenza artificiale diventa fisica, agentica

Che Jensen Huang fosse una rockstar dell’AI lo sapevamo già. Ma la notizia che aprirà COMPUTEX 2025 con il keynote inaugurale suona come una mossa da dominatore assoluto della scacchiera tecnologica e Felix Madison sarà li’. Il fondatore e CEO di NVIDIA salirà sul palco del Taipei Music Center il 19 maggio alle 11:00 (ora locale) per spalancare le porte di un futuro dove l’accelerazione computazionale non è più una feature, ma un presupposto esistenziale per qualsiasi innovazione degna di questo nome.

E nel caso qualcuno abbia ancora dubbi sul fatto che Taiwan sia l’ombelico del mondo digitale, basta dare un’occhiata alla scaletta: più di 1.400 espositori, quasi 5.000 booth e tre temi che odorano di rivoluzione permanente AI & Robotics, Next-Gen Tech e Future Mobility. Praticamente un World Economic Forum, ma con meno cravatte e più chip.

HBR Top 10 GenAI 2025 use cases l’intelligenza artificiale non ti renderà ricco. Ma forse ti aiuterà a non impazzire

Nel 2025, l’Intelligenza Artificiale Generativa ha finalmente fatto coming out. No, non è diventata più intelligente. È diventata più… umana. E se nel 2024 l’ossessione era “come sfruttarla per costruire la prossima startup da un miliardo”, oggi il mood è un altro: come cavolo sopravvivere al casino della vita moderna.

WEF Future of Jobs Report 2025 – Il lavoro come lo conosciamo è morto: benvenuti nell’era dei sopravvissuti intelligenti

Se pensavi di tirare avanti fino alla pensione facendo quello che hai sempre fatto, ho brutte notizie per te: il futuro del lavoro ha già fatto irruzione nel presente. Secondo il Future of Jobs Report 2025 del World Economic Forum, il 59% della forza lavoro globale dovrà essere riqualificata entro il 2030. Non “potrebbe” o “sarebbe bene”: dovrà. Tradotto: più della metà dei lavoratori oggi non ha le competenze che serviranno domani. Ma la parte davvero tragica? Non tutti avranno accesso a questa riqualificazione. E no, non ci sarà nessun sindacato, bonus statale o HR compassionevole che potrà salvarti se ti trovi dalla parte sbagliata di questa rivoluzione.

La causa? L’Intelligenza Artificiale. Sì, quella parola che ormai viene buttata in ogni frase come il prezzemolo nelle cucine di Masterchef. Ma stavolta non è una moda. L’AI non è solo una tecnologia. È una forza trasformativa alla pari della macchina a vapore della Rivoluzione Industriale. E chi dorme ora, finirà rottamato domani, come le cabine telefoniche o i middle manager inefficienti.

Fine dei giochi per Nvidia in Cina: Deepseek, Huawei e il nazionalismo dei chip cambiano le carte in tavola

Non è una doccia fredda. È una glaciazione. Nvidia, il colosso americano dei chip AI, si ritrova improvvisamente a fare i conti con un colpo basso da Washington che rischia di cancellare quasi il 10% del suo fatturato globale. Un licensing obbligatorio per esportare gli H20 in Cina – chip già “castrati” per evitare restrizioni precedenti – suona più come una mossa geopolitica che una protezione tecnica. Risultato? ByteDance, Tencent e Alibaba – tutti affamati di potenza di calcolo – ora dovranno fare i conti con un futuro in cui Nvidia scompare dagli scaffali, e l’unica alternativa realistica è il “fai da te” made in China.

Nvidia si è già vista tagliare fuori in passato, ma con l’H20 aveva trovato un compromesso: un chip “legalmente accettabile”, depotenziato ma ancora abbastanza potente da servire gli LLM cinesi. Ora però il sipario cala di nuovo. Si parla di un impatto da 5,5 miliardi di dollari. Roba da convocare il consiglio d’amministrazione con whiskey e calmanti. E mentre Nvidia si lecca le ferite, le Big Tech cinesi non si piangono addosso: stanno correndo. Non per scelta, ma per necessità.

Copilot Computer Use, Claude e Operator: l’era dei maggiordomi digitali è iniziata

Microsoft non poteva restare a guardare mentre OpenAI e Anthropic si facevano i propri maggiordomi digitali personali. Così questa settimana ha sganciato il suo colpo: una nuova funzione per Copilot Studio chiamata, in perfetto stile Silicon Valley, “computer use”. Tradotto: l’intelligenza artificiale di Redmond ora può usare il tuo computer come farebbe un umano. Ma senza sindacati, pause caffè o click sbagliati dovuti alla noia.

In pratica, Copilot Studio potrà cliccare bottoni, scrivere nei campi di testo, aprire menu a tendina e — cosa ben più interessante — interagire con applicazioni desktop e siti web anche quando non esistono API ufficiali. L’AI impara dall’interfaccia utente visiva. Se un umano può farlo guardando lo schermo, l’agente AI può farlo anche meglio. O almeno ci prova.

Elliott punta il bisturi su HPE: l’attivismo finanziario come ultima speranza per un colosso stanco

Quando un investitore attivista bussa alla porta, non lo fa mai per cortesia. E quando si chiama Elliott Investment Management, non bussa affatto: entra, si siede alla testa del tavolo e inizia a riscrivere le regole del gioco. Stavolta l’obiettivo è Hewlett Packard Enterprise, azienda che una volta rappresentava il cuore pulsante dell’IT enterprise americano e che oggi sembra arrancare nell’ombra dei suoi rivali più aggressivi. Con un investimento superiore a 1,5 miliardi di dollari, Elliott non ha semplicemente fatto un ingresso trionfale in HPE — ha premuto il grilletto su una ristrutturazione che, a meno di miracoli, non sarà né gentile né silenziosa.

Nvidia, Cina e il boomerang da 5,5 miliardi di dollari a stelle e strisce: quando il chip è amaro

Martedì, Nvidia ha acceso l’allarme rosso nei mercati dichiarando un colpo da 5,5 miliardi di dollari sulle sue finanze, un’anticipazione tutt’altro che digeribile per Wall Street. Il motivo? Le nuove, ennesime, restrizioni imposte dal governo degli Stati Uniti sulla vendita di chip per l’intelligenza artificiale e altre attrezzature hi-tech verso la Cina. Un déjà vu geopolitico che si trasforma, ancora una volta, in un bagno di sangue finanziario.

Il titolo Nvidia ha perso subito quota, lasciando sul terreno un secco 6% nelle contrattazioni after-hours. Non è una flessione qualsiasi: è un termometro emotivo, un segnale di panico sotto la superficie dorata del Nasdaq. Il gigante dei semiconduttori ha spiegato che l’onere è legato a inventario, impegni di acquisto e riserve associate ai chip H2O, quei gioiellini di silicio creati su misura per i clienti cinesi. Insomma: una Ferrari costruita per un mercato che ora rischia di finire sotto embargo. Non il massimo del timing.

Mentre in Europa si discute di regole, in Cina si scala. Ant Group crea 100 medici AI su Alipay: benvenuti nella sanità del capitalismo algoritmico cinese

Mentre l’Occidente ancora dibatte sulla privacy dei dati sanitari e sull’etica dell’intelligenza artificiale applicata alla medicina, Ant Group la fintech figlia prediletta del colosso Alibaba ha già messo online cento dottori virtuali. O meglio: cento agenti AI, addestrati direttamente dai team di celebri medici cinesi e pronti a rispondere 24 ore su 24 tramite l’app Alipay. Non si tratta di chatbot generici: ognuno di questi agenti è modellato su un luminare in carne ed ossa, e promette “consigli autorevoli e credibili” con il tocco freddo ma immediato del silicio.

Sì, la sanità in Cina sta diventando un prodotto plug-and-play, un servizio embedded nell’ecosistema digitale di una super app. Il cittadino non deve più neppure uscire da Alipay originariamente un’app di pagamento per ottenere diagnosi, consulenze, analisi di referti caricati via smartphone e perfino prenotazioni per visite in presenza. Il cerchio è chiuso, l’utente è fidelizzato, il medico è virtuale.

Kling 2.0, l’arma nucleare di Kuaishou nella guerra mondiale dei video generativi

Nel cuore di Pechino, sotto i riflettori di una presentazione aziendale con toni più da show business che da tech conference, Kuaishou ha lanciato Kling AI 2.0, definendolo – senza mezzi termini – “il modello di generazione video più potente al mondo”. Lo ha detto con tono trionfale Gai Kun, vicepresidente senior dell’azienda, mentre tutto il resto dell’industria dell’IA video globale stava probabilmente trattenendo il respiro, cercando di capire se fosse una sparata di marketing o la verità nuda e cruda.

Nel frattempo, numeri alla mano, Kling sta già scrivendo le sue regole. Oltre 22 milioni di utenti nel mondo, 168 milioni di video generati, più di 344 milioni di immagini sputate fuori da un’intelligenza artificiale che si nutre di prompt come un influencer si nutre di like. Sì, numeri da piattaforma mainstream, non da progetto sperimentale.

Anthropic entra in modalità voce: Airy, Mellow e Buttery la sfida ad OpenAI si gioca ora anche all’orecchio

Nel teatrino sempre più affollato e teatrale dell’intelligenza artificiale, Anthropic si prepara a salire di tono letteralmente con l’introduzione imminente di una “voice mode” per il suo chatbot Claude. Secondo quanto riportato da Bloomberg, la nuova funzionalità vocale dovrebbe debuttare già questo mese, segnando un passo audace (e atteso) per avvicinarsi alla già consolidata esperienza conversazionale di ChatGPT, che integra da tempo un’interfaccia vocale sofisticata.

Per ora, il sipario si apre su tre voci in inglese, battezzate con poetica intenzione: Airy, Mellow e Buttery. Già dai nomi si intuisce la volontà di costruire un’esperienza sonora non solo funzionale, ma sensorialmente curata, in un tentativo di umanizzazione dell’interazione con l’AI. Per chi mastica branding, non è un dettaglio: non si tratta solo di “parlare”, ma di come si parla all’utente.

Image Library OpenAI si reinventa tra ipocrisia filantropica e nuove funzioni da vetrina

OpenAI, nel suo eterno pendolo tra messianesimo tecnologico e capitalismo a trazione turbo, ha annunciato una nuova funzione per ChatGPT: la tanto attesa Image Library. Se usi l’AI per generare immagini, da oggi potrai finalmente vedere tutto il tuo piccolo museo di deliri visivi organizzato in griglia, direttamente dentro l’app mobile e a breve anche sul web. Lo hanno mostrato con un video promozionale di quelli corti, emozionali e pulitissimi, dove si vedono le immagini ben impaginate nel nuovo tab Library, con tanto di bottone fluttuante per crearne di nuove. In pratica, una galleria Instagram privata delle tue fantasie digitali, senza bisogno di doverle risalvare manualmente o andarle a cercare tra mille thread.

A volerla leggere superficialmente, è solo una feature in più. Ma a guardarla con l’occhio di chi conosce i giochi del potere e del prodotto, è chiaro che OpenAI si sta strutturando per diventare il contenitore creativo del prossimo decennio. Questo significa disintermediare anche i creatori visivi tradizionali, e spingere l’utente medio a costruire una relazione sempre più personale con l’output dell’AI. La Library non è solo comodità: è fidelizzazione travestita da UX.

Trump rilancia i dazi e affonda i chip: 1 miliardo di dollari in fumo per l’industria americana

Se c’è una costante nella geopolitica economica degli Stati Uniti targati Trump, è questa: ogni volta che si alza una barriera doganale per punire la Cina, qualcuno in California piange. E ora a piangere, con le tasche alleggerite di almeno un miliardo di dollari l’anno, sono proprio i colossi dell’industria dei semiconduttori americana. Applied Materials, Lam Research, KLA, e i player minori come Onto Innovation stanno facendo i conti non con i margini, ma con l’ascia di un protezionismo miope che rischia di segare il ramo su cui l’America tecnologica è seduta.

Secondo quanto riportato da Reuters, le tre principali aziende statunitensi produttrici di apparecchiature per semiconduttori stanno ciascuna fronteggiando perdite stimate attorno ai 350 milioni di dollari l’anno. Non a causa di un crollo della domanda, ma per le tariffe doganali decise dal solito zelo patriottico di Washington, in versione campagna elettorale. Onto Innovation, meno nota ma comunque presente nella supply chain globale, rischia perdite nell’ordine delle decine di milioni. Bruscolini, certo, ma solo per chi non lavora nell’azienda.

Seaweed, il colpo di ByteDance che umilia i giganti del video AI

Nel teatrino dell’IA generativa, dove ogni player misura la virilità del proprio modello a colpi di miliardi di parametri e petaflops di addestramento, ByteDance ha appena fatto qualcosa di inaudito: ha messo KO i muscolosi Google Veo, OpenAI Sora e compagnia cantando con Seaweed, un modello video “snello” da 7 miliardi di parametri. Una piuma, se confrontato con gli elefanti del settore. Eppure, Seaweed vince. Anzi, surclassa. Perché l’efficienza, quando è ben pensata, non è un compromesso: è un vantaggio competitivo.

Partiamo da ciò che conta davvero, non dai numeri: il risultato. Seaweed genera video di 20 secondi in output nativo, partendo da testo, immagine o audio. Non ci sono pipeline spezzate, stadi intermedi malamente incollati tra loro, né effetti Frankenstein tipici di alcuni modelli occidentali. Il flusso è fluido, naturale, quasi cinematografico. Sì, perché il cuore di Seaweed è la narrazione. Lì dove molti modelli si perdono in pixel e frame, Seaweed orchestra un racconto. E lo fa con multi-shot control, movimenti di camera logici, e colpo di classe una sincronizzazione labiale che non sembra più un esperimento universitario, ma una vera produzione audiovisiva.

Zuckerberg voleva scorporare Instagram: quando la paura dei regolatori batte l’ego di un imperatore digitale

Non è un segreto che il regno di Menlo Park sia stato costruito a colpi di acquisizioni strategiche, mosse predatorie e una visione quasi napoleonica del controllo dei dati personali. Ma ciò che emerge dal processo antitrust tra la Federal Trade Commission e Meta è un retroscena che profuma di auto-preservazione travestita da strategia imprenditoriale.

Secondo e-mail interne risalenti a sette anni fa, Mark Zuckerberg avrebbe considerato lo scorporo volontario di Instagram, proprio perché il suo successo crescente rischiava di oscurare Facebook, la piattaforma madre.

FS Research Center Prevedere o costruire il futuro? L’illusione del cigno nero e il risveglio del planner visionario

Nel panorama rarefatto della pianificazione infrastrutturale italiana, Mario Tartaglia Lead del Research Center lancia una provocazione tanto elegante quanto velenosa: “To Predict or to Build the Future?”. Una domanda che non è un semplice invito alla riflessione, ma un’accusa neanche troppo velata verso la cronica miopia decisionale di chi dovrebbe disegnare il nostro domani su rotaie, asfalto e reti digitali.

Tartaglia non gioca sul banale ottimismo futurista. Mette in fila quarant’anni di incoerenza istituzionale – dal primo Piano dei Trasporti del 1985 alla tragicomica sequela di liste della spesa strategiche della cosiddetta Legge Obiettivo del 2001 per farci capire che il vero cigno nero non è la pandemia, né il cambiamento climatico. Il vero Black Swan è l’incapacità sistemica di pianificare con visione. E, come suggerisce il buon Nassim Taleb, il COVID non era nemmeno un cigno nero: era un elefante nella stanza, annunciato da Gates, Quammen e mezzo mondo scientifico. Ma come al solito, nessuno ha ascoltato Cassandra.

Cercasi mecenati digitali: tra datacenter, AI e la solita italianissima miopia normativa, Mario Nobile AGID

Al Festival dell’Innovability quel teatro vicino al Bar dei Daini, a metà tra marketing ambientale e fiolosofia tecnologica Mario Nobile (un Illuminato), direttore dell’AGID, ha sparato tre cartucce apparentemente innocue ma potenzialmente esplosive se solo avessimo la polvere da sparo (leggasi: visione, capitale, coraggio).

La prima riguarda la semplificazione delle regole. E qui viene da chiedersi: com’è possibile che nel 2025 dobbiamo ancora parlare di “snellire la burocrazia”? In realtà, la normativa italiana è progettata come una ragnatela per bloccare sul nascere ciò che non si riesce a controllare. Ogni innovatore che ha provato a scalare un progetto in Italia si è ritrovato a combattere con mille regolamenti incrociati, interpretazioni divergenti tra enti locali, e una PA in cui il cloud è ancora percepito come una minaccia alla “custodia” dei faldoni cartacei. Se semplificare le regole diventa il primo punto di un’agenda digitale, significa che siamo ancora in pre-produzione, mentre il resto del mondo ha già caricato la V2 in beta pubblica.

Huawei sfida Nvidia: la supernode cinese che punta a riscrivere le regole dell’intelligenza artificiale

Mentre l’occidente dorme e si gingilla con le sue regolazioni etiche e i suoi panel consultivi, Huawei ha appena alzato il sipario su qualcosa che, nel gergo bellico delle tecnologie emergenti, suona come un messaggio nucleare: la CloudMatrix 384 Supernode. Non è un nome da blockbuster hollywoodiano, ma dietro a questo acronimo rigido si nasconde una bestia da 300 petaflop, un Frankenstein di silicio che – se i numeri dichiarati reggono surclassa la tanto celebrata NVL72 di Nvidia (ferma a “soli” 180 petaflop). Fonte: STAR Market Daily

Il tempismo non è casuale. Gli USA hanno sbarrato l’accesso ai chip avanzati? Huawei risponde rilanciando con un’architettura AI che fa a meno di Santa Clara. La risposta cinese alla fame mondiale di potenza computazionale non è più una replica, è una dichiarazione di indipendenza. Ed è strategica, non solo tecnologica. Il fatto che la supernode sia già operativa a Wuhu, nella provincia centrale dell’Anhui, non è un dettaglio geografico: è la conferma che l’infrastruttura AI cinese non sta più nei laboratori, ma nei datacenter attivi, quelli veri.

Google vuole girare il tuo cinema interiore: arriva Veo 2, l’IA che fa video su prompt ma ti mette il guinzaglio

Google ha deciso che il cinema del futuro non lo faranno più i registi indie né gli studios di Hollywood: lo gireremo tutti noi, un prompt alla volta, con Veo 2, la nuova generazione del suo modello di intelligenza artificiale per la creazione di video realistici e ad alta risoluzione. Per ora, però, solo i Gemini Advanced subscribers possono giocare con questa nuova macchina dei sogni. Sì, sempre che abbiano tempo, fantasia e pazienza da vendere. E soprattutto: sempre che non sforino la quota mensile imposta da mamma Google. Perché l’intelligenza artificiale sarà anche generosa, ma mica gratis.

Visita il blog Google.

Da oggi, gli abbonati a Gemini possono scegliere Veo 2 dal menù a tendina nella versione web o mobile e generare clip da otto secondi in formato 720p. Più che cinema, un trailer di TikTok. A proposito: se stai usando l’app su mobile, puoi caricare il tuo capolavoro direttamente su TikTok o YouTube grazie al tasto share. Come dire: se non diventi virale, è colpa tua, non dell’algoritmo.

Claude diventa impiegato modello: Anthropic sfida Google e Microsoft con ricerca autonoma e Google Workspace integrato

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Chiudete gli occhi e immaginate un assistente aziendale che non dorme mai, non prende ferie, non si lamenta della macchina del caffè rotta, e soprattutto: non perde mai una mail. È questo il sogno che Anthropic ha deciso di monetizzare. Oggi lancia due novità pesanti come mattoni nella vetrina già affollata dell’intelligenza artificiale aziendale: l’integrazione con Google Workspace e una nuova funzione di ricerca “agentica” che promette di cambiare le regole del gioco. O, per i più disillusi, di spostare l’asticella un po’ più in là nel far finta di sapere di cosa si parla.

Claude, il chatbot elegante e moralista di Anthropic, ora diventa più ficcanaso e più utile. Dopo aver chiesto il permesso, naturalmente. Si collega alla tua Gmail, ai documenti su Google Drive e al tuo Google Calendar. Risultato? Ti evita l’inferno quotidiano di cercare “quel PDF di tre mesi fa che conteneva forse il piano marketing”. Claude lo trova, te lo spiega, ti fa un riassunto e magari ti dice pure se sei in ritardo con le consegne. Questo lo trasforma da semplice chatbot a qualcosa di molto simile a un vice-assistente operativo, pronto a competere direttamente con Copilot di Microsoft e altri tentativi simili (spesso più promessi che mantenuti).

Luciano Floridi: L’eclissi dell’analogico: perché i bit stanno divorando il mondo e il mondo non se ne accorge

Articolo completo disponibile qui

Nel suo saggio The Eclipse of the Analogue, the Hardware Turn, and How to Deal with Both, Luciano Floridi firma un manifesto filosofico che è tanto un’allerta quanto una diagnosi cinica e lucida sul rapporto sempre più tossico tra digitale e analogico. Il testo, a tratti feroce nella sua chiarezza, è una lettura che ogni CTO, policymaker e filosofo (anche quelli travestiti da imprenditori) dovrebbe tenere come guida per non diventare l’ennesimo adoratore del feticcio digitale.

Floridi articola tre tesi connesse ma devastanti nella loro implicazione: primo, l’epistemologia del nostro tempo è mediata da modelli digitali che eclissano i sistemi reali; secondo, il potere non è più nel codice ma nell’hardware che lo supporta, in quella che chiama “hardware turn“; terzo, la soluzione non è un ritorno nostalgico al passato analogico, ma una combinazione riformulata di educazione critica (Paideia), legislazione robusta (Nomos), e una sovranità digitale capace di presidiare il confine sempre più labile tra ciò che è vero e ciò che è simulato.

AMD produrrà chip CPU presso l’impianto TSMC in Arizona

​AMD ha annunciato che inizierà a produrre i suoi processori di quinta generazione EPYC, destinati ai data center, presso il nuovo impianto di Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) in Arizona. Questa mossa segna la prima volta che i prodotti AMD saranno fabbricati negli Stati Uniti, riflettendo una tendenza più ampia di riportare la produzione di semiconduttori sul suolo americano, in risposta ai crescenti rischi legati al commercio e alle tariffe.

Il nuovo processore EPYC, nome in codice “Venice”, sarà il primo chip di calcolo ad alte prestazioni di AMD finalizzato per la produzione con la tecnologia avanzata a 2 nanometri di TSMC. Sebbene TSMC inizierà inizialmente la produzione di chip a 2 nm a Taiwan, gli sforzi di AMD indicano una pianificazione robusta per il futuro nella progettazione di chip avanzati.​

OpenAI e il suo social network, Il B2C, signori, non è solo il futuro è la macchina che vince sempre

OpenAI si sta buttando nell’arena più tossica, affollata e umanamente compromessa dell’intero universo tech: il social networking. Non stiamo parlando di un’estensione corporate da 4 slide su PowerPoint o di una funzionalità da developer preview, ma di un progetto vero, con tanto di feed visuale centrato sulla generazione di immagini di ChatGPT. La notizia è arrivata da The Verge, citando fonti interne che parlano di un prototipo già operativo.

Per ora siamo ancora in fase embrionale, ma il fatto stesso che OpenAI colosso dell’AI da 97 miliardi di valutazione e braccio operativo di Microsoft nella guerra per la dominance cognitiva dell’umanità stia anche solo valutando una piattaforma sociale, dice molto. Dice che il B2C, alla fine, vince sempre. Perché è lì che stanno gli occhi, i dati, le interazioni, le emozioni. È lì che si costruiscono le dipendenze. Ed è lì che l’AI vive e prospera.

Google photos e Gemini: l’intelligenza artificiale sa quando ti scade il passaporto e cosa hai mangiato in vacanza

La notizia è secca, quasi banale: Google sta integrando Photos con Gemini, il suo nuovo assistente AI. Ma attenzione: è solo per “un gruppo selezionato di utenti invitati”.

L’effetto è quello di una festa a cui non sei stato chiamato, ma dalla strada vedi tutto attraverso le finestre.La vera questione non è cosa fa, ma cosa promette di diventare.

L’integrazione, attualmente in rollout graduale su Android e iOS, permette a Gemini di accedere al tuo archivio fotografico e di rispondere a richieste del tipo “mostrami le foto con Mario al lago di Como” oppure “quando ho rinnovato il passaporto?” o ancora “che cavolo ho mangiato a Barcellona l’anno scorso?”.

Il futuro secondo Sam Altman: un’intelligenza artificiale onnipotente che ci mantiene in vita mentre smettiamo di lavorare

Sam Altman non investe, orchestra. La sua strategia assomiglia più a una sinfonia tecnofuturista che a un classico portafoglio da venture capitalist. Non è il classico miliardario che diversifica per ridurre il rischio, ma uno che punta tutto su un futuro ben preciso e spaventosamente coerente. Se uno si ferma a un solo annuncio, tipo lo scanner oculare di Worldcoin può pensare a un’altra Silicon Valley gimmick. Ma mettendo insieme Retro Biosciences, Roboflow, Operator, OpenResearch, Oklo, e soprattutto Stargate, il quadro si fa chiarissimo: Altman non vuole costruire l’ennesima startup. Vuole ricablare la civiltà.

Partiamo dall’inizio, o dalla fine, a seconda di come lo si guarda: Retro Biosciences. Un’azienda che lavora per allungare la vita di dieci anni. Non cinquanta. Dieci. Quel tanto che basta per arrivare vivi e vegeti all’era in cui le macchine faranno tutto. Un’umanità mantenuta efficiente ma sempre meno necessaria, che deve solo resistere abbastanza per non perdersi la festa finale.

Hugging Face mette le mani su Pollen Robotics: l’AI si fa carne e servo-meccanismi

La notizia, apparentemente innocua, ha il sapore di una mutazione darwiniana per il mondo dell’intelligenza artificiale. Hugging Face, la ben nota piattaforma da developer-nerd cool che distribuisce modelli AI open source come fossero caramelle alle fiere di settore, ha deciso di scendere dal cloud per toccare il metallo vivo.

Ha appena acquistato Pollen Robotics, startup francese con quartier generale a Bordeaux, produttrice del robot Reachy, una creatura da laboratorio dal prezzo di listino di 70.000 dollari, capace di prendere una mela o una tazza mica male per un golem 2.0 con ruote e braccia.La cifra dell’acquisizione?

Chatgpt 4.5 supera il test di Turing: benvenuti nel bluff perfetto dell’intelligenza artificiale

Se Alan Turing potesse vedere cosa è successo a San Diego, probabilmente alzerebbe un sopracciglio e accennerebbe un mezzo sorriso. Non perché le macchine abbiano finalmente conquistato l’umano, ma perché ci siamo lasciati fregare con una naturalezza che ha dell’artistico. L’Università della California ha recentemente condotto uno studio che ha mostrato come ChatGPT-4.5, il chiacchieratissimo modello di OpenAI rilasciato solo lo scorso febbraio, sia riuscito a superare una versione moderna del test di Turing nel 73% dei casi. Avete capito bene: in quasi tre conversazioni su quattro, la gente ha pensato che dietro allo schermo ci fosse un umano.

Il test, che richiede semplicemente a un giudice umano di distinguere tra una persona reale e una macchina basandosi esclusivamente sul dialogo, ha sancito che GPT-4.5 sa camuffarsi meglio di un PR in crisi reputazionale. Mentre altri modelli come LLama-3.1-405B o la storica e ormai patetica ELIZA annaspano, GPT-4.5 emerge come il nuovo Casanova digitale.

Apple reinventa la privacy: intelligenza artificiale migliore, dati personali intatti

Apple ci ha abituati a muoversi lentamente, a volte troppo lentamente, quando si tratta di intelligenza artificiale. Ma ora sembra che voglia recuperare terreno con una mossa che fa sembrare OpenAI e Google dei guardoni digitali. L’azienda di Cupertino ha annunciato, con il solito tono da “vi spieghiamo tutto ma non troppo”, un nuovo metodo per migliorare i propri modelli AI senza toccare, copiare o sbirciare i dati degli utenti. Sì, hai letto bene: nessun dato che varca il perimetro sacro del tuo iPhone o Mac.

In una mossa che sa tanto di “vedi mamma, niente mani”, Apple userà dei dataset sintetici, ovvero dati finti ma verosimili, per addestrare i suoi modelli. Come funzionerà? Il dispositivo confronterà questi dati sintetici con porzioni di email o messaggi reali, ma solo per chi ha deciso (volontariamente?) di aderire al programma Device Analytics. A quel punto, il sistema individua quale input finto somiglia di più al contenuto reale e invia ad Apple solo un segnale: niente testo, niente contenuti, solo l’informazione che dice “questo è il più simile”.

Xpeng scavalca Nvidia: la Cina mette il turbo ai chip per auto autonome

Il profumo di autonomia non è più solo una questione di chilometri: ora è una guerra di cervelli in silicio. E mentre Nvidia gioca ancora a fare il monopolista nel campionato occidentale dell’AI automobilistica, Xpeng – il costruttore di EV cinese che un tempo sembrava l’ennesimo clone con touchscreen – ha deciso di farsi il cervello in casa. E non un cervello qualsiasi, ma un chip chiamato Turing, che secondo il fondatore e CEO He Xiaopeng, batte l’onnipresente Drive Orin X di Nvidia di tre volte in potenza computazionale. Tre. Volte.

Il messaggio è chiaro: o si innova, o si muore. E in Cina, dove l’EV è religione di Stato e la guida autonoma è diventata il nuovo campo di battaglia per il predominio tecnologico, la sopravvivenza passa dalla verticalizzazione assoluta. La Turing chip non è solo una dimostrazione di forza, è un atto politico, un gesto di indipendenza strategica in un’epoca dove i semiconduttori sono le nuove armi nucleari del XXI secolo.

Dietro il sorriso dell’intelligenza artificiale cinese: genio, gloria e morti premature

La corsa globale all’intelligenza artificiale è un tritacarne. Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati in una guerra tecnologica dove il dominio sull’AI non è solo una questione di supremazia economica, ma un braccio di ferro geopolitico. Mentre le startup americane cavalcano la bolla della generative AI a colpi di venture capital e stock option, la Cina gioca la sua partita con ferocia quasi darwiniana: cervelli reclutati, rimpatriati, spremuti. E talvolta, prematuramente sepolti.

Negli ultimi anni, l’industria dell’AI in Cina ha perso alcune delle sue menti più brillanti, stroncate da malattie improvvise, stress, missioni militari o sfortune ad alta quota. Le storie sembrano uscite da un episodio di Black Mirror girato a Pechino: giovani talenti, progetti ambiziosi, pressioni etiche e ambienti di ricerca tossici che non concedono tregua.

Antitrust in ritardo e disastri annunciati: quando il governo USA rincorre le Big Tech col fiatone

Se c’è un’immagine che descrive perfettamente il rapporto tra governo e Big Tech, è quella di un poliziotto che insegue un’auto sportiva… in triciclo. Non importa se ha ragione, arriverà comunque troppo tardi. È la fotografia sbiadita dei processi antitrust intentati dalla Federal Trade Commission contro colossi come Google e Meta. Processi che sembrano nati da fototessere di un’epoca passata, scolorite quanto inutili, e che pretendono di giudicare un mercato tecnologico con dinamiche mutate più velocemente di una story su Instagram.

Il caso contro Meta, sbarcato in tribunale a Washington, si basa sull’acquisizione di Instagram e WhatsApp, avvenute rispettivamente nel 2012 e nel 2014. Due ere geologiche fa, in scala digitale. All’epoca Instagram era poco più di una fotocamera con filtri carini, e WhatsApp un servizio di messaggistica senza modello di business. Oggi sono pilastri dell’impero Zuckerberg, ma accusarlo adesso per quelle mosse equivale a multare un’auto in sosta perché vent’anni fa ha superato il limite di velocità.

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