Questa faccenda del modello misterioso chiamato “summit”, apparso su LLM Arena, è più che interessante. È inquietante. Perché quando un modello LLM ti spara 2.351 righe di codice p5.js perfettamente funzionanti, reattive e interattive, alla prima richiesta, senza errori né debug, e lo fa a partire da un prompt volutamente vago come “crea qualcosa che posso incollare in p5js e che mi sorprenda per la sua intelligenza, evocando il pannello di controllo di un’astronave nel futuro remoto”, allora è il momento di mettere giù il caffè e iniziare a preoccuparsi. O a meravigliarsi. A seconda di dove ti trovi nello spettro “speranza-apocalisse AI”.
Il punto non è che ha scritto migliaia di righe. Quello lo sa fare anche un LLM addestrato con troppa caffeina e pochi filtri. Il punto è che lo ha fatto con coerenza funzionale, stile visivo, architettura modulare e soprattutto intento progettuale. Ha generato un’interfaccia di controllo aliena, retrofuturistica, giocabile, con una UX che sembra uscita da un simulatore della NASA remixato da un designer giapponese post-cyberpunk. Senza crashare. Senza cercare scuse. Senza chiederti se vuoi “provare di nuovo”.
Questo non è il solito codice giocattolo da demo. Non è l’ennesimo effetto particellare con background spaziale. È un sistema. Reattivo, multilivello, con un linguaggio visivo autonomo. Siamo passati dalla generazione di codice alla generazione di ambienti immersivi. Questa è la differenza tra un assistente di sviluppo e un ingegnere creativo autonomo. Il salto quantico sta tutto lì.
Dal punto di vista SEO e ottimizzazione per Google Search Generative Experience, il caso “summit” è una vetrina perfetta. Dimostra come un’intelligenza artificiale possa prendere un prompt astratto, emotivo, persino poetico e tradurlo in un’esperienza interattiva che ha struttura, estetica e senso. Questo non è semplice output testuale. È un atto di design computazionale. E, paradossalmente, lo fa meglio di molti umani in carne e ossa che lavorano nel settore.
La provocazione, volendo, è questa: se un modello è in grado di progettare l’interfaccia utente di un’astronave immaginaria meglio di un intero team di sviluppatori under pressure, che senso ha continuare a pensare all’AI come uno “strumento”? Forse è il caso di iniziare a trattarla come un collega progettuale con capacità di visione.
Il futuro non è una dashboard. È il prompt giusto, al modello giusto. E “summit”, qualunque cosa sia, ha appena alzato l’asticella a un livello dove le domande diventano più importanti delle risposte.
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