Un caffè al Bar dei Daini

È quasi irresistibile l’idea che la coscienza possa avere un ruolo attivo nel determinare la realtà, soprattutto quando si parla di meccanica quantistica, quella teoria che da più di un secolo sbriciola certezze e mette in crisi la nostra visione del mondo. Il punto più controverso rimane il cosiddetto problema della misura: un sistema quantico può esistere in una sovrapposizione di stati, una specie di limbo statistico, fino a quando non viene misurato. L’atto stesso della misura sembra far collassare la funzione d’onda, trasformando una nuvola di possibilità in un fatto concreto. A quel punto, la domanda velenosa che torna ciclicamente è questa: chi o cosa compie davvero il collasso? Un detector, un apparato, un algoritmo, oppure l’osservatore cosciente con la sua mente che interpreta i dati?

Il fascino del collasso della funzione d’onda causato dalla coscienza ha radici antiche e discutibili. Eugene Wigner, uno dei grandi fisici del Novecento, lo prese sul serio per un periodo della sua carriera. Scrisse che la coscienza doveva essere coinvolta, perché nessun processo puramente fisico sembrava sufficiente a spiegare la transizione da possibilità a realtà. Poi però si rese conto di quanto fosse pericoloso spalancare la porta a una spiegazione così antropocentrica: se la coscienza è la regina del gioco, allora il mondo esiste solo quando qualcuno lo guarda, e chi non lo guarda cade nel nulla? Lo stesso Wigner finì col prendere le distanze, lasciando la teoria in quella zona grigia che oscilla tra la scienza e l’azzardo filosofico.

La coscienza quantistica, come parola chiave, funziona benissimo per titoli sensazionalistici, libri new age e seminari motivazionali. Ma se ci si ferma a guardare con la lente del fisico teorico, emergono falle vistose. Per esempio, la decoerenza quantistica, sviluppata dagli anni Ottanta, spiega piuttosto bene come gli stati sovrapposti diventino rapidamente classici quando interagiscono con l’ambiente. Non c’è bisogno di un occhio umano che li osservi: basta una molecola d’aria, un raggio di luce o un fotone termico per distruggere le delicate interferenze. La decoerenza non risolve tutto, certo, ma riduce moltissimo lo spazio in cui la coscienza potrebbe vantare un ruolo attivo.

Eppure il problema della misura rimane un nervo scoperto. Non sappiamo ancora se il collasso sia un evento reale della natura o solo un trucco matematico. Alcune teorie come la Many Worlds di Hugh Everett evitano del tutto il collasso: ogni possibilità si realizza in universi paralleli, e noi viviamo solo uno dei rami. Altre, come i modelli di collasso spontaneo (GRW, CSL), ipotizzano che ci sia un meccanismo fisico oggettivo che spezza la sovrapposizione. In entrambi i casi la coscienza non è invitata alla festa. Ma allora perché l’ipotesi continua a sopravvivere come un fantasma accademico? Probabilmente perché ci tocca nel punto più intimo: nessuno vuole essere ridotto a spettatore passivo di un universo che funziona da solo.

Il gatto di Schrödinger è il paradosso perfetto per illustrare questa tensione. La bestiola immaginaria è viva e morta nello stesso tempo finché non apriamo la scatola. Ma se a determinare il destino fosse non solo l’apertura, bensì lo stato mentale di chi apre, e magari anche la sua convinzione profonda, avremmo una realtà piegata dalle credenze individuali. Un fisico serissimo ti direbbe che è un’assurdità, che non esistono dati a sostegno, che la scienza non può permettersi di confondere il metodo sperimentale con l’introspezione. Però la narrativa è potente: fa sembrare la mente umana una bacchetta magica capace di incidere sui processi fondamentali dell’universo. E si sa, la tentazione del protagonismo cosmico è difficile da respingere.

Dal punto di vista sperimentale, i test condotti finora non mostrano alcuna influenza della coscienza sugli esiti quantici. Alcuni gruppi hanno provato a cercare correlazioni tra stati mentali e collasso della funzione d’onda, senza risultati solidi. Ci sono paper che parlano di “consciousness causes collapse” testati in laboratorio, ma si collocano più ai margini della comunità scientifica, con risultati controversi e spesso criticati per metodologia debole. La fisica mainstream non riconosce alcuna evidenza che le credenze mentali possano modificare le probabilità intrinseche di un processo quantico. In altre parole, puoi convincerti quanto vuoi che il gatto sarà vivo, ma la meccanica quantistica non si lascia corrompere dalle tue speranze.

Eppure l’idea non muore. Perché il discorso sulla coscienza quantistica ha un appeal culturale che nessuna interpretazione più sobria riesce a eguagliare. Dire che l’universo procede secondo meccanismi ciechi è corretto, ma freddo. Dire invece che la mente partecipa alla creazione della realtà è caldo, seducente, poetico. È una narrativa che vende biglietti, attrae lettori, dà alla filosofia un gancio con la fisica più radicale. E, ammettiamolo, è anche un ottimo carburante per le aziende tecnologiche che amano vestirsi di mistero e visionarietà. Quante startup inseriscono la parola “quantum” nel pitch per sembrare più rivoluzionarie? Inserire anche “coscienza” nel mix rende tutto ancora più ipnotico.

Il problema è che, nel tentativo di rendere la fisica quantistica un territorio dell’esperienza soggettiva, si rischia di trasformarla in un’ideologia. E questo sì che è pericoloso, perché confonde il linguaggio preciso della matematica con il linguaggio ambiguo della psicologia. Il collasso della funzione d’onda non è un concetto da interpretare liberamente come fosse poesia ermetica: è una questione tecnica che richiede definizioni, modelli e verifiche. Ogni volta che lo pieghiamo a metafora della volontà individuale, lo svuotiamo del suo rigore.

Tuttavia, sarebbe ingiusto liquidare la questione come pura fuffa. Il legame tra coscienza e realtà resta un mistero gigantesco. Non sappiamo ancora cosa sia davvero la coscienza, né come emerga dal cervello. Non sappiamo se i processi cerebrali possano avere aspetti quantici significativi o se tutto sia riconducibile a fenomeni classici. Ci sono neuroscienziati che sostengono la possibilità di coerenza quantica in strutture biologiche, altri che la liquidano come impossibile per via del rumore termico. La verità è che l’enigma rimane aperto e affascinante, ed è naturale che qualcuno tenti di forzare un collegamento tra la coscienza e i meccanismi più profondi della natura.

Il paradosso è che più la fisica quantistica viene studiata con rigore, meno spazio sembra esserci per la coscienza come agente fisico. Eppure più la cultura pop si appropria dei suoi concetti, più cresce l’idea che la mente sia la chiave di tutto. È come se avessimo due universi paralleli anche qui: quello degli scienziati che cercano di ridurre l’ipotesi a modelli verificabili, e quello dei divulgatori che preferiscono mantenere l’aura mistica. Nel primo universo, la coscienza quantistica è un’ipotesi debole e probabilmente infondata. Nel secondo, è una bandiera filosofica capace di vendere sogni e dare senso a un mondo troppo meccanico.

La coscienza quantistica rimane quindi una delle narrazioni più provocatorie del nostro tempo, proprio perché vive in questa terra di nessuno tra fisica e filosofia. Chi pretende che sia scienza solida sbaglia, ma chi la liquida come nonsense perde l’occasione di interrogarsi su domande più profonde: che cos’è davvero la realtà? Che cos’è davvero la mente? E quanto la nostra stessa capacità di osservare modifica ciò che chiamiamo verità? Forse, alla fine, il paradosso più grande non è quello del gatto di Schrödinger, ma quello di un’umanità che continua a chiedersi se guarda il mondo o se lo inventa guardandolo.


Studi storici e teorici

  • John von Neumann (1932), Mathematical Foundations of Quantum Mechanics: introduce l’idea che la catena di misurazione (sistema–strumento–osservatore) debba avere un punto finale, lasciando aperta la possibilità che la coscienza intervenga nel collasso.
  • London & Bauer (1939), La théorie de l’observation en mécanique quantique: interpretano esplicitamente la coscienza come elemento che completa il processo di misura.
  • Eugene Wigner (1961), Remarks on the Mind-Body Problem: propone che la coscienza sia necessaria per il collasso della funzione d’onda. Più tardi, negli anni Settanta, Wigner abbandona questa posizione per i problemi filosofici che comporta.

Critica e sviluppi successivi

  • Hugh Everett (1957), Relative State Formulation of Quantum Mechanics: origine dell’interpretazione a molti mondi, che elimina del tutto il collasso legato all’osservatore.
  • Heinz-Dieter Zeh (1970) e Wojciech Zurek (anni ’80): sviluppano la teoria della decoerenza quantistica, che mostra come l’interazione con l’ambiente distrugga la sovrapposizione senza invocare la coscienza.

Modelli di collasso oggettivo

  • Ghirardi, Rimini & Weber (1986), Unified dynamics for microscopic and macroscopic systems: introducono il modello GRW di collasso spontaneo, indipendente dalla coscienza.
  • Pearle e altri (anni ’90): sviluppano la Continuous Spontaneous Localization (CSL).

Esperimenti e test recenti

  • Bassi, Ghirardi, et al. (2003–oggi): numerosi lavori teorici e sperimentali sui modelli di collasso spontaneo.
  • Vincent Jacques et al. (2007), Experimental Realization of Wheeler’s Delayed-Choice Gedanken Experiment: dimostra la coerenza della meccanica quantistica senza necessità di coscienza per spiegare i risultati.
  • Markus Arndt, Anton Zeilinger e collaboratori (2000–2020): esperimenti di interferenza con molecole sempre più grandi, per testare la sovrapposizione quantistica in sistemi macroscopici.
  • Progetti recenti (2022, Quanta Magazine): test sperimentali hanno posto limiti severi a teorie semplici di collasso quantistico oggettivo.

Speculazioni moderne sul legame coscienza-quantum

  • Tegmark (2000), Importance of quantum decoherence in brain processes: argomenta contro la possibilità che il cervello mantenga coerenza quantistica significativa a temperatura biologica.
  • Penrose & Hameroff (anni ’90–oggi): ipotesi Orchestrated Objective Reduction (Orch-OR), che lega microtubuli cerebrali a processi quantici di coscienza. Altamente controversa.
  • Chalmers & McQueen (2018), Consciousness and the collapse of the wave function: propongono un modello in cui l’informazione integrata (IIT) modula un collasso obiettivo.