Il formato della conferenza TED in versione europea dedicata interamente all’Intelligenza Artificiale

Vienna, 24-26 Settembre 2025 – Durante la scorsa settimana, varcare le porte storiche dell’Hofburg Palace di Vienna, equivaleva a ritrovarsi in un paradosso temporale affascinante: da una parte, le mura che hanno visto passare sette secoli di impero asburgico; dall’altra, centinaia di leader tecnologici, scienziati, imprenditori e visionari riuniti per esplorare il futuro più avanzato dell’intelligenza artificiale.

In un panorama saturo di conferenze AI, il TED (Technology, Entertainment, Design) – un’organizzazione no-profit fondata nel 1984 con la missione di diffondere “idee che meritano di essere condivise” (ideas worth spreading) si distingue per il suo formato Iconico: Talk brevi (max 18 minuti) sul palco rosso, altissimo livello degli speaker (scienziati, imprenditori, artisti, attivisti, tra cui si annoverano negli anni figure leggendarie come Bill Gates ed Elon Musk) e come conseguenza oltre 3.000 TED Talks disponibili gratuitamente online e miliardi di visualizzazioni in tutto il mondo.

Un formato che funziona perché trasforma idee complesse in narrazioni potenti e accessibili. Non è solo informazione, è ispirazione che muove all’azione.

Dopo una sorta di warm up nei due giorni precedenti, venerdi 26 è stata la giornata del classico TED: oltre 20 Talks per esplorare il panorama attuale dell’intelligenza artificiale.

I video saranno pubblicamente disponibili nei prossimi mesi. Tra i talk di VP e ricercatori delle aziende che guidano la sua evoluzione tecnologica come OpenAI, AWS e Deep Mind, mi piace qui riportare alcune note su tre interventi che hanno avuto il merito di offrirmi una prospettiva diversa. Non a caso ben due di questi non arrivano dalla silicon valley ma da due parti del mondo che erroneamente si considerano poco rilevanti dal punto di vista tecnologico: l’Africa e il Sud America.

Partiamo dall’Africa e dalla prima osservazione di Hardy Pemhiwa, CEO di Cassava Technology appena sul palco: entro il 2050 l’Africa rappresenterà più del 25% della popolazione globale con un incremento fino a 2,1 miliardi di abitanti e un’età media inferiore ai 25 anni, ovvero il 40% dei giovani nel mondo saranno africani, e saranno nativi digitali. L’Africa non è solamente fame, malaria e povertà. Anzi solamente fame, malaria e povertà non sono solo problemi ma sono sfide da risolvere, con l’AI.

E non solo: ogni giorno l’AI viene impiegata con focus e grande senso di urgenza: soluzioni concrete a problemi reali. Per questo Hardy sostiene provocatoriamente che sarà l’Africa a sfruttare al meglio l’AI e a dare idee all’occidente, che invece sembra oggi utilizzarla in maniera qusi futile come l’ottimizzazione dell’advertising sui social. Lo slogan di chiusura: This is not just Africa’s AI moment. This is AI’s Africa moment.

Il secondo talk che voglio qui riportare viene dall’argentina Mercedes Bidart. laureata al MIT e fondatrice di Quipu, la financing platform che opera in tutta l’america latina e che utilizza l’AI per costruire un credit score equo per le micro imprese – ovvero quella parte nascosta di economia che include oltre il 90% delle aziende sudamericane e che contribuisce al 30% del PIL. Queste aziende, spesso singole persone, artigiani, negozianti, agricoltori, sono invisibili alle banche e non hanno quindi alcun accesso al credito ma devono fare ogni giorno grande fatica per mandare avanti le loro seppur piccole imprese.

L’idea è stata quella di recuperare con l’AI dei dati che le banche non vedono ovvero le pagine social, gli SMS con gli ordini ricevuti o i messaggi WhatsApp che testimoniano la soddisfazione dei clienti o le foto dei pagamenti ricevuti, o dei prodotti venduti. E a partire da questi costruire data nel formato che le banche sanno leggere cioè un ranking creditizio che altrimenti non ci sarebbe. In maniera da poter indicare alla banca se una certa persona è meritevole o meno di un prestito.

Essere poveri è costoso, l’AI lo rende meno costoso e complicato, in una maniera concreta, esattamente con lo stesso spirito del talk sull’Africa citato precedentemente.

Il terzo talk di cui vi racconto, il più bello di tutti secondo me, è ben diverso. Lo speaker è Advait Sarkar, ricercatore Microsoft. La sua tesi sostiene che intendiamo l’AI come qualcosa a cui demandare, come ad un assistente, tutte quelle attività che ci annoia fare: la sintesi di un articolo, la redazione di una mail, la definizione di una strategia di vendita.

Ottimo, ma. Cosi facendo l’essere umano perderà col tempo alcune sue capacità peculiari come lo strategic reading, la capacità di riflettere e argomentare, quella di scrivere in maniera articolata, la sua creatività. E se invece che vedere l’AI come a tool that thinks for you lo iniziassimo a considerare a tool that makes you think?

L’idea è che l’AI elevi il nostro lavoro, alzando l’asticella. In vari modi: aiutare a capire il lavoro da fare anziché farlo al nostro posto; riuscire a ottenere risultati di qualità superiore anziché in minor tempo; aiutarci a porre le giuste domande anziché imboccare le risposte; explore the unknown, anziché automate the known. L’AI come un mezzo per spingerci dove non oseremmo mai andare da soli.

Questo modo di vedere il rapporto tra l’AI e gli esseri umani mi è sembrato un ottimo collegamento con quella che è stata l’introduzione, con una performance di musica, immagini dell’intro ma anche di altri interventi: non è una corsa o una competizione ma una danza tra menti umane e macchine. Danza come fusione in un unico movimento, in un’unica figura. Questo passa da come gli umani sapranno utilizzarla ma anche da come l’AI saprà ispirare fiducia, mostrare empatia e farsi percepire come umana.

Lasciando Vienna mi è ancor più chiaro che la vera rivoluzione dell’AI non sta nella sua capacità di sostituirci, ma nel suo potenziale di amplificarci. Che tu sia un imprenditore della Silicon Valley, un artigiano argentino o un innovatore africano, l’intelligenza artificiale diventa ciò che decidiamo di farne: uno strumento di esclusione o uno di opportunità, un sostituto che ci impoverisce o un partner che ci eleva.

TEDAI Vienna mi ha ricordato che il futuro dell’AI non dipenderà dalle questioni tecniche su cosa l’AI può fare, ma dalle domande umane su cosa dovrebbe fare. E forse, proprio in questo equilibrio tra possibilità e responsabilità, tra automazione e ispirazione, si nasconde la vera danza tra menti umane e macchine di cui abbiamo bisogno.