C’è un momento, la domenica sera, in cui persino i mercati tecnologici sembrano trattenere il fiato. È quel breve istante in cui le menti brillanti della Silicon Valley, dopo aver simulato il mondo intero su un cluster GPU, fingono di essere umane e guardano le partite di football o discutono del prossimo aggiornamento di iOS. Poi torna il lunedì, e il teatro dell’intelligenza artificiale riapre le tende.
Questa settimana promette di essere un atto principale di quelli che fanno saltare i server di Bloomberg. Nvidia si prepara al suo GTC a Washington, dove Jensen Huang salirà sul palco con la solita giacca di pelle e l’aria di chi ha appena riscritto le leggi della fisica, mentre Meta, Google, Microsoft, Apple, Amazon e Coinbase presenteranno i loro risultati trimestrali. A margine, Donald Trump incontrerà Xi Jinping, con TikTok come contorno geopolitico. E qualcuno ancora si chiede se viviamo davvero nel futuro.
L’attenzione, inutile dirlo, sarà sui profitti delle Big Tech. Gli investitori lo sanno: il denaro non dorme mai, ma si annoia facilmente. Quando Meta, Google e Microsoft pubblicano i numeri lo stesso giorno, non è un caso. È una strategia di saturazione informativa. Tanta luce che acceca, tanti dati che confondono. Le società conoscono l’effetto: meno persone possono davvero capire, ma più titoli generici verranno scritti, e il titolo fa più del contenuto. Eppure, guardando i bilanci si può leggere la trama del futuro digitale. La corsa all’intelligenza artificiale non è più una maratona di visionari, ma un campionato mondiale tra CFO che devono giustificare il costo dei chip Nvidia alla riga “CapEx”.
I numeri parlano chiaro. Microsoft cresce del 14,9%, Google del 13,4%, Meta del 21,7%, Apple del 7,5%. Non male per un settore che qualcuno accusava di saturazione. Ma il vero campo di battaglia resta il cloud computing. Azure e Google Cloud sono tornati a correre sopra il 30% di crescita, mentre Amazon Web Services arranca con un modesto 18%. È come se il gigante avesse improvvisamente scoperto che non basta più noleggiare server, bisogna vendere infrastrutture cognitive. Google, nel frattempo, firma accordi strategici con Meta, OpenAI e Anthropic, in un intreccio che confonde anche i più esperti di antitrust. È la nuova geopolitica del silicio: meno ideologia, più GPU.
Dentro questi numeri si nasconde una verità meno ovvia. L’intelligenza artificiale non è più una “tecnologia emergente”, è un settore economico autonomo, un ecosistema che alimenta se stesso. Le aziende non investono per scommettere sul futuro, investono per non restare fuori da un presente che si sta ridisegnando in tempo reale. Ogni modello linguistico è un asset, ogni chip è un titolo azionario travestito. Eppure la domanda resta: quanto è sostenibile tutto questo entusiasmo? Gli economisti dicono che l’IA sta spingendo la produttività. I sociologi osservano che sta distruggendo ruoli intermedi, quelli dove si pensava ma non troppo. Gli investitori, nel dubbio, comprano Nvidia.
Già, Nvidia. La nuova Mecca dell’intelligenza artificiale. Quando Jensen Huang entra in scena, la folla non guarda solo un CEO, ma un demiurgo. Il GTC di Washington sarà l’ennesima celebrazione del potere computazionale, con la retorica lisergica dei pionieri che parlano di “democratizzare l’IA” mentre vendono GPU da decine di migliaia di dollari. Ma non importa. Huang ha capito una cosa che sfugge a molti: l’industria tecnologica è teatro, e il pubblico vuole un protagonista con stile. Se Elon Musk è il personaggio imprevedibile che incendia Twitter, Huang è il narratore disciplinato che costruisce mondi. L’intelligenza artificiale non è solo il suo business, è la sua ideologia. Ogni chip è una dichiarazione politica: il futuro appartiene a chi può calcolare più velocemente.
Intanto, nei mercati tecnologici, le altre Big Tech continuano a giocare la loro partita. Meta spende miliardi in nuovi data center e scommette tutto sulla sua infrastruttura AI interna, con l’ambizione di costruire un metaverso che nessuno ha più chiesto ma che potrebbe tornare utile come piattaforma di training per i modelli linguistici. I ricavi pubblicitari crescono, ma la pressione sui costi aumenta. La sfida è chiara: finanziare l’intelligenza artificiale senza alienare gli investitori. Google, dal canto suo, osserva con attenzione il tasso di crescita degli annunci di ricerca. Se l’avanzata di ChatGPT comincerà davvero a intaccare le ricerche tradizionali, allora la rivoluzione sarà cominciata per davvero. Per ora, la pubblicità tiene. Ma nei corridoi di Mountain View qualcuno ha smesso di dormire tranquillo.
Apple resta, come sempre, un caso a parte. L’iPhone 17 vende bene, ma non benissimo. Il modello base vola, la versione Pro arranca. L’azienda scopre che la fedeltà dei clienti ha un prezzo, e che non sempre coincide con quello più alto. Ma il vero nodo non è l’hardware: è il software invisibile che guida la curva dei ricavi. Apple sta cercando di ridefinire il suo ruolo nell’ecosistema dell’intelligenza artificiale senza mai pronunciare la parola “AI” troppo spesso. È il minimalismo strategico di Cupertino: lasciare che gli altri si sfoghino con gli slogan, e intanto costruire l’infrastruttura sottostante.
Amazon, invece, deve spiegare al mercato perché AWS sta rallentando. Per anni è stato il motore del colosso di Bezos, ora rischia di diventare la zavorra. Gli analisti si chiedono se l’azienda sia pronta a reinventarsi davvero nel cloud computing, o se resterà intrappolata nel modello logistico del passato. Nel frattempo, gli investitori fanno quello che sanno fare meglio: aspettano e scommettono. Perché, alla fine, l’economia digitale è un gioco d’attesa. Si investe non per quello che è, ma per quello che potrebbe essere se tutto andasse esattamente secondo i piani. Cosa che, di solito, non accade mai.
Mentre il mondo guarda ai profitti Big Tech, la politica tenta di rientrare in scena. Trump e Xi si incontrano per discutere di commercio, ma la vera partita si gioca su TikTok. L’app più controversa del pianeta è diventata il simbolo di una guerra fredda algoritmica dove il controllo dei dati vale più delle tariffe doganali. Se un accordo verrà davvero raggiunto, come suggerisce il Tesoro americano, sarà perché entrambe le parti hanno capito che nessuno può permettersi di spegnere un flusso di attenzione globale. L’economia dell’intelligenza artificiale si nutre di dati, e i dati si generano solo quando qualcuno guarda qualcosa. L’occhio è la nuova unità di misura del PIL.
In mezzo a tutto questo, il resto del mondo prova a tenere il passo. JPMorgan assume veterani della finanza tecnologica per seguire il ritmo delle fusioni nel settore, Tesla viene richiamata per spiegare il suo software di guida aggressivo, mentre in Cina il produttore di robot umanoidi AgiBot lancia piattaforme per far imitare ai robot i movimenti umani caricando video. È la caricatura perfetta dell’epoca: gli umani insegnano ai robot come muoversi, mentre i robot insegnano agli umani come pensare più velocemente. L’intelligenza artificiale, alla fine, è solo un modo più efficiente di copiare noi stessi.
Nel frattempo, i grafici salgono, i titoli si aggiornano, e i CEO ripassano i loro discorsi motivazionali davanti allo specchio. Tutti parlano di crescita, di trasformazione, di futuro. Ma sotto la superficie, il mercato mostra una verità più cruda: stiamo costruendo un’economia dove il valore non è più determinato dalla produzione, ma dalla potenza computazionale. L’intelligenza artificiale non crea soltanto nuove opportunità, crea nuove gerarchie. Chi possiede i chip, possiede il tempo. E chi possiede il tempo, detta le regole.
Alla fine, un caffè al Bar dei Daini è l’unico lusso che resta al pensatore tecnologico del XXI secolo. Si osserva il mondo come un log di sistema in tempo reale, con i suoi errori, i suoi picchi di traffico e le sue improbabili ottimizzazioni. Ogni notizia, ogni conferenza, ogni trimestrale è un frammento di codice in un software globale che ancora non sappiamo dove stia portando. Ma una cosa è certa: quando Jensen Huang salirà sul palco con la sua giacca di pelle e il sorriso da rock star, e i mercati reagiranno con la solita euforia preprogrammata, sapremo che la prossima settimana è già iniziata.