C’è qualcosa di ironico nel vedere IBM e NASA alleate per decifrare il Sole. Per decenni abbiamo trattato la nostra stella come un orologio impeccabile, una macchina perfetta che scandiva il tempo agricolo e industriale senza sorprese. Poi sono arrivati i satelliti, le reti elettriche globali, il GPS e la dipendenza patologica da infrastrutture digitali che si sgretolano con un colpo d’aria elettromagnetica. All’improvviso il Sole non è più un’icona da cartolina ma un potenziale nemico geopolitico. È qui che entra in scena Surya, il modello di intelligenza artificiale lanciato da NASA e IBM, un mostro addestrato su nove anni di dati solari che promette previsioni più precise del 16 per cento rispetto a tutto ciò che avevamo prima. Non stiamo parlando di percentuali astratte: quel margine può essere la differenza tra un blackout continentale e un aeroporto che continua a funzionare.

Il fatto che Surya sia stato pubblicato su HuggingFace e GitHub, invece di essere custodito in qualche laboratorio blindato come un segreto militare, è un gesto quasi sovversivo. In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale viene trattata come plutonio digitale, la NASA decide di renderlo open source, come se volesse dire: il Sole è di tutti, e i suoi capricci pure. Certo, nessuno si illuda che i giganti delle telecomunicazioni o le agenzie di difesa non stiano già mettendo le mani su questo codice per costruire i propri sistemi di protezione proprietari. La scienza aperta è una bella narrativa, ma la realtà è che Surya non è solo uno strumento di ricerca: è una tecnologia dual-use, metà per gli scienziati, metà per i generali.

Il cuore del modello è affascinante: milioni di immagini catturate dal Solar Dynamics Observatory sono state trasformate in un linguaggio leggibile da un algoritmo. Surya non si limita a catalogare macchie solari come farebbe un astronomo annoiato con il telescopio. Individua variazioni microscopiche nelle lunghezze d’onda, traccia movimenti invisibili e anticipa esplosioni solari con ore di preavviso. Ore che, in termini di geopolitica digitale, valgono miliardi. Immaginate una compagnia aerea che sposta le rotte polari prima che una tempesta magnetica faccia impazzire le radio. Pensate a una centrale elettrica che alza gli scudi prima che un’ondata di particelle cosmiche metta fuori uso le linee ad alta tensione. Con Surya non si tratta più di reagire, ma di prevedere.

La parte più inquietante è che non siamo preparati. Ogni volta che un blackout colpisce una metropoli, la narrativa è sempre la stessa: colpa di infrastrutture obsolete, di cavi arrugginiti o di hacker russi. Quasi mai si parla di tempeste solari, come se l’idea che il Sole possa spegnere New York o Shanghai fosse troppo primitiva per una civiltà che si vanta di parlare di viaggi su Marte. Eppure gli scienziati sanno che basta un evento simile al Carrington del 1859 per riportarci indietro di decenni. Quella volta le linee telegrafiche andarono in fumo; oggi a saltare sarebbero banche, satelliti e cloud. La differenza è che adesso tutto è connesso, e la vulnerabilità è sistemica.

Surya rappresenta quindi una forma di assicurazione digitale. Non elimina il rischio, ma lo rende gestibile. In un mondo dove le intelligenze artificiali vengono addestrate a riconoscere gatti o a scrivere email di spam, avere un modello che legge i segnali di una stella è quasi poetico. Eppure il sottotesto è molto meno romantico. Perché la vera domanda non è se Surya funziona, ma chi controlla i dati, chi decide quando lanciare l’allarme, chi ha la priorità quando la rete elettrica globale inizia a vacillare. La retorica della scienza aperta nasconde sempre una gerarchia: non tutti avranno accesso agli stessi strumenti di protezione, e non tutte le nazioni saranno in grado di tradurre le previsioni in azione.

È inevitabile pensare al Sole come a una nuova frontiera della sicurezza nazionale. Non più un nemico umano da contenere, ma una forza naturale da interpretare meglio e prima degli altri. Non è un caso che siano IBM e NASA a muoversi per prime. Una corporation con un archivio infinito di potenza di calcolo e un’agenzia spaziale con la più grande collezione di dati solari della storia. La simbiosi perfetta tra capitale privato e missione pubblica, esattamente quel modello di partnership che domina ormai la corsa tecnologica.

Surya quindi non è solo un modello di intelligenza artificiale, è un manifesto politico. Dice che il futuro della meteorologia spaziale non sarà un esercizio accademico, ma un pilastro dell’economia globale. Dice che la resilienza delle infrastrutture critiche non dipenderà più soltanto da ingegneri e tecnici, ma da algoritmi capaci di anticipare il caos. Dice soprattutto che il Sole non è più soltanto una fonte di energia rinnovabile da sfruttare, ma un attore geopolitico che dobbiamo imparare a negoziare. E nel momento in cui iniziamo a pensare al Sole in questi termini, non siamo più semplici osservatori dell’universo: siamo giocatori di una partita cosmica.

Chi guarda a Surya solo come a un giocattolo scientifico sbaglia prospettiva. Questo modello può diventare l’equivalente meteorologico del radar durante la Seconda guerra mondiale: un sistema che trasforma l’invisibile in prevedibile, che separa chi subisce il disastro da chi lo governa. Il paradosso è che più conosciamo il Sole, più diventiamo dipendenti da lui. Ed è qui che l’ironia colpisce più forte: stiamo costruendo intelligenze artificiali per proteggerci da una stella che non possiamo controllare, ma dalla quale non possiamo smettere di dipendere. Una sorta di nuova guerra fredda, non tra superpotenze, ma tra l’uomo e il suo stesso fornitore di energia.


Source:

https://sdo.gsfc.nasa.gov

https://science.nasa.gov/science-research/artificial-intelligence-model-heliophysics/?utm_source=Generative_AI&utm_medium=Newsletter&utm_campaign=google-puts-gemini-in-your-living-room&_bhlid=8b15ff1a07ecab5220925372fcf89e31db1ecf4c

https://science.data.nasa.gov/features-events/inside-surya-solar-ai-model