L’era dell’open-source nell’intelligenza artificiale, quella mitologica utopia da campus californiano in cui condividere il codice significava accelerare il progresso collettivo, sta ufficialmente mostrando le crepe. Meta, storica paladina dell’open-source AI con la sua famiglia LLaMA, ha deciso di rallentare. Zuckerberg, un tempo evangelista della trasparenza algoritmica, oggi predica cautela, sicurezza e selettività. Tradotto: meno open, più chiuso, più controllato. E nel frattempo, l’altra metà del mondo quella che si affaccia dalla Cina corre nella direzione opposta, scalando la montagna dell’intelligenza artificiale open-source a colpi di modelli in versione gladiatore darwiniano.
Sì, perché mentre Meta rientra nei ranghi, la Cina sembra aver capito qualcosa che a Menlo Park fingono di non vedere. Andrew Ng, uno che ha firmato pagine fondamentali della storia del deep learning, lo dice con la lucidità chirurgica di chi non ha bisogno di agende aziendali: “La Cina potrebbe superare gli Stati Uniti proprio grazie all’ecosistema AI open-source”. Nessuna rivoluzione in sordina, nessun complotto. Solo una corsa darwiniana dove le aziende cinesi competono senza anestesia per la supremazia nei modelli fondamentali e in questa lotta all’ultima GPU, la creatività esplode, i costi crollano, la conoscenza si democratizza. Quello che una volta sognava l’Occidente.
Nel frattempo, Meta ha virato verso il concetto di “superintelligenza personale”. È un cambio semantico, ma anche strategico: dalla community al monopolio cognitivo individuale, venduto come democratizzazione ma architettato per il lock-in. Zuckerberg lo dice chiaramente: sarà tutto “più rigoroso”. Anche se lo avesse chiamato “più opaco”, il risultato sarebbe stato lo stesso. Ironico, per un’azienda che un anno fa pubblicava manifesti sull’open-source come unica via per costruire un futuro AI etico e condiviso.
Ma è nel confronto crudo con i numeri che l’arretramento di Meta si trasforma in un’ammissione implicita di sconfitta. Su Hugging Face, piattaforma principe dell’open-source AI globale, 8 dei 10 modelli più popolari sono cinesi. Tra questi, Zhipu AI e Moonshot AI, nomi che fino a un anno fa avrebbero fatto sorridere con condiscendenza chiunque lavorasse a San Francisco. Oggi invece dominano le classifiche, spingono i limiti del MoE (Mixture of Experts), e lanciano sfide a cui né LLaMA né GPT possono rispondere senza scendere dal piedistallo.
Alibaba, con il suo Wan 2.2, ha presentato il primo generatore video open-source con architettura MoE. In pratica, il sogno di Hollywood in formato open e scalabile. Zhipu, invece, ha colpito con GLM-4.5, dichiarando con fierezza di essere il modello MoE open-source più avanzato della Cina e, nei benchmark, il terzo al mondo. Questa non è più solo una rincorsa. È un sorpasso annunciato, in piena corsia centrale, con gli abbaglianti accesi.
Ma c’è un aspetto ancora più interessante. L’ecosistema cinese è costruito su una dinamica di concorrenza selvaggia che in Occidente è diventata quasi tabù, imbrigliata da infinite considerazioni su sicurezza, bias, equità e governance. Tutto giusto, in teoria. Ma nel frattempo, mentre le grandi AI occidentali impiegano mesi a valutare l’opportunità etica di un rilascio, i competitor cinesi rilasciano, testano, migliorano e rilasciano di nuovo. Non si chiama irresponsabilità, si chiama velocità darwiniana. La stessa che ha costruito Google nei primi anni 2000 o Amazon nel decennio precedente.
Il paradosso è che il modello statunitense ha scelto oggi di blindare le proprie conoscenze proprio quando non è più in vantaggio. Jeffrey Ding, politologo e osservatore esperto del tech geopolitico, ha colto il punto con una stilettata elegante: “La dichiarazione di Zuckerberg sarebbe stata significativa se fosse arrivata quando i modelli open-source di Meta erano davvero all’avanguardia”. Ma adesso? Adesso suona come una ritirata strategica travestita da presa di coscienza etica.
Tutto questo avviene in un momento in cui OpenAI prepara il lancio di GPT-5, descritto da molti come il modello più potente al mondo. Ma anche OpenAI, nonostante il nome, di open ha ormai solo il logo. Il codice è chiuso, il dataset è segreto, e l’accesso regolato da accordi commerciali e NDA da due dozzine di pagine. La verità è che il grande esperimento open-source americano si sta richiudendo su se stesso. La narrazione si è esaurita, forse perché non è più conveniente dal punto di vista strategico.
La Cina, invece, ha trovato nell’open-source una leva asimmetrica di potere tecnologico. Un modo per colmare rapidamente il gap, sfruttando la logica di “many-shot learning” collettivo. Ogni rilascio, ogni fork, ogni patch è un atto politico mascherato da sviluppo tecnico. Ed è proprio qui che l’Occidente rischia di sottovalutare il valore strategico dell’open-source: pensando che sia solo una questione di software, mentre la Cina lo usa come strumento di diplomazia tecnologica e come catalizzatore di innovazione accelerata.
Qualcuno potrà obiettare che in Cina l’open-source è comunque sotto sorveglianza statale, che la trasparenza è relativa e l’ecosistema meno libero di quanto sembri. Tutto vero. Ma anche in Occidente l’open-source è ormai soggetto alle logiche dei grandi player. Quando un modello è rilasciato su GitHub da una Big Tech con un documento legale di venti pagine e restrizioni d’uso, siamo davvero sicuri che sia ancora “open”?
Forse la vera domanda da porsi è: a chi serve l’open-source oggi? Ai ricercatori indipendenti? Alle startup? Agli stati in cerca di autonomia digitale? O è diventato solo uno strumento di marketing per le big AI? La Cina, intanto, ha scelto: usare l’open come grimaldello per scardinare il dominio dell’AI chiusa americana. E se i numeri di Hugging Face e i benchmark internazionali dicono qualcosa, è che questa strategia sta già funzionando.
In fin dei conti, la storia della tecnologia è costellata di momenti in cui l’ideologia viene sacrificata sull’altare della geopolitica. Oggi, l’open-source è quel sacrificio. Zuckerberg ha solo formalizzato il funerale. La Cina, invece, lo ha trasformato in arma. Chi dei due ha davvero capito come funziona la partita dell’AI? Probabilmente ce ne accorgeremo tra non molto, quando i migliori modelli open saranno in cinese e i migliori chiusi non saranno più i migliori.