Il cuore del provvedimento è semplice: vietare a tutte le agenzie esecutive federali statunitensi l’utilizzo di modelli di intelligenza artificiale originari da “nazioni avversarie” – Cina, Russia, Iran e Corea del Nord – a meno che il Congresso o l’OMB concedano un’eccezione L’obiettivo dichiarato? Proteggere le reti governative da possibili influenze o manipolazioni estere. Secondo i promotori, “non possiamo permettere che sistemi AI ostili operino al nostro interno”, una frase forte che definisce bene lo spirito della proposta.

Dietro la spinta politica c’è il caso DeepSeek, la controversa AI cinese che ha fatto scalpore per performance notevoli, bassi costi e presunte connessioni con reti militari e agenzie di intelligence della RPC . DeepSeek, accusata di sfruttare larghe quantità di chip Nvidia e di trasmettere dati sensibili, ha già attirato l’attenzione di alcune aziende e agenzie governative statunitensi, che ne hanno vietato l’uso.

Il testo della proposta prevede un ente dedicato, il Federal Acquisition Security Council, incaricato di stilare e aggiornare la lista di tecnologie AI sconsigliate. Senza l’ok esplicito di Congresso o OMB, nessuna di queste potrà essere utilizzata nella pubblica amministrazione. Le eccezioni sono ammesse solo per scopi di ricerca o per ragioni di sicurezza nazionale, e sarà possibile togliere un modello dalla blacklist solo dimostrando che non è controllato né influenzato da potenze ostili.

I promotori repubblicani e democratici replicano con una mossa coordinata: alla Camera la firma di John Moolenaar (chair del Select Committee CCP) e Raja Krishnamoorthi; al Senato, quota bipartisan con Rick Scott e Gary Peters. Parole come “wall firewall permanente” e “usare AI di nazioni ostili nelle funzioni governative non conviene” risuonano come un avvertimento netto .

Questo provvedimento, pur nascendo da un dibattito su DeepSeek, rappresenta un cambio strategico. Per la prima volta, converge su un principio ampio: nessuna AI sviluppata in regimi visti come nemici dovrebbe trovarsi in sistemi governativi americani. È la nuova frontiera di una competizione tecnologica globale, dove la “frode informativa”, lo spionaggio tecnologico e la dipendenza industriale fanno da sfondo a una corsa all’autarchia digitale.

Curiosità degna di nota: nel 2025 Stanford ha rilevato che, sebbene gli USA mantengano un vantaggio sui modelli AI più avanzati, la Cina è ormai in vantaggio per numero di pubblicazioni e brevetti . Non sorprende quindi che si stia stringendo il cerchio sulla provenienza delle AI utilizzate in contesti strategici.

Tutto porta a una riflessione pungente: la tecnologia, che doveva unire il pianeta, rischia di diventare il prossimo fronte freddo. Oggi è il Congresso a mettergli un confine, domani potrebbero essere i sistemi di sicurezza nazionale a incarnare quel confine stesso. L’AI non è più solo software: è geopolitica digitalizzata.