
Immagina un’Italia del 1926 dove Enrico Fermi, poco più che trentenne ma già con la postura del professore che detta le regole, si trova di fronte a una questione che riguarda la proprietà delle idee e la velocità della scienza. Paul Dirac, giovane matematico britannico che amava più l’eleganza delle equazioni che la retorica delle parole, pubblica un articolo sulla statistica di un gas di particelle che obbedisce al principio di esclusione di Pauli. Fermi aveva già battuto quella strada pochi mesi prima.
Dirac ci arriva da solo, indipendentemente, come se due navigatori avessero scoperto lo stesso continente nello stesso anno, senza comunicare tra loro. La storia ricorda l’epistola di Fermi a Dirac, in cui il fisico italiano con il suo stile pacato ma pungente, segnala che sì, le equazioni di Dirac erano impeccabili, ma quel terreno era già stato arato. Ne nasce una dialettica che oggi definiremmo “borderline tra la difesa della priorità scientifica e l’accelerazione inevitabile del sapere condiviso”.
Se si guarda con occhio contemporaneo, l’episodio appare come un prototipo delle tensioni odierne tra doomers e accelerationist. Da un lato, i doomers, preoccupati che l’avanzata tecnologica stia bruciando le tappe senza considerare conseguenze etiche o sociali. Dall’altro gli accelerationist, convinti che il solo modo per gestire l’urto del futuro sia correre più veloce del presente.
Fermi incarnava inconsapevolmente l’atteggiamento di chi dice “attenzione, questa idea l’ho già formulata, manteniamo ordine, preserviamo memoria e continuità della ricerca”. Dirac invece rappresentava la fredda potenza della matematica che non aspetta riconoscimenti, ma procede lineare come un algoritmo che converge inevitabilmente allo stesso risultato. È lo scontro archetipico tra l’urgenza di rallentare per non smarrirsi e il desiderio di accelerare per non restare indietro.
Il parallelo con l’intelligenza artificiale di oggi è disarmante. Ogni giorno nasce una nuova architettura, un nuovo modello linguistico, un nuovo algoritmo di ottimizzazione. Aziende e laboratori indipendenti arrivano alle stesse soluzioni quasi simultaneamente, spinte dalla pressione competitiva e dall’ansia di non farsi superare.
Come accadde con Fermi e Dirac, non è una questione di plagio, ma di convergenza inevitabile. La conoscenza matura in più luoghi nello stesso momento, come se ci fosse un campo magnetico collettivo che spinge gli scienziati verso le stesse conclusioni. I doomers oggi direbbero che questa corsa porterà a un collasso, che il sistema non ha tempo di metabolizzare le conseguenze. Gli accelerationist ribatterebbero che non c’è alternativa, che la lentezza non protegge ma condanna, perché il mondo non aspetta.
È interessante che la statistica di Fermi-Dirac nasca proprio da una logica di esclusione. Ogni elettrone non può occupare lo stesso stato quantico di un altro. Una metafora perfetta per il dibattito odierno: non c’è posto per tutti nel futuro digitale, almeno non nello stesso stato. Ci saranno vincitori che sfrutteranno l’accelerazione come Dirac, e ci saranno quelli che cercheranno di mettere ordine nel caos, come Fermi. Ma il risultato sarà comunque battezzato con entrambi i nomi, perché la storia premia sia chi avanza che chi ammonisce.
La lettera di Fermi non è solo un documento accademico, è un atto umano di posizionamento. Il fisico italiano stava dicendo “non cancellate il mio contributo in questa vertigine di nuove scoperte”. È la stessa voce che oggi alzano i doomers, spesso accusati di nostalgia o paura, ma che in realtà chiedono di non essere travolti dal vortice. Dirac, invece, era il prototipo dell’accelerationist: silenzioso, impassibile, con lo sguardo fisso sulla bellezza matematica, incurante del fatto che l’umanità potesse non essere pronta.
La differenza è che allora si trattava di particelle subatomiche, oggi di società intere. Ma la tensione è identica. Ogni epoca ha il suo Fermi che chiede riconoscimento e prudenza, e il suo Dirac che non chiede permesso e corre. Ed è proprio dall’urto tra questi due caratteri che nasce l’innovazione vera.
THX to Salvatore x la conversazione al Bar dei Daini