La sorveglianza digitale non è più fantascienza. ICE, l’agenzia americana per l’immigrazione, ha deciso di portarla a un livello industriale, pagando milioni di dollari a una piattaforma di intelligenza artificiale chiamata Zignal Labs per monitorare social network, immagini, video e perfino simboli nei post pubblici. Quella che una volta era l’informazione libera e condivisa è ora trasformata in dati di profilazione, algoritmicamente analizzati per tracciare individui, geolocalizzare movimenti e, in alcuni casi, preparare dossier per deportazioni.
Zignal Labs, con un contratto da 5,7 milioni di dollari, gestisce un sistema capace di analizzare oltre otto miliardi di post al giorno in più di cento lingue. Machine learning, computer vision e riconoscimento ottico dei caratteri consentono di estrarre significato, emozione e posizione geografica da ogni frammento pubblico. In teoria serve a identificare “minacce alla sicurezza nazionale”, ma nella pratica trasforma ogni commento ironico o critico in un potenziale elemento di sorveglianza.
La differenza rispetto al passato è la scala e la precisione. Con l’intelligenza artificiale, ICE può monitorare la conversazione pubblica in tempo reale, con una capacità che nessuna supervisione umana potrebbe mai eguagliare. Non si tratta più di seguire manifestazioni o eventi isolati: il sistema converte il flusso di dati globali in feed curati, dove ogni post diventa un indicatore statistico da valutare. Ogni selfie, video o didascalia può essere associato a un individuo, un gruppo o una comunità, tracciando movimenti, reti sociali e comportamenti.
L’effetto sulla libertà di espressione è immediato. La sorveglianza digitale genera un “chilling effect” che induce autocensura. Sapere che i propri post, like o commenti possono essere interpretati da algoritmi per valutare la fedeltà a norme o regolamenti non scritti cambia radicalmente il discorso pubblico. Gli utenti, consci o meno, imparano a filtrare ogni parola, ogni immagine, fino a modulare la propria identità digitale per non finire nei radar dell’intelligenza artificiale governativa.
Il contratto con Zignal Labs è stato mediato da Carahsoft, società specializzata in soluzioni IT per enti governativi. L’azienda collabora anche con il Dipartimento della Difesa, il Dipartimento dei Trasporti e il National Oceanic and Atmospheric Administration, dimostrando che la sorveglianza digitale non si limita alla sicurezza interna ma si estende a ogni settore in cui i dati pubblici possono essere convertiti in valore operativo.
Questo scenario non nasce dal nulla. Già nel 2016, la American Civil Liberties Union aveva scoperto che la polizia utilizzava strumenti come Geofeedia, sostenuti dalla CIA, per monitorare manifestazioni contro la brutalità della polizia su Facebook, Twitter e Instagram. Oggi, con miliardi di dollari a disposizione e sistemi avanzati di intelligenza artificiale, ICE ha la capacità di scalare questa logica su un intero paese, combinando dati pubblici, social media e tecnologia di riconoscimento automatico.
La portata della sorveglianza digitale è tale da richiedere personale dedicato. Documenti interni mostrano che ICE sta assumendo decine di operatori per monitorare Facebook, Instagram, TikTok, X, YouTube e altre piattaforme, identificando individui considerati “pericolosi” o che semplicemente non rispettano criteri amministrativi. La richiesta include la possibilità di raccogliere informazioni su amici, familiari o colleghi per costruire profili dettagliati, mentre alcuni lavoratori dovranno essere disponibili “a tempo pieno”, come se l’algoritmo avesse bisogno di supervisione umana per validare sospetti.
Il problema non è solo tecnico ma culturale. L’intelligenza artificiale trasforma la conversazione pubblica in un archivio di comportamenti tracciabili, amplificando il potere dello Stato e riducendo lo spazio per la critica. David Greene, direttore delle libertà civili all’Electronic Frontier Foundation, sintetizza così: la sorveglianza digitale a questa scala non solo rende possibile monitorare punti di vista sgraditi, ma produce un effetto paralizzante sulla libertà di espressione, senza precedenti nella storia americana.
Le tecnologie coinvolte non si limitano ai social media. ICE ha accesso a telecamere di sorveglianza per targhe automobilistiche e a strumenti che tracciano milioni di telefoni. L’ecosistema digitale diventa così un gigantesco radar sociale, dove ogni spostamento e ogni interazione pubblica può essere interpretata come potenziale minaccia. L’uso di intelligenza artificiale permette di automatizzare e velocizzare decisioni che in passato richiedevano indagini manuali, aumentando l’efficacia e la portata della sorveglianza.
L’aspetto più inquietante riguarda la normalizzazione di queste pratiche. Il Dipartimento di Stato richiede agli aspiranti cittadini di fornire handle social, e l’amministrazione Trump aveva già proposto sistemi simili, estendendo il monitoraggio a chiunque cerchi un visto o la residenza permanente. In questo contesto, la libertà di espressione diventa un lusso rischioso, mentre l’intelligenza artificiale agisce come un giudice invisibile che interpreta ogni gesto digitale.
Il vero pericolo non è l’algoritmo in sé, ma l’uso politico che se ne fa. Gli strumenti di sorveglianza digitale vengono venduti come protezione, ma nella pratica servono a creare paura, autocensura e controllo sociale. Sacha Haworth del Tech Oversight Project lo definisce chiaro: la combinazione tra Big Tech e governo autoritario produce una partnership che limita i diritti fondamentali con la scusa della sicurezza nazionale. La posta in gioco non è solo la privacy, ma la capacità stessa dei cittadini di esprimersi liberamente.
In ultima analisi, la sorveglianza digitale oggi è la nuova frontiera della politica e della società. Ogni like, commento o condivisione è potenzialmente osservato, analizzato e archiviato. La libertà di espressione non è stata abolita, ma il prezzo della sua esercitazione è aumentato. L’intelligenza artificiale non fa distinzioni morali: applica regole, identifica pattern e segnala anomalie. E in questo processo, ogni individuo diventa un nodo di dati, ogni azione un indicatore, ogni parola una prova potenziale.
Il mondo digitale, così come lo conoscevamo, non è più uno spazio di condivisione neutra. È un laboratorio di controllo, una piattaforma dove la tecnologia decide chi osservare e chi ignorare. E se prima la sorveglianza era visibile e limitata, oggi è ubiqua, invisibile, intelligente. Ogni cittadino è allo stesso tempo osservatore e osservato, e in questo gioco di luci e algoritmi, la democrazia digitale rischia di diventare solo una serie di feed curati, dove la libertà di espressione si misura in bit e non in diritto.
Source: https://www.wired.com/story/ice-social-media-surveillance-24-7-contract/
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