Artificial general intelligence è tornata a dominare il dibattito come un mantra che affascina gli investitori e inquieta più di un regolatore, soprattutto quando Elon Musk decide di dichiarare che il suo prossimo modello Grok 5 avrebbe un dieci percento di probabilità di raggiungere l’obiettivo che definisce il Santo Graal dell’intelligenza artificiale. La frase è stata pronunciata con la consueta noncuranza quasi teatrale di Musk, quella capacità di lanciare previsioni cosmiche con lo stesso tono con cui altri discutono del traffico. La verità, però, è che dietro questa dichiarazione c’è molto di più del solito spirito provocatorio. C’è la costruzione di un ecosistema che unisce X, xAI e Tesla in una strategia di potere tecnologico che ruota attorno alla parola chiave AGI, mentre le keyword semantiche come Grok 5 e modelli multimodali diventano gli ingranaggi di un racconto che non concede spazio alla timidezza.
L’idea che un modello sia in grado di raggiungere un livello di ragionamento comparabile a quello umano non è nuova, ma la convinzione con cui Musk sottolinea la centralità dei dati in tempo reale merita attenzione. La sua affermazione è netta: senza flussi continui di contenuti aggiornati, qualsiasi tentativo di avvicinarsi all’AGI rimane confinato nel mondo dei dataset statici, ovvero nel passato. La frase che descrive X come la migliore fonte di dati in tempo reale al mondo suona come un atto di autocelebrazione, certo, ma anche come un messaggio indirizzato ai concorrenti. Un CEO che controlla la piattaforma di dati, la compagnia che addestra il modello e l’azienda che produce i robot che useranno quel modello ha una posizione che nessun altro nel settore può replicare.
La struttura del progetto Grok 5, annunciato come un modello da sei trilioni di parametri, appare come una mossa aggressiva in un mercato in cui il numero di parametri è diventato lo status symbol delle ambizioni dei laboratori di ricerca. La promessa di integrare testo, immagini, video e audio, con una cosiddetta alta densità di intelligenza per gigabyte, sembra quasi un rimprovero implicito agli avversari che ancora si aggrappano a pipeline più tradizionali. È una visione che punta sulla multimodalità come fattore determinante. Musk lo dice con chiarezza: se un modello non comprende video in tempo reale, non può neppure sognare l’AGI. Una provocazione o una verità ingombrante dipende dal punto di vista, ma resta il fatto che la capacità di interpretare la complessità dinamica delle scene visive è uno degli snodi critici del futuro dell’IA.
La scelta di collocare l’arrivo di Grok 5 nel primo trimestre del 2026 è un segnale interessante per chi segue i cicli di sviluppo dell’intelligenza artificiale. La competizione tra OpenAI, Anthropic, Google DeepMind e xAI si gioca sul millimetro temporale, e ogni trimestre vale mesi di narrativa, valore percepito e posizionamento strategico. Chi arriva troppo tardi rischia di presentarsi con un prodotto già vecchio. Chi arriva troppo presto rischia di presentarsi con un prodotto che non funziona. Musk gioca la sua partita affermando che i dati real time sono il suo vantaggio assoluto, un vantaggio reso possibile dall’acquisto di X nel 2022, un’operazione che molti analisti avevano bollato come un capriccio costoso, ma che oggi si rivela centrale per l’addestramento di xAI.
Le implicazioni normative ed etiche non sono un dettaglio secondario, soprattutto perché Grok è già stato accusato da gruppi come Public Citizen di citare fonti estremiste e siti neo-nazisti come se fossero affidabili. Una critica pesante per un modello che ambisce a servire istituzioni pubbliche e applicazioni federali. L’organizzazione chiede addirittura che il governo statunitense sospenda qualunque utilizzo del chatbot fino a quando il comportamento non sarà corretto. Il fatto che Cornell abbia pubblicato uno studio in cui si evidenziano errori di citazione molto imbarazzanti aggiunge un ulteriore livello di pressione. Non è un incidente isolato ma l’effetto collaterale di un sistema che spreca talento e potenza di calcolo se le fonti non sono filtrate correttamente. Musk, però, non sembra particolarmente scosso. La sua attenzione rimane focalizzata sul lungo termine, sulla promessa di un’IA che superi ogni limite attuale.
La questione della sicurezza emerge anche quando si parla di Tesla e della guida autonoma. Qui Musk usa numeri molto precisi, sostenendo che il sistema di Full Self-Driving è quattro volte più sicuro di un conducente umano dopo dieci miliardi di chilometri percorsi. Una cifra enorme che però presenta la tipica ambiguità dei dati tecnici: chi definisce un incidente, chi definisce una responsabilità e chi definisce la comparabilità tra contesti? Resta comunque evidente che la sua visione di fusione tra sensori, modelli predittivi e infrastrutture di rete segue la stessa logica centrale di Grok 5: più dati vivi significano più intelligenza.
La vicenda del chip AI 5 di Tesla si inserisce nello stesso quadro strategico. L’idea di consolidare due team interni in un’unica squadra per accelerare lo sviluppo di un chip capace di superare Nvidia in efficienza energetica mostra un desiderio di controllo verticale che raramente si osserva in aziende tech tradizionali. Il fatto che Musk preveda performance due o tre volte migliori a un decimo del costo è una delle sue classiche promesse iperboliche. Ciò non toglie che il tentativo di sottrarsi alla dipendenza dai colossi dei semiconduttori sia coerente con l’obiettivo di costruire un’architettura AGI proprietaria.
La parte più visionaria del discorso riguarda però i robot umanoidi Optimus, con Musk che immagina un mondo popolato da trenta miliardi di unità. È un numero che sembra scelto appositamente per provocare, come quando Oppenheimer disse che “la fisica non è un’opinione”. Una cifra così grande trasformerebbe la società globale in un organismo ibrido dove il lavoro fisico sarebbe gestito da macchine mentre l’essere umano si troverebbe ad affrontare la famigerata crisi di significato che Musk evoca da anni. Se le macchine faranno tutto meglio, più rapidamente e senza fermarsi, cosa rimarrà da considerare umano? Non è una domanda nuova, ma è una domanda che assume una nuova dimensione quando un imprenditore con le risorse di Musk dichiara che la risposta non sarà piacevole.
La parte più ironica di tutto questo è che Musk si definisce unabashedly pro human, una frase che suona come il tentativo di un pirata di convincere l’equipaggio che l’ammutinamento è per il loro bene. La visione di esplorare l’universo e capire se esistono altre civiltà è affascinante e rimanda alle utopie spaziali che accompagnano l’immaginario di SpaceX. Tuttavia è chiaro che il suo ottimismo per la coscienza umana convive con un pessimismo altrettanto marcato sul suo futuro. Non è un caso che sottolinei come la sfida reale non sia evitare l’apocalisse robotica, ma capire come mantenere la motivazione in un mondo dove l’AI supererà la creatività, la logica, l’efficienza e l’emotività dell’uomo.
La corsa all’AGI non è mai stata soltanto tecnologica. È una gara narrativa, politica, finanziaria. Grok 5 rappresenta un tassello di questa partita, un modello multimodale che punta a usare dati in tempo reale come leva competitiva, mentre gli altri giocatori si affidano a dataset selezionati e filtri etici sempre più complessi. L’idea che solo un ecosistema verticalmente integrato possa raggiungere l’AGI è un’ipotesi ancora da verificare. Rimane però affascinante osservare come Musk provi a mescolare robot, chip, social network e supercomputer in un unico racconto coerente. Un racconto che, piaccia o no, ogni trimestre diventa sempre più difficile ignorare.