L’Europa è un continente che ama definirsi antico ma che, di tanto in tanto, sogna di rinascere come se potesse farlo con un semplice bando di ricerca. L’ultima incarnazione di questo sogno ha la voce di Giorgio Parisi, fisico teorico, premio Nobel e una delle menti più lucide che l’Italia abbia mai espresso. Il suo progetto di un Polo Europeo dell’Intelligenza Artificiale è più di una proposta accademica, è un manifesto politico in forma scientifica. Parisi non parla di fondi o bandi, parla di sovranità. In un continente che da anni confonde la regolamentazione con la strategia, la sua visione suona come un invito brutale alla realtà.
L’idea è semplice e, per questo, quasi rivoluzionaria. Creare un centro multidisciplinare, pubblico e indipendente, capace di federare le competenze europee sull’intelligenza artificiale, come il CERN fece nel 1954 per la fisica delle particelle. Quella volta, l’Europa usciva distrutta da una guerra. Oggi esce distrutta da vent’anni di frammentazione digitale. La differenza è che allora si costruì una visione comune, oggi si preferisce costruire task force temporanee, convegni infiniti e piani strategici che evaporano al cambio di legislatura.
Parisi propone invece un ritorno al principio della cooperazione scientifica come fondamento di potere.
Il Polo Europeo dell’Intelligenza Artificiale, secondo il suo manifesto, non dovrebbe essere solo un’infrastruttura.
Dovrebbe diventare una comunità di cervelli e calcolo, capace di combinare teoria e applicazione, fisica e informatica, filosofia e robotica.
Dovrebbe avere un’anima pubblica, per garantire indipendenza dalle logiche di profitto, e una governance aperta, per impedire che i soliti interessi industriali trasformino la ricerca in marketing. In altre parole, Parisi vuole evitare che l’Europa diventi la provincia digitale delle Big Tech.
Chi conosce la storia del CERN capisce subito il parallelo. Lì, nel dopoguerra, si univano scienziati e governi europei per recuperare dignità e costruire insieme il futuro della fisica. Oggi l’intelligenza artificiale è la nuova fisica delle particelle. È la forza invisibile che muove capitali, potere e conoscenza. Non dominarla significa condannarsi a una dipendenza tecnologica che nessun regolamento potrà correggere.
Le leggi servono a contenere i danni, non a creare futuro.Parisi non usa toni apocalittici, ma il suo messaggio è chiarissimo. O l’Europa investe in un centro pubblico di ricerca sull’intelligenza artificiale, o resterà per sempre intrappolata nel ruolo di consumatore di modelli addestrati altrove.
Quando dice che serve una scienza dell’IA, non è retorica. Oggi gli algoritmi che guidano i grandi modelli linguistici o i sistemi di visione artificiale funzionano, ma nessuno sa davvero perché. È come la macchina a vapore prima della termodinamica. Spinge, ma nessuno ne conosce i principi fondamentali. Questo significa che non possiamo prevedere i rischi, né ottimizzarne l’efficienza.
Il Polo Europeo dovrebbe rispondere proprio a questa lacuna epistemologica. Creare le basi teoriche dell’intelligenza artificiale, comprenderne le dinamiche interne, misurarne l’impatto energetico e sociale, esplorarne le alternative etiche. In un certo senso, Parisi sta tentando di fondare la termodinamica del XXI secolo.
Lo fa con l’approccio del fisico che ha sempre pensato alla scienza come un linguaggio per la cooperazione, non come un’arena per l’ego accademico.Il progetto, presentato a Bologna insieme a Pierluigi Contucci e firmato da figure come Yann LeCun, Cédric Villani e Michael Bronstein, ha una base semplice ma potente: la scienza come infrastruttura pubblica.
Non si tratta di costruire un supercomputer, ma una rete federata di risorse e cervelli. Oggi l’Europa ha centinaia di laboratori che lavorano sull’IA, spesso isolati, spesso in competizione per gli stessi fondi. Il Polo servirebbe a creare un tessuto coerente, un luogo fisico e simbolico dove la ricerca possa dialogare, contaminarsi e generare innovazione reale.
Parisi ha usato un’immagine che vale più di mille report. Ha detto che uno dei vantaggi di un centro del genere sarebbe “far pranzare insieme gli scienziati”. Non è una battuta. È un concetto di governance. Le idee più rivoluzionarie non nascono nelle conferenze, ma a tavola, tra chiacchiere e intuizioni. Oggi in Europa si finanziano paper, non conversazioni. Eppure, è nelle conversazioni che la scienza trova il suo respiro.
Il nodo vero, ovviamente, è politico. L’Europa parla di intelligenza artificiale in termini di regole e rischi, mentre Stati Uniti e Cina la trattano come un motore di supremazia industriale. Il è un documento importante, ma è solo la cornice di un quadro che ancora non esiste. Senza una base scientifica e una strategia industriale unitaria, ogni tentativo di regolazione diventa sterile. Il Polo Europeo proposto da Parisi mira proprio a colmare questa asimmetria. A dire che l’etica dell’IA non può essere separata dalla sua capacità di comprenderla e produrla.
Il centro immaginato dal fisico romano si fonda su principi che suonano quasi controcorrente in un’epoca dominata dalle logiche proprietarie. Modelli aperti, accesso democratico, indipendenza istituzionale, interdisciplinarità. È un’idea di scienza che restituisce centralità al bene pubblico. Non è un’utopia, è un investimento nella resilienza cognitiva del continente. Se gli Stati Uniti detengono il potere dei dati e la Cina quello delle infrastrutture, l’Europa può ancora giocare la carta della conoscenza condivisa.
C’è un altro aspetto cruciale nel pensiero di Parisi, spesso sottovalutato. Il legame tra sostenibilità ed efficienza computazionale. L’intelligenza artificiale, così com’è oggi, è energivora, centralizzata e poco trasparente. Costruire un centro che metta la ricerca sull’efficienza energetica al centro dell’agenda significa spostare la competizione su un piano diverso, più intelligente, più europeo. Significa rendere la sostenibilità una leva strategica e non un fastidio da comunicato stampa.
Il sogno del Polo Europeo dell’IA non riguarda solo i ricercatori. È una sfida per la politica, l’industria e la società civile. Vuol dire investire in un modello di cooperazione che non sia subalterno ai giganti privati. Vuol dire trasformare l’Europa da regolatore passivo in creatore di standard globali. Vuol dire costruire un’architettura culturale, non solo tecnologica.
In fondo, la grandezza del CERN non è solo nelle sue scoperte, ma nel modello organizzativo che ha generato. Una governance trasparente, meritocratica, con una visione di lungo periodo.Parisi, con la sua ironia sobria, ha risposto a chi gli chiedeva se questo sia il suo “momento Amaldi” dicendo che Amaldi aveva quarant’anni e lui quasi il doppio. Ma la verità è che le grandi idee non hanno età. Hanno urgenza.
Oggi l’urgenza è costruire un polo europeo capace di trattenere talenti e riscrivere le regole della ricerca globale. Perché la prossima rivoluzione scientifica non sarà solo una questione di scoperte, ma di sovranità cognitiva.
La parola chiave di tutto questo è intelligenza artificiale, ma il suo significato nel linguaggio di Parisi è diverso da quello delle start-up e dei fondi di venture capital. Per lui non è un mercato, è una domanda di conoscenza. È la nuova frontiera della comprensione della realtà, un fenomeno che va indagato come si indagano le leggi fondamentali dell’universo.
Il Polo Europeo, se mai vedrà la luce, dovrà incarnare proprio questo spirito. Fare dell’intelligenza artificiale un bene pubblico, non un privilegio privato.
Chi oggi parla di sovranità digitale in Europa farebbe bene a leggere attentamente il manifesto di Parisi. Non è un documento tecnico, è un atto di accusa e di fiducia insieme. Accusa la frammentazione, l’inerzia e la subalternità culturale del continente.
Offre una visione alternativa, concreta, aperta. In un mondo dove la velocità è tutto, la vera sfida europea sarà rallentare per capire.