Apple è diventata improvvisamente la studentessa ansiosa che si accorge di aver dimenticato i compiti il giorno dell’esame. Dopo anni a difendere l’immagine di Siri come “voice assistant” pionieristico, Cupertino ha dovuto guardare in faccia la realtà: ChatGPT, Gemini e persino Perplexity hanno trasformato la ricerca vocale e l’interazione con l’intelligenza artificiale in qualcosa che non è più un giocattolo, ma un’infrastruttura critica del digitale. Così, ecco arrivare il colpo di scena degno di una serie HBO: Apple starebbe testando Gemini, il modello AI di Google, per rianimare Siri con quello che internamente viene chiamato “World Knowledge Answers”.

L’ironia è palpabile. L’azienda che per anni ha evitato di nominare la parola “AI” come se fosse un termine volgare, adesso si ritrova a bussare alla porta del suo storico partner-rivale. La stessa Apple che incassa circa 20 miliardi di dollari l’anno perché Google sia il motore di ricerca predefinito su Safari, oggi valuta di affidare a Mountain View il cuore della sua intelligenza artificiale vocale. Non è esattamente il tipo di storytelling che un marchio ossessionato dal controllo ama raccontare.