La narrativa occidentale ci ha abituati a pensare che l’innovazione nell’intelligenza artificiale sia un affare ristretto alle solite quattro o cinque corporation americane, ma la realtà si muove più veloce delle analisi degli analisti. ByteDance, l’azienda madre di TikTok e Douyin, ha appena messo sul tavolo un nuovo pezzo di artiglieria pesante: il modello Seed-OSS-36B. Nonostante i suoi “soli” 36 miliardi di parametri, la società proclama che questo modello open source non solo tiene il passo con concorrenti del calibro di Google e OpenAI, ma in certi benchmark li supera. Ironico, se si pensa che l’Occidente continua a guardare con sufficienza agli sforzi cinesi, mentre i laboratori di Pechino e Hangzhou stanno costruendo le fondamenta di un ecosistema AI più resiliente e, soprattutto, meno dipendente da chip e infrastrutture straniere.
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Nel mezzo di una disputa geopolitica mascherata da strategia industriale, Huawei ha appena lanciato un guanto di sfida scintillante e pesante come una scheda HBM3: open-source totale del suo Compute Architecture for Neural Networks, il CANN. Un toolkit nato per abilitare lo sviluppo su Ascend, il processore AI del colosso di Shenzhen, che ora diventa libero. Aperto. Democratico. In perfetta controtendenza con la filosofia chiusa e blindata della rivale californiana, Nvidia, che nel frattempo difende la sua CUDA con le unghie, i denti e i codici di licenza.
Secondo Eric Xu Zhijun, presidente a rotazione con vocazione da patriota tecnologico, questa mossa renderà “Ascend più facile da usare” e accelererà “l’innovazione da parte degli sviluppatori”. Più che un’apertura, sembra un attacco laterale, un passo audace verso quell’obiettivo ossessivamente ripetuto a Pechino: autosufficienza tecnologica. Altro che “code is law”, qui è “open-source is sovereignty”.

Nel momento in cui Washington scrive liste nere, Pechino firma assegni. Z.ai, già nota come Zhipu AI, sforna modelli open source che mettono in imbarazzo l’Occidente, proprio mentre la Casa Bianca la inserisce tra i cattivi ufficiali sulla famigerata “Entity List”. Il motivo? Supporto al complesso militare cinese. Il risultato? Una delle migliori AI open source del pianeta, GLM-4.5, battezza con il botto l’era del “dissenso computazionale”.
Il gioco si fa sottile, quasi perfido. Gli americani impongono restrizioni commerciali, ma nel frattempo Z.ai riceve 1.5 miliardi di dollari da entità statali cinesi, fondi regionali e colossi tech come Tencent e Alibaba. Tutti allineati in una danza geopolitica dove il codice diventa soft power e l’open source la nuova arma strategica. Per ogni embargo, Pechino risponde con parametri. E ne attiva 32 miliardi su un’architettura da 355. Il risultato? Efficienza da Mixture of Experts, prestazioni da primato e una licenza MIT che rende tutto liberamente scaricabile su Hugging Face. San Francisco osserva, mentre il suo primato comincia a scricchiolare.

Il tempo delle dichiarazioni di superiorità assoluta, delle IA blindate e delle presentazioni pirotecniche è finito. Baidu, il gigante di Pechino che fino a ieri si atteggiava a custode geloso del proprio tesoro algoritmico, ha compiuto una virata spettacolare quanto inevitabile: ha rilasciato in open source dieci varianti del suo modello Ernie 4.5 su Hugging Face, con taglie che vanno da una snella 0.3 miliardi di parametri fino al mastodonte da 424 miliardi. È come se Microsoft si mettesse a regalare copie di Windows, con tanto di codice sorgente e manuale d’uso allegato.
Eppure, meno di un anno fa, Robin Li, CEO di Baidu, dichiarava pubblicamente che “gli LLM open source non potranno mai eguagliare la potenza dei nostri modelli proprietari”. Chissà se oggi rilegge quelle frasi con un sorriso ironico o con l’amaro in bocca. Ma una cosa è certa: nel panorama AI cinese si è rotto un argine, e la diga dell’open source ora travolge anche chi voleva dominare la partita a porte chiuse.

Sembrava un’altra startup cinese come tante, DeepSeek, ma a gennaio ha gettato il sasso nello stagno. Con una dichiarazione arrogante: “Abbiamo costruito un LLM di livello GPT-4 con hardware cheap e budget minimo”. Ovviamente, balle. Ma le balle, quando girano bene, fanno più rumore della verità. E DeepSeek ha dato fuoco alle polveri di una corsa improvvisa – e maledettamente ipocrita – verso il sacro graal dell’open source AI, o meglio, della sua parodia: l’open weight.
Improvvisamente, tutti vogliono sembrare più open. L’Europa ci sguazza, col suo OpenEuroLLM, una risposta burocratica e trasparente (quindi inefficiente) al monopolio USA-Cina. Meta rilancia LLaMA 4, Google sforna Gemma 2, Gemma Scope e ShieldGemma. DeepMind, con un nome alla Isaac Newton, promette un motore fisico open source. In Cina, Baidu, Alibaba e Tencent si fingono open per motivi “strategici”. E persino OpenAI, soprannominata da Musk “ClosedAI”, ha improvvisamente scoperto la passione per l’apertura: “rilasceremo un modello open weight”. Ma guarda un po’.

Quando un colosso come Meta inizia a parlare apertamente di “democratizzazione tecnologica”, è naturale che il cinismo faccia capolino. Ma il messaggio è chiaro: l’open source nell’intelligenza artificiale non è più un tema da sviluppatori nerd o accademici con l’ossessione per la libertà del software, è il cuore pulsante della prossima ondata di crescita economica americana. Altro che “libertà digitale”, qui si parla di soldi. Tanti.
Meta, nel suo ennesimo tentativo di apparire più simile a una fondazione benefica che a un monopolista con mire globali, spinge l’idea che i modelli AI open source come il suo celebre LLaMA, scaricato oltre un miliardo di volte siano il grande equalizzatore. In un’epoca in cui Nvidia e OpenAI tengono i rubinetti del potere tecnologico ben saldi, offrire modelli “gratis” suona come la versione moderna del “land of opportunity”. Ma il messaggio va oltre la filantropia tech: questo tipo di intelligenza artificiale può e lo sta già facendo ridisegnare il panorama competitivo, a partire dalle PMI americane.

Nvidia ha appena rilasciato Dynamo, una libreria open-source pensata per ottimizzare l’inferenza dei modelli di AI su larga scala. Tradotto: un software che promette di far girare più velocemente i modelli di intelligenza artificiale, riducendo i costi e abbattendo la latenza. Una manna per le aziende che stanno bruciando GPU e milioni di dollari per far funzionare le loro AI.
La mossa arriva in un momento cruciale: l’intelligenza artificiale sta divorando potenza di calcolo come mai prima, con costi che mettono a dura prova anche i colossi del settore. Con Dynamo, Nvidia vuole offrire una soluzione che massimizzi l’efficienza, riduca gli sprechi e renda più accessibile il deployment di modelli sempre più esigenti. Read the Tech Blog

Definire l’apertura nell’IA
Il termine “open source” proviene dal software, dove significa accesso al codice sorgente e nessun limite sull’uso o la distribuzione del programma. Rendere i grandi modelli di IA veramente open source è molto più complesso, poiché coinvolge enormi quantità di dati e codice.Le aziende non sempre vogliono rivelare tutti i dettagli dei loro modelli, per evitare rischi commerciali o legali.