Wall Street ha l’aria di chi ha dormito poco e male. Non c’è bisogno di leggere tra le righe dei report finanziari per capire che l’umore degli investitori è in bilico tra euforia tecnologica e paura di un’altra bolla in stile dot-com. Questa volta, però, la parola magica che scatena isteria euforia e vendite impulsive non è più “internet”, ma “intelligenza artificiale”. Tutto ciò che la contiene nel comunicato stampa di un’azienda fa alzare il titolo. Tutto ciò che ne resta fuori lo fa crollare. DoorDash, per esempio, l’ha scoperto sulla propria pelle.
L’azienda, un tempo simbolo della comodità digitale che ha salvato molti ristoranti durante la pandemia, ha annunciato di voler spendere “diverse centinaia di milioni di dollari in più” per aggiornare la propria tecnologia e ampliare la rete di consegne. Non un piano sconsiderato, se si considera che genera miliardi in flusso di cassa libero. Ma gli investitori non hanno reagito con la calma razionale di un CFO inglese. Hanno reagito come un trader caffeinomane a mezzanotte: vendendo tutto. Il titolo è crollato del 20% nelle contrattazioni after-hours, come se DoorDash avesse appena confessato di voler bruciare i propri utili in un rogo rituale.
Poi è arrivato Tony Xu, il CEO, a calmare gli animi. Ha parlato di come l’azienda stia “adeguando la propria tecnologia all’intelligenza artificiale” e di come le consegne diventeranno un ecosistema di mezzi autonomi, droni e robot, tra cui il suo pupillo metallico chiamato Dot. Ha promesso che nel 2026 alcune di queste iniziative verranno commercializzate. Non bastava, però, a riaccendere del tutto la fiducia. Perché nel 2025 non basta più dire “stiamo innovando”. Bisogna dire “stiamo innovando con l’intelligenza artificiale generativa”. E bisogna dirlo con la stessa convinzione con cui un influencer parla di sostenibilità mentre indossa fast fashion.
Snap, dal canto suo, ha capito la lezione. Mentre DoorDash cercava di giustificare investimenti sensati ma poco glamour, Snap ha fatto la mossa che il mercato voleva sentire. Ha annunciato una partnership con Perplexity, la startup che Google guarda con crescente nervosismo. Un accordo che permette a Perplexity di integrare il proprio motore di ricerca all’interno di Snapchat. In cambio, Snap riceve 400 milioni di dollari in contanti e azioni. Tradotto: un’iniezione di fiducia e liquidità in un business che da tempo navigava in acque torbide.
Risultato? Le azioni di Snap sono schizzate del 20%. Magia dell’intelligenza artificiale. È bastato quel nome, Perplexity, evocativo quanto basta per far sembrare improvvisamente “strategico” un social media che da anni non sa più se vuole essere una piattaforma per adolescenti o un laboratorio di AR. Gli investitori hanno applaudito la mossa come se si trattasse dell’accordo del secolo, anche se il fatturato è cresciuto solo del 10%, un numero che nel mondo tech odierno suona più come “stagnazione con marketing ottimista”.
La verità è che il mercato americano si è innamorato del concetto di “AI partnership”. Non importa se l’accordo è tangibile o solo cosmetico, se produce valore o solo slide per gli investitori. L’importante è che ci sia la sigla magica nel titolo del comunicato stampa. Così, mentre DoorDash spiega di voler migliorare l’esperienza del consumatore attraverso robot e infrastrutture autonome, Snap si limita a dire “abbiamo stretto un patto con l’intelligenza artificiale” e incassa miliardi in capitalizzazione. È la differenza tra chi costruisce e chi recita la parte giusta al momento giusto.
C’è anche un aspetto quasi filosofico in tutto questo. L’economia dell’attenzione ha colonizzato i mercati finanziari. Gli investitori non leggono più bilanci, ma algoritmi narrativi. L’AI non è più una tecnologia, è un linguaggio. Dire “AI” oggi significa dichiarare fedeltà alla religione del futuro, promettere margini senza costo umano, evocare scenari di crescita esponenziale in un mondo che arranca. E le aziende lo sanno bene. DoorDash non ha parlato di “AI delivery”, ma di “espansione tecnologica”. Errore lessicale fatale. Snap ha parlato di “AI integration”. Bingo.
La cosa più ironica è che DoorDash, tecnicamente, è più vicina all’uso reale dell’intelligenza artificiale di quanto non lo sia Snap. Mentre Xu costruisce un ecosistema di automazione logistica e droni, Snap si limita a un’integrazione con un motore di ricerca esterno. Ma la Borsa non premia la sostanza, premia la narrazione. Il mercato è diventato un feed di TikTok dove le storie devono durare 15 secondi e avere un hashtag giusto.
Da un punto di vista strategico, la mossa di DoorDash è tutt’altro che sbagliata. Investire in automazione e AI operativa significa ridurre costi e dipendenze da lavoratori freelance, settore sotto pressione normativa e sociale. Ma i mercati non hanno la pazienza di attendere che un robot impari a consegnare sushi senza ribaltarlo. Vogliono subito la parola magica e la crescita trimestrale.
Ciò che colpisce, in fondo, è la vulnerabilità del capitalismo narrativo. Gli investitori reagiscono più ai comunicati che ai risultati. Gli analisti cercano pattern linguistici più che indicatori di produttività. E le aziende, inevitabilmente, si adeguano. È un gioco di specchi in cui la “storia” di un’azienda pesa più del prodotto stesso. DoorDash ha un piano industriale. Snap ha una storia. E oggi vince chi racconta meglio, non chi costruisce meglio.
Questo è il nuovo logo dell’informazione finanziaria: un simbolo che brilla più del contenuto che rappresenta. Una firma stilizzata sul nulla. Gli investitori, del resto, vogliono sentirsi parte della rivoluzione, non della manutenzione. Vogliono comprare sogni, non margini operativi. E finché la parola “intelligenza artificiale” continuerà a funzionare come un incantesimo di fiducia, ogni azienda cercherà di pronunciarla prima che la moda giri.
In questa corsa lessicale, DoorDash è sembrata prudente. Snap, spavalda. Il mercato, prevedibilmente, ha premiato la spavalderia. Ma quando la polvere si poserà e gli utili torneranno a contare più delle parole, forse qualcuno si accorgerà che i robot di Xu consegnano ancora, mentre i filtri AR di Snap servono solo a distrarre.