Il sogno di Oracle, quello di diventare il braccio infrastrutturale dell’intelligenza artificiale globale. Un piano audace, costruito su miliardi di dollari di chip Nvidia e sul carisma indistruttibile del suo fondatore, Larry Ellison, che da anni promette una rinascita tecnologica degna dei tempi d’oro della Silicon Valley. Ma come ogni sogno alimentato da hype e grafici proiettati fino al 2030, anche questo inizia a mostrare le prime crepe.
Il titolo di Oracle ha perso il 5% dopo un report di The Information (basta cosi’ poco? Speculation come chiede CNBC) che ha messo in dubbio la redditività del suo business di noleggio GPU Nvidia. Un calo che non sorprende chi conosce la fisica elementare della finanza: quando spendi miliardi per affittare chip a margini da discount, la gravità fa il resto. Secondo il report, il margine lordo del business cloud AI di Oracle sarebbe intorno al 14% su 900 milioni di dollari di vendite trimestrali, una cifra modesta se confrontata con il margine complessivo dell’azienda che viaggia al 70%. In termini più crudi, Oracle sta guadagnando briciole su un banchetto costosissimo.
Il problema è che i chip Nvidia non sono solo costosi, sono ossessivamente costosi. Le GPU H100, che alimentano i modelli di OpenAI e di mezza Silicon Valley, arrivano a costare decine di migliaia di dollari ciascuna, spesso più di un’auto elettrica compatta. Oracle ne ha acquistate a camionate per costruire il suo “AI Cloud”, convinta che l’effetto rete dell’AI avrebbe generato un boom di domanda. E in effetti, la domanda c’è, ma i margini evaporano più velocemente dell’entusiasmo nei forum di Reddit dopo una trimestrale deludente.
Ellison aveva raccontato agli investitori di un futuro radioso, fatto di partnership titaniche e data center colossali. Nel progetto Stargate, Oracle collabora con OpenAI per costruire cinque enormi campus di calcolo, templi moderni dell’intelligenza artificiale riempiti di chip Nvidia. L’obiettivo dichiarato è raggiungere 144 miliardi di dollari di ricavi dal cloud entro il 2030, un salto vertiginoso dai 10 miliardi previsti nel 2025. Peccato che l’aritmetica dei sogni raramente sopravviva all’impatto con la realtà dei costi.
Il modello di business di Oracle nel noleggio GPU è, in sostanza, una scommessa su una doppia leva: far pagare i clienti per l’uso intensivo dei chip mentre si spera che la domanda esploda abbastanza da compensare la compressione dei margini. Ma il mercato dell’AI cloud è diventato una giungla competitiva. Microsoft, Amazon e Google non solo hanno accesso diretto alle GPU Nvidia, ma stanno anche sviluppando chip proprietari per ridurre la dipendenza e i costi. Oracle, invece, è rimasta a metà strada, senza l’economia di scala delle big tech né la flessibilità dei provider più piccoli.
La verità è che l’AI cloud non è più un gioco per romantici visionari. È un’arena dove ogni punto percentuale di margine è conteso da logiche di potenza e da algoritmi di pricing sempre più aggressivi. Oracle ha scelto la strada del volume, ma a che prezzo? Affittare chip Nvidia a tariffe competitive significa correre su un filo sottile, dove basta un piccolo scivolone nei costi energetici o nei tempi di consegna per trasformare la crescita in un bagno di sangue contabile.
Gli investitori, sempre meno inclini a farsi sedurre dai grafici a lungo termine, hanno cominciato a chiedersi quanto sia sostenibile questo entusiasmo. La narrativa del “nuovo Oracle” come infrastruttura fondamentale per l’intelligenza artificiale globale rischia di sgretolarsi sotto il peso della matematica più elementare. Quando il costo del capitale cresce e i margini si assottigliano, la promessa di un futuro da protagonista dell’AI si trasforma in una maratona di trimestrali difensive.
C’è anche un aspetto più sottile, ma strategicamente letale. Oracle non controlla la filiera critica dell’intelligenza artificiale. Nvidia decide i prezzi, le quantità e i tempi di consegna, mentre OpenAI, principale cliente, ha il potere contrattuale di spingere sui costi. È una triangolazione in cui Oracle rischia di essere l’anello debole, intrappolata tra la potenza di un fornitore monopolista e le pretese di un cliente superstar. Un modello così sbilanciato non può reggere a lungo senza una strategia di differenziazione tecnologica, che al momento non si intravede.
La magia dei margini del 70% appartiene all’epoca in cui Oracle vendeva licenze software e database, non GPU in affitto. Ora il business è diventato capital intensive, dipendente da fornitori esterni e con barriere d’ingresso che si stanno abbassando rapidamente. È la trasformazione più rischiosa che un colosso tecnologico possa affrontare: passare da software ad hardware senza la disciplina dei produttori di chip o la scalabilità dei cloud hyperscaler.
Eppure, Ellison continua a recitare il ruolo del visionario. Nelle sue interviste più recenti ha paragonato la corsa all’AI a una nuova rivoluzione industriale e Oracle al suo motore invisibile. Il linguaggio è potente, ma i numeri raccontano una storia diversa. L’economia dell’AI non premia chi compra più chip, ma chi riesce a farli rendere meglio. E su questo fronte, Microsoft e Google hanno già preso il largo grazie ai loro ecosistemi integrati, dove software, chip e servizi si alimentano a vicenda.
Oracle è diventata una compagnia che vive di Forecast e di backlog. Nel settembre scorso ha annunciato un aumento del 359% nei contratti cloud futuri, etichettati come “remaining performance obligations”. Una cifra imponente che però non dice nulla sulla redditività reale. Si può avere un portafoglio clienti in espansione e al tempo stesso bruciare margini su ogni singolo contratto. È la differenza tra crescere e sopravvivere, una distinzione che nel mondo dell’AI sta diventando ogni giorno più brutale.
Se c’è una morale in tutto questo, è che la corsa all’intelligenza artificiale sta rivelando la fragilità di molti modelli cloud apparentemente solidi. Non basta possedere i chip più costosi del pianeta per dominare il mercato, serve una strategia economica che li renda sostenibili. Oracle sta imparando questa lezione nel modo più doloroso possibile: a colpi di trimestrali e cadute di borsa.
See: https://www.cnbc.com/quotes/ORCL