Nvidia che mette in pausa la produzione del suo chip H20 per il mercato cinese è una di quelle mosse che, per chi osserva l’industria dei semiconduttori da decenni, sa tanto di partita a scacchi giocata a bordo di un vulcano attivo. Non è solo una questione tecnica, è geopolitica, industriale, di percezione e di narrativa globale. Il chip H20, nato come compromesso tecnologico per aggirare i limiti imposti dalle restrizioni statunitensi e offrire al mercato cinese una versione “castrata” ma pur sempre competitiva delle GPU Nvidia, diventa oggi il simbolo della fragilità della catena di fornitura. E soprattutto di quanto l’equilibrio tra Washington e Pechino stia ridisegnando i confini dell’innovazione digitale.
Il fatto che Nvidia abbia detto ad Amkor, player chiave nel packaging avanzato, e a Samsung, colosso della memoria ad alta banda, di sospendere la produzione, non è una decisione industriale di routine. È un segnale. È come dire ai mercati: attenzione, qui le condizioni non sono più sotto controllo. Le giustificazioni ufficiali parlano di gestione della supply chain, ma chiunque conosca la logica di queste mosse sa che la vera posta in gioco è il controllo politico e strategico della tecnologia AI. La Cina ha già dimostrato che non intende restare appesa al filo delle GPU americane, e il richiamo delle autorità locali a Tencent e ByteDance per discutere i rischi legati all’acquisto di H20 lo conferma. È un messaggio chiaro: Pechino non vuole che il cuore del suo ecosistema digitale batta a ritmo imposto da Silicon Valley.