C’è un’idea tanto affascinante quanto scomoda, espressa con lucidità e ironia da Marco Giancotti in un recente post (Aether Mug Subscribe newsletter.): forse gli ingegneri del software, nel tentativo di costruire programmi più intelligenti, hanno finito per scoprire un modo di rappresentare la mente umana. L’intuizione nasce dal parallelo tra il Unified Modeling Language e i meccanismi del pensiero: come se il nostro cervello ragionasse in diagrammi UML, con classi, relazioni e astrazioni. È un’immagine irresistibile, perché ci restituisce una verità troppo spesso ignorata: non programmiamo solo le macchine, programmiamo anche noi stessi.