La notizia è arrivata in sordina, con una frase criptica su WeChat. DeepSeek, la start-up di intelligenza artificiale con base a Hangzhou, ha annunciato che il suo nuovo modello V3.1 è stato addestrato usando il formato dati UE8M0 FP8, “pensato per i chip domestici di prossima uscita”. Bastano nove parole a scatenare la speculazione di mezzo settore tecnologico, perché in quelle nove parole si intravede la possibilità che la Cina abbia trovato la chiave per ridurre la dipendenza dai chip americani, in particolare dalle GPU Nvidia, che oggi dominano il mercato globale dell’AI.

Il dettaglio tecnico non è banale, anzi. FP8 significa floating-point 8, un formato a precisione ridotta che consente di accelerare il training e l’inferencing dei modelli di intelligenza artificiale, con un consumo molto più basso di memoria e banda. Nvidia lo aveva già dimostrato sui suoi forum, lodando l’efficienza del formato capace di dimezzare l’uso della VRAM senza impattare i risultati. Ma DeepSeek ha introdotto una variazione ingegneristica chiamata UE8M0, che promette un ulteriore taglio del fabbisogno di potenza di calcolo, storage e larghezza di banda. Tradotto: modelli di AI avanzati possono essere addestrati e fatti girare su chip meno potenti, potenzialmente i chip cinesi che faticano ancora a reggere il confronto con le GPU americane.

Il sottotesto è chiarissimo. Se la Cina riuscirà a costruire un ecosistema hardware-software centrato sul nuovo formato FP8 personalizzato, il gap con Nvidia potrebbe non essere più una condanna. Perché non è necessario avere la scheda più potente del pianeta, se riesci a spremere il massimo da ciò che hai. È esattamente ciò che un architetto di sistemi IT di Pechino ha definito “pragmatismo ingegneristico”. In altre parole, se non puoi superare il muro frontale, scavi un tunnel sotto.

I mercati hanno colto subito il messaggio subliminale. Le azioni di Cambricon Technologies, progettista di GPU cinese quotata a Shanghai, sono balzate del 20 per cento in un giorno. Stesso copione a Hong Kong, dove Hua Hong Semiconductor e SMIC hanno registrato rispettivamente +18 e +10 per cento. Gli investitori fiutano il momento in cui il sogno dell’autosufficienza tecnologica non sarà più uno slogan governativo, ma un asset finanziario misurabile. E quando in Cina i retail investor sentono odore di breakthrough tecnologico, si muovono in branco.

Naturalmente, dietro la narrativa trionfalista restano sfide pesanti. Lo ha ammesso lo stesso Su Lian Jye, chief analyst di Omdia: DeepSeek ha sempre usato chip Nvidia per sviluppare i suoi modelli. Traslare il tutto su GPU domestiche significa affrontare problemi di stabilità, velocità di connessione e maturità dell’ecosistema software. È il classico “vendor lock-in” che Nvidia ha costruito con cura negli ultimi dieci anni: non basta copiare l’hardware, bisogna ricreare l’intera esperienza di sviluppo, dalle librerie CUDA agli strumenti ottimizzati per il deep learning.

Eppure l’ironia della storia è che le sanzioni americane abbiano costretto le aziende cinesi ad accelerare proprio sul lato che può indebolire Nvidia: la simbiosi tra chi progetta modelli di AI e chi sviluppa chip. Un analista del settore, Dong Daoli, lo ha definito “un risultato reciproco per sviluppatori di modelli e di hardware”. Non si tratta solo di costruire la scheda più potente, ma di definire un linguaggio comune, un formato che valorizzi il silicio nazionale. In fondo, Nvidia domina non perché produce chip inarrivabili, ma perché controlla lo standard di fatto. Se domani il mercato cinese inizierà a parlare UE8M0 FP8 come lingua madre, allora la vera minaccia sarà culturale, non tecnica.

C’è anche un aspetto di psicologia industriale che non va trascurato. Nel momento in cui una start-up come DeepSeek lascia intendere che i suoi modelli gireranno meglio su chip domestici, crea un effetto traino su tutta la catena. Huawei, Cambricon, Moore Threads, Hygon, MetaX: ognuna di queste aziende viene automaticamente percepita come parte del puzzle. Gli investitori non hanno bisogno di certezze, basta la possibilità di trovarsi sul cavallo giusto. Non è un caso che il titolo Cambricon abbia più che raddoppiato dal minimo di luglio. Non stiamo parlando di una nuova generazione di chip già testati sul mercato, ma di un’aspettativa razionale mascherata da fede tecnologica.

Gli esperti fanno notare che il nuovo formato può tagliare fino al 75 per cento dell’uso di memoria, con vantaggi significativi sia in fase di training che di inferenza. Questo significa che anche chip meno performanti, come quelli prodotti da Huawei HiSilicon o dai laboratori di SMIC, potrebbero reggere la sfida di modelli linguistici sempre più grandi. L’Ascend 910D di Huawei e il Siyuan 690 di Cambricon sono già stati citati da think tank cinesi come potenziali piattaforme per la nuova architettura. Non è un dettaglio, perché stiamo parlando di un mercato interno pronto a riversare miliardi su soluzioni domestiche, se la narrativa di autosufficienza tecnologica sarà sostenuta da qualche prova concreta.

Il contesto geopolitico rende questa dinamica ancora più tagliente. Gli Stati Uniti continuano a stringere sulle esportazioni di chip avanzati verso la Cina, mentre a Pechino il governo spinge il settore privato a costruire alternative locali. Il risultato è una corsa contro il tempo dove ogni innovazione, anche solo un formato numerico come UE8M0 FP8, diventa un tassello politico prima ancora che tecnologico. Un ingegnere di Shanghai ha osservato che il nuovo modello sarà probabilmente compatibile con più fornitori di GPU domestiche, non solo Huawei. È un modo elegante per dire che non importa chi vince, importa che vinca qualcuno che non si chiama Nvidia.

Il paradosso è che Nvidia, dal canto suo, non è certo un gigante in crisi. Continua a vendere chip come fossero lingotti d’oro e i suoi forum tecnici traboccano di ottimizzazioni e tool pensati per fidelizzare gli sviluppatori. Ma l’ombra lunga di DeepSeek e del suo formato personalizzato mostra che la leadership globale non è intoccabile. Gli americani hanno creato lo standard, i cinesi stanno provando a piegarlo ai propri interessi. È come passare dall’inglese globale al mandarino tecnologico. Non succede in un giorno, ma quando la transizione inizia, diventa quasi inevitabile.

In questo gioco, l’elemento più affascinante è la consapevolezza che l’autosufficienza non significa solo produrre chip a casa propria. Significa costruire una narrativa collettiva in cui gli sviluppatori scelgono di ottimizzare per i chip locali perché conviene, non perché sono costretti. Ed è qui che DeepSeek ha colpito il bersaglio. Non ha mostrato un nuovo chip, non ha lanciato un prodotto tangibile, ha semplicemente rivelato un dettaglio tecnico capace di insinuare l’idea che la Cina possa davvero emanciparsi dal monopolio americano.

La sensazione è che stiamo assistendo all’alba di una nuova grammatica dell’intelligenza artificiale, scritta in FP8. E che in quella grammatica la firma di DeepSeek sia solo la prima, ma non l’ultima.