La notizia è deflagrante: la start-up di intelligenza artificiale sostenuta da Elon Musk, xAI, starebbe ampliando il suo round di finanziamento ben oltre le stime iniziali, con un’operazione che punta a raccogliere fino a 20 miliardi di dollari, includendo anche un investimento azionario di Nvidia. Fonti vicine all’operazione sostengono che Nvidia potrebbe immettere fino a 2 miliardi di dollari nel capitale del progetto.
Questa mossa non è casuale: il finanziamento — che prevede una combinazione di equity e debito — verrebbe legato direttamente all’acquisto e all’uso delle GPU Nvidia da parte di xAI nel suo mega datacenter “Colossus 2”, ubicato a Memphis, Tennessee. Le fonti, che hanno chiesto l’anonimato visto il carattere riservato delle trattative, affermano che l’operazione sarebbe strutturata attraverso un veicolo speciale (SPV) destinato ad acquistare i chip, che verrebbero poi affittati a xAI per circa cinque anni. In questo modo il debito non graverebbe sul bilancio della società, ma verrebbe garantito dalle stesse GPU.
L’impianto più intrigante dell’intera strategia finanziaria è questo: decostruire il rischio aziendale legandolo all’hardware, non all’impresa. Invece del classico prestito garantito da attivi aziendali, qui il collaterale è costituito dai chip stessi. È un modello che, se riuscito, potrebbe diventare un playbook per molte aziende tech in fase di espansione intensa.
I numeri parlano chiaro: circa 7,5 miliardi di dollari in equity e fino a 12,5 miliardi di dollari in debito. Tra i soggetti coinvolti nella tranche obbligazionaria figurano Apollo Global Management e Diameter Capital Partners, mentre Valor Capital pare guidare la parte azionaria. Apollo, inoltre, sarebbe anche investitore diretto in xAI.
La notizia emerge in un momento di apparente contraddizione: Elon Musk, pochi mesi fa, su X dichiarava che xAI “non sta raccogliendo capitali in questo momento”. Eppure, dietro le quinte, le trattative proseguono.
Il contesto è quello di un’industria AI che si alimenta a colpi di investimenti colossali. Nelle ultime settimane OpenAI ha siglato un accordo pluriennale con AMD per i chip, Meta ha firmato contratti da 29 miliardi per i datacenter, mentre Oracle ha emesso debito per 38 miliardi.
XAI non è nuova a round aggressivi: nei mesi passati ha già raccolto circa 10 miliardi tra equity e debito, a fronte di un burn rate dichiarato di quasi 1 miliardo al mese.
Tra le implicazioni più interessanti c’è l’integrazione strategica tra Musk e il suo ecosistema: SpaceX avrebbe già investito in xAI; Tesla, nei prossimi mesi, voterà se partecipare direttamente all’impresa AI. Musk punta infatti a un modello in cui l’IA funzioni come “tela operativa comune” per tutte le sue aziende: auto autonome, robotica, infrastrutture computazionali.
Dietro l’apparente entusiasmo, restano molte incognite. La trazione del debito, in particolare se collegata a asset hardware, richiede un calcolo rigoroso: cosa succede se le GPU si svalutano più rapidamente del previsto? Qual è il rischio tecnologico e operativo associato? Se il modello „leasing interno“ non dovesse reggere, chi assorbirebbe le perdite?
Altro nodo: la valutazione implicita dell’operazione. Un round da 20 miliardi suggerisce che xAI mira a una market cap ben superiore ai 100–200 miliardi, come alcune fonti hanno anticipato.
Questa fusione tra capitale, hardware e finanza è la nuova frontiera dell’IA: non basta costruire modelli perché servono GPU, energia, scalabilità e strutture capitali che reggano il peso del sogno. E se la strategia andasse in porto, potremmo assistere a una rivoluzione nella finanza delle infrastrutture AI.