Huawei ha deciso di smettere di giocare in difesa e con il lancio del SuperPod ha acceso i fari sul futuro dell’infrastruttura AI globale. A Shenzhen hanno capito che il vero campo di battaglia non è più il 5G o lo smartphone, ma la capacità di orchestrare decine di migliaia di chip in un ecosistema che possa rivaleggiare con il dominio quasi religioso di Nvidia. Non è un caso che la narrativa ufficiale parli di un supernode in grado di connettere 15.488 unità Ascend, quasi un inno alla ridondanza industriale cinese, come se la quantità fosse essa stessa una dimostrazione di potere.
Chi guarda superficialmente vede solo una replica del modello DGX di Nvidia, con i cluster che ricordano il SuperPod californiano. Ma qui non si tratta di un esercizio di imitazione, quanto di un’operazione chirurgica sul fronte geopolitico. Perché quando la Cyberspace Administration of China vieta a ByteDance e Alibaba di ordinare schede Nvidia su misura come la RTX Pro 6000D, è chiaro che Pechino non vuole più farsi dettare i tempi da Santa Clara. Huawei diventa l’arma perfetta per sostituire quella dipendenza tossica con un’infrastruttura AI domestica, anche se immatura e ancora piena di zone d’ombra.
Il marketing parla di supercluster con un milione di schede, ma nella realtà concreta i numeri ufficiali parlano di due milestone: Atlas 950 con 8192 chip Ascend e Atlas 960 con 15.488 chip previsti entro fine 2027. Una scala impressionante, ma lontana dall’essere operativa oggi. Eppure il messaggio è chiaro: la Cina vuole costruire il proprio internet cerebrale indipendente, scollegato da CUDA e dal software stack occidentale. Non è solo ingegneria, è ideologia incarnata in silicio.
La vera partita però si gioca sull’ecosistema. I chip Ascend possono anche superare i benchmark teorici, ma senza un set di librerie, compiler e toolchain capaci di competere con l’egemonia di CUDA, restano isole potenti e isolate. La storia recente insegna che la superiorità hardware senza supporto software è irrilevante. Non basta connettere 15.000 chip, bisogna addestrare modelli che parlino la lingua del mondo e non solo quella di Pechino.
Eppure Huawei non ha intenzione di restare ferma. La roadmap annunciata è aggressiva e scandisce un ritmo preciso: Ascend 950PR a inizio 2026, 950DT a fine 2026, 960 a fine 2027 e 970 nel 2028. È una sequenza che mette pressione a Nvidia, perché se anche solo metà di quelle promesse si materializzeranno, il monopolio americano sull’infrastruttura AI globale sarà incrinato. Non è la potenza del singolo chip a contare, ma la narrativa di continuità, la certezza che la Cina costruirà generazione dopo generazione senza rallentare.
L’aspetto più sottile della mossa di Huawei è l’integrazione verticale. Non si limitano a proporre chip, ma parlano di memoria HBM proprietaria, di interconnessioni sviluppate in casa, di un pacchetto end to end che annulla la dipendenza dall’estero. È il sogno di ogni regolatore cinese: un ecosistema chiuso, impermeabile alle sanzioni, in grado di scalare fino a milioni di unità. E se oggi appare irrealistico, domani potrebbe essere lo standard, proprio come accadde quando i primi smartphone Huawei venivano derisi rispetto a Apple e Samsung.
C’è poi il lato energetico. Connettere 15.000 chip significa creare un mostro affamato di elettricità e raffreddamento. La Cina però ha un vantaggio che l’Occidente non ama ammettere: abbondanza di energia a basso costo in regioni periferiche, dove interi data center possono nascere vicino a dighe o campi solari. Non è detto che questo basti a mascherare l’inefficienza, ma la possibilità di allocare potenza a basso costo offre margini strategici. Nvidia su questo fronte non può competere, perché gioca in mercati con energia più cara e normative ambientali più stringenti.
L’ironia più grande è che gli Stati Uniti, con le restrizioni, hanno accelerato proprio ciò che volevano evitare. Bloccando l’accesso alle GPU Nvidia, hanno costretto Huawei a spingersi oltre i suoi limiti, a costruire un’alternativa domestica. È la stessa logica per cui le sanzioni sul petrolio rendono i paesi più creativi nel trovare nuove fonti di energia. Nel 2030 potremmo guardare indietro e scoprire che la nascita di una vera infrastruttura AI cinese è stata forgiata non dal mercato, ma dai regolatori americani.
Alla fine il SuperPod di Huawei è più che hardware: è un manifesto politico. È la dichiarazione che l’era in cui Nvidia era sinonimo di intelligenza artificiale sta finendo, o almeno verrà contestata con forza. Che piaccia o meno, il mondo si sta preparando a vivere in un duopolio tecnologico fatto di infrastrutture parallele, dove il training di modelli non sarà solo una questione di efficienza ma di appartenenza geopolitica. Ed è in questo scenario che i chip Ascend diventano molto più che acceleratori: sono strumenti di potere.