Cohere non ama farsi dimenticare. In un mercoledì di quelli che ribaltano l’agenda dei venture capitalist, l’azienda canadese ha annunciato un nuovo round di 100 milioni di dollari che porta la sua valutazione a 7 miliardi. Non è un record, ma in un contesto in cui OpenAI spara numeri da bolla dot-com rivisitata, il fatto che un player che ha sempre puntato sull’intelligenza artificiale enterprise riesca a strappare fiducia e capitale fresco resta significativo. Il round si innesta come estensione del mezzo miliardo raccolto ad agosto, quando Cohere si era fermata a 6,8 miliardi di valutazione. Un passo in avanti misurato, ma coerente con la sua strategia di posizionamento diverso rispetto ai giganti iperfinanziati.

La vera sorpresa, però, non sono i soldi. È l’alleanza industriale che la società ha scelto di annunciare con discreta teatralità. Mentre OpenAI firma assegni a sei zeri con Nvidia, Cohere decide di allearsi con AMD, il competitor storico spesso percepito come eterno secondo ma che negli ultimi anni ha riconquistato un ruolo di primo piano. Le GPU Instinct di AMD diventano ufficialmente piattaforme certificate per i modelli della famiglia Command, compresi vision, translate e reasoning. Non solo: AMD diventa anche cliente interno di Cohere. È una mossa che ha il sapore della strategia militare: se non puoi sfondare nella linea principale, apri un secondo fronte. Una partnership che non abbandona Nvidia, ma mette sul tavolo un messaggio chiaro ai clienti enterprise: la sovranità tecnologica passa anche dalla possibilità di scelta.

Cohere è nata nel 2019 con un pedigree non indifferente. Aidan Gomez, cofondatore, porta la firma sul paper “Attention is all you need”, la bibbia del transformer che ha innescato la corsa all’oro della generative AI. Ma il mercato non è più quello del 2019. Allora la sola parola “AI model” evocava orizzonti da Silicon Valley visionaria. Oggi, con OpenAI che si racconta a mezzo trilioni e Anthropic che ha già raggiunto i 183 miliardi di valutazione, i 7 miliardi di Cohere sembrano quasi un esercizio di sobrietà. C’è chi direbbe che è un vantaggio: meno luci puntate, più margine per consolidare un business reale. Altri sostengono che il tempo del realismo in questo settore è finito, e chi non partecipa alla festa rischia di restare a guardare dal parcheggio.

La verità, probabilmente, sta a metà. Cohere ha sempre insistito su una scelta controcorrente: non l’utente finale, non la corsa al chatbot virale, ma l’impresa. L’intelligenza artificiale enterprise come verticalità, con contratti stabili e partnership regolamentate. In questo contesto si inserisce il concetto di AI sovereignty, ovvero la capacità per le aziende e i governi di mantenere localmente il controllo sui propri dati e sui modelli, senza doverli consegnare mani e piedi a entità straniere o a cloud pubblici dominati dagli Stati Uniti. Una narrativa che funziona in Canada, in Europa e nei mercati emergenti dove la sensibilità sul controllo dei dati è altissima. Non è un caso che nel nuovo round compaiano Business Development Bank of Canada e Nexxus Capital Management, realtà che incarnano questo tipo di mentalità più pragmatica e geopoliticamente prudente.

Il posizionamento di Cohere ha una sua logica: meno glamour da consumer app, più sostanza contrattuale. Ma qui emerge il vero nodo. Il mercato dell’enterprise AI è diventato improvvisamente affollato. Se OpenAI con i suoi GPT prova a vendere alle banche centrali e alle multinazionali pacchetti customizzati, e se Anthropic si traveste da garante di affidabilità e sicurezza, quale spazio resta a Cohere? La risposta è che lo spazio non si trova, si costruisce. E l’alleanza con AMD non è tanto una questione di silicio quanto un manifesto di indipendenza: dimostrare che esistono alternative reali a Nvidia e al suo monopolio di fatto nel calcolo ad alte prestazioni.

Certo, la retorica della “AI sovereignty” è potente, ma rischia di diventare un’altra buzzword se non è accompagnata da casi d’uso concreti. Le imprese non vogliono soltanto sentirsi dire che i loro dati sono protetti: vogliono performance, stabilità, compliance e una roadmap che non sia la copia carbone di quella dei soliti due colossi. Cohere ha dalla sua un brand di ricerca autorevole, ma la sfida ora è commerciale. Trasformare i miliardi raccolti in metriche tangibili, in quote di mercato, in testimonianze credibili di clienti che non abbiano nulla da invidiare alle partnership milionarie annunciate dai competitor.

Qualcuno potrebbe dire che il valore reale di Cohere oggi non è nei modelli, ma nella narrazione. Una narrazione che mescola sobrietà finanziaria e provocazione tecnologica. Non promette il mondo, ma garantisce che almeno quel pezzo di mondo sotto il controllo dell’impresa rimarrà tale. In un’epoca in cui ogni CEO teme di diventare dipendente da infrastrutture che non controlla, questo è un argomento che vale più di qualsiasi demo patinata.

Eppure la domanda resta: 7 miliardi oggi valgono più o meno di 7 miliardi nel 2019? Con la liquidità che scorre come fiumi di champagne nelle valutazioni di OpenAI e Anthropic, la risposta sembra ovvia. Ma c’è un’altra lettura. In un contesto dove tutto è gonfiato, chi mantiene proporzioni più umane potrebbe avere più chance di sopravvivere allo sgonfiamento inevitabile. Cohere, con la sua ossessione per l’enterprise AI e la sovranità dei dati, potrebbe rivelarsi meno fragile di quanto suggeriscano i numeri comparativi. La vera partita non si giocherà sugli annunci miliardari, ma sulla capacità di radicarsi nelle infrastrutture digitali delle imprese reali. AMD lo ha capito. Vedremo se altri seguiranno.