Sono all’aereoporto di LV di ritorno del AI World e mentre sorseggio una Hazy Little Thing Ipa stanco morto e penso di non scriverne più arriva la notizia. Oracle ha tentato di fare ciò che ogni colosso tecnologico fa quando gli investitori iniziano a guardare con troppa attenzione ai margini: raccontare una storia credibile di profitti futuri.
Clay Magouryk, co-CEO della divisione cloud, ha dichiarato che l’attività di noleggio dei server dotati di GPU Nvidia a OpenAI, Meta e ad altri sviluppatori di intelligenza artificiale genererà presto margini lordi compresi tra il 30% e il 40%. Un numero che suona come una sinfonia in un mercato dove le GPU si vendono a peso d’oro, ma dove la realtà contabile è meno poetica.
Negli ultimi cinque trimestri, secondo quanto riportato da The Information, il margine lordo effettivo derivante dal noleggio delle GPU si è fermato intorno al 16%. Un livello che, per un business cloud, è più vicino al campo di battaglia che al paradiso dei profitti. Oracle promette di ribaltare la situazione, ma la domanda che gli investitori più scettici si pongono è semplice: come può una compagnia costruita sulle logiche dell’enterprise tradizionale competere con la velocità quasi darwiniana del mercato AI cloud dominato da AWS, Google e Microsoft?
Il tema è strutturale. Oracle non vende tanto potenza di calcolo quanto l’illusione di una stabilità industriale in un’epoca in cui l’instabilità è la vera valuta dell’innovazione. Il business dell’Oracle AI cloud vive in bilico tra due mondi: quello dei margini tradizionali da software enterprise e quello dei data center ad alta intensità di capitale, dove l’hardware brucia liquidità più velocemente di quanto un algoritmo generativo impari a disegnare un volto umano.
Magouryk ha insistito sul fatto che l’efficienza sta migliorando grazie a un uso più dinamico delle GPU Nvidia, ma l’equazione rimane complessa. Le GPU non dormono mai, ma neppure i contabili di Oracle.La narrativa che Oracle cerca di costruire è quella del fornitore neutrale e premium nel caos dell’intelligenza artificiale. OpenAI, Meta e xAI avrebbero già prenotato migliaia di server basati su GPU Nvidia H100, e il management spera che la scala porti automaticamente redditività. Tuttavia, nel mondo dei data center, la scala è spesso un’illusione ottica. Ogni GPU aggiuntiva richiede più energia, più raffreddamento, più infrastruttura di rete e, soprattutto, più capitale.
Il sogno del “cloud AI a margine crescente” rischia di trasformarsi in una versione moderna della corsa all’oro, dove chi guadagna davvero non è chi scava, ma chi vende i picconi. In questo caso, Nvidia.
Larry Ellison, il fondatore e guru eterno di Oracle, ha dichiarato che l’azienda diventerà “il fornitore più veloce e più economico per l’intelligenza artificiale”. Una frase che fa sorridere chi conosce la storia di Oracle, una società famosa più per la rigidità dei contratti enterprise che per la velocità delle sue iterazioni cloud.
La realtà è che l’Oracle AI cloud non potrà competere sul prezzo con AWS, che diluisce i costi su una scala quasi planetaria, né sulla velocità di innovazione con Google Cloud, che integra AI e infrastruttura in modo nativo. Oracle può però giocare la carta della specializzazione: diventare il cloud “per adulti”, quello dei CIO conservatori che vogliono entrare nell’AI senza sentirsi nel Far West di Azure.
La scommessa è sulla fiducia. Magouryk sostiene che l’adozione delle GPU Nvidia su larga scala porterà economie di scala e contratti pluriennali più stabili. Ma i margini promessi richiedono un equilibrio fragile tra utilizzo intensivo e saturazione controllata. Un data center AI non funziona come una pipeline di software as a service: è un ecosistema fisico dove ogni watt di energia e ogni grado di temperatura incidono direttamente sulla redditività. Il 40% di margine, in questo contesto, suona come un miraggio contabile, a meno che Oracle non riesca a ridefinire il modo stesso in cui i modelli AI vengono addestrati e distribuiti.
C’è poi un aspetto di geopolitica industriale che pochi analisti osano citare. La dipendenza da Nvidia è il vero tallone d’Achille del mercato AI cloud. Tutti, da Amazon a Oracle, sono prigionieri del ritmo di produzione di Jensen Huang e della sua catena di fornitura, concentrata in TSMC.
L’Oracle AI cloud non fa eccezione. Mentre Nvidia incassa margini superiori al 70%, i cloud provider si contendono briciole di efficienza cercando di far passare l’idea che l’AI sia un affare redditizio. È un gioco pericoloso, perché ogni ritardo nelle forniture o ogni ciclo di aggiornamento tecnologico può spazzare via mesi di pianificazione finanziaria.
Magouryk sembra però credere in una strategia “a lungo respiro”: costruire infrastrutture dedicate per clienti di alto profilo, legando contratti pluriennali che riducano la volatilità.
È una mossa razionale, quasi old-school, che contrasta con la cultura del “move fast and break things” di altri colossi tecnologici. Ma il mercato non premia più la prudenza, premia la trazione. E l’AI, per definizione, è un mercato che si nutre di accelerazione.
Curiosamente, la promessa di Oracle arriva proprio mentre le startup AI iniziano a costruire i propri cluster proprietari, bypassando i fornitori di cloud. OpenAI stessa sta esplorando soluzioni interne per controllare costi e performance. Se i grandi clienti diventano autosufficienti, il sogno del margine del 40% rischia di restare sulla carta. La vera redditività, in questo scenario, non dipenderà dal numero di GPU noleggiate, ma dalla capacità di Oracle di offrire servizi a valore aggiunto, dall’ottimizzazione dei modelli AI alla gestione intelligente del flusso dati.
Il mercato dei data center AI è entrato in una fase di saturazione anticipata. Tutti stanno costruendo, pochi stanno monetizzando. Oracle, con la sua reputazione di solidità finanziaria e un DNA più vicino ai bilanci che ai laboratori di ricerca, deve reinventarsi come piattaforma per l’economia dell’AI, non solo come fornitore di ferro e silicio.
Magouryk ha usato toni rassicuranti, ma le cifre raccontano una storia più complessa: il business cresce, sì, ma la redditività resta un miraggio in un deserto di investimenti capital-intensive.
Forse il vero vantaggio competitivo di Oracle non sarà nella GPU, ma nella governance dei dati. Mentre gli altri corrono a inseguire la potenza di calcolo, Oracle potrebbe trovarsi nella posizione ideale per controllare la qualità, la sicurezza e la compliance dei flussi informativi che alimentano l’intelligenza artificiale. È qui che si giocherà la partita del valore reale, non nella quantità di server ma nella capacità di orchestrare fiducia, prestazioni e trasparenza.Il paradosso di Oracle è che per guadagnare nel nuovo mondo dell’AI deve disimparare il vecchio.
La redditività non si misura più nei margini di licenza, ma nella capacità di scalare esperienze, dati e potenza computazionale senza compromettere la flessibilità. Magouryk parla di un futuro roseo per il business del noleggio GPU, ma dietro quella promessa si intravede la stessa tensione che ha sempre definito Oracle: la lotta costante tra innovazione e controllo.
Nel frattempo Nvidia continua a vendere i picconi. E nel silenzio rumoroso dei data center, Oracle scopre che costruire il futuro dell’intelligenza artificiale non è solo una questione di hardware, ma di immaginazione finanziaria.